Il momento di Borsa
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 03/11/1906
Il momento di Borsa
« Corriere della sera», 3 novembre 1906
Dobbiamo alla grande competenza di Luigi Einaudi, professore di scienza delle finanze dell’Università di Torino, questo articolo assai chiaro ed efficace sugli ultimi ribassi di valori. Einaudi incontrerà l’approvazione di quanti vogliono e possono considerare il fenomeno obbiettivamente.
Esiste un momento nella vita delle Borse, in cui entrano in azione le bande nere; e, da quel che si sente dire e si legge sui giornali, pare che noi attraversiamo adesso uno di questi momenti in Italia. Sono le bande dei ribassisti che stretti in congiura muovono all’assalto del credito italiano, minano le quotazioni dei titoli più in auge, per satollare il proprio vorace appetito mercé le spoglie conquistate su coloro che coraggiosamente hanno sino all’ultimo tentato di tenere alto l’onore dell’industria nazionale. Come mai tutto ad un tratto si siano formate queste bande nere, e perché non abbiano prima riempito di lor gesta le Borse, non si sa di preciso.
O meglio si sa molto bene che le bande nere fioriscono nei tempi di attiva speculazione di Borsa, quando i valori delle azioni sono in piena espansione, quando i valori anzi sono aumentati per modo che non si vede come possano andare più che in su. Nei tempi lieti in che ogni Borsa registra dei rialzi, in cui i giorni di compensazione vedono soltanto volti ilari di gente soddisfatta per avere incassato grosse differenze, le bande nere si rintanano spaurite nei loro nascondigli. Tutti allora sono rialzisti; e costoro non formano bande né bianche né nere ma vogliono essere un esercito di soldati valorosi che tengono in pugno la fortuna del paese. Fino alla primavera di quest’anno i rialzisti, acclamati e lodati, erano rimasti quasi esclusivi padroni del campo, malgrado qualche breve e cruenta scaramuccia che si sperava non dovesse lasciare traccie durature. La corsa conquistatrice dei rialzisti era stata lenta e prudente dapprima, rapida e brillante dappoi; e tutti auspicavano trionfi ancora maggiori.
Secondo i calcoli pazienti dell’Economista d’Italia il valore corrente di Borsa delle azioni emesse dalle società anonime ed in accomandita che al 31 dicembre 1901 era appena del 20,38 per cento superiore al valore nominale di emissione delle azioni stesse, superava questo valore del 25,34 per cento al 31 dicembre 1902, del 44,45 per cento al 31 dicembre 1903, e del 48,24 per cento al 31 dicembre 1904. L’aumento graduale aveva aggiunto in media ogni anno quasi il 10 per cento al valore iniziale dei titoli. Nel 1905 la corsa diventa rapida. Al 31 gennaio 1905 il plusvalore di Borsa sul valore nominale è del 48,71 per cento, al 28 febbraio è del 50,92 e risulta del 51,37 per cento al 31 marzo, del 53,36 per cento al 30 aprile, del 58,18 per cento al 31 maggio, del 59,60 al 30 giugno, del 61,67 al 31 luglio, del 68,05 al 31 agosto e del 69,25 al 30 settembre. Mese per mese la fortuna dei possessori di titoli si era accresciuta notevolmente; e i guadagni dei frequentatori sempre più numerosi delle Borse erano colossali, fatti a colpo sicuro, colla certezza quasi assoluta che alla fine mese i corsi di compenso avrebbero segnato un rialzo. Tutto ad un tratto ottobre segna un ribasso forte: il plusvalore è solo più del 63,95 per cento in media; e ribassa ancora al 60,61 per cento il 30 novembre. È un disinganno forte per coloro che si erano abituati a credere che l’esigere alla fine mese una differenza attiva dal proprio agente di cambio fosse una cosa tanto naturale come il succedersi dei giorni e delle notti, come l’alternativa dell’inverno e della state. Parve un brutto sogno irreale ed in questa credenza la gran falange degli speculatori ebbe a confermarsi quando vide che al 31 dicembre il plusvalore medio ritornava al 63,77 per cento, e risaliva al 67,87 col 31 gennaio e al 72,43 col 28 febbraio. Dunque è vero che i titoli debbono rialzare sempre in media, salvo momentanee depressioni. Dunque è certo che rialzeranno ancora! E nuovi rialzi, nuovi clamorosi trionfi si aspettavano.
Purtroppo non vennero. Dal 28 febbraio in poi L’Economista d’Italia facendo il solito ragguaglio dei valori correnti al valore nominale di ben 241 titoli quotati nelle Borse d’Italia, deve constatare che il plusvalore rimane fisso intorno al 72 per cento. Alla fine settembre il rapporto medio era del 72,21 per cento, ed è probabile che lo specchietto di fine ottobre segni una media più bassa. Resi rabbiosi dalla lunga aspettativa di un rialzo che non viene più, gli speculatori – che hanno titoli a riporto e che devono pagare alle banche interessi elevati e provvigioni discrete e ad ogni fine mese sborsare una differenza passiva per continuare un’operazione che non è più sicuramente proficua come nei bei tempi andati – cercano la causa di tanta disavventura. E come al solito in casi simili il grillo che eccheggia è: Dalli alle bande nere! Dalli alli untori malvagi che hanno gittato la mala sorte sulle nostre Borse, hanno scompigliato i bei giorni sapientemente architettati per far crescere la ricchezza nazionale! Dalli alla malnata genia che tripudia sulle rovine di tutti, che si pasce degli avanzi delle fortune accumulate in tanti mesi di intraprendente speculazione al rialzo!
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In verità questo linguaggio non è nuovo in Italia né fuori d’Italia. In tutti i tempi di speculazione sfrenata i rialzisti hanno accusato i loro avversari di essere nemici della patria, aggiotatori abominevoli, ed hanno su di loro invocato i fulmini dell’opinione pubblica e dei magistrati. Noi abbiamo sentito questo linguaggio in Italia nel 1893 e nel 1894 quando la rendita cadeva poco a poco più di 70 nella Borsa di Parigi, l’aggio saliva al 16 per cento, alcune grandi Banche chiedevano la moratoria ed altre fallivano, quando il capitale versato dalle Società per azioni italiane cadeva, per riduzioni, fallimenti, ecc., da 1.035 milioni nel 1892 a 796 nel 1894, quando ad un tasso medio dei profitti del 6,54 per cento nel 1882-88 si sostituiva un tasso del 0,77 per cento nel 1889-93, che in alcuni anni ed in molti casi singoli di convertiva in una perdita talvolta del 100 per cento. Anche allora si gridò alle bande nere, agli untori, ai nemici della patria; che allora si accusarono i ribassisti di volere rovinare l’economia nazionale. Oggi tutti sappiamo che quelle invettive erano parole prive di senso; e che i veri nemici della prosperità nazionale non erano i ribassisti, ma erano quegli amministratori della cosa pubblica che aveano sciupato una splendida situazione finanziaria e condotto lo Stato sull’orlo del fallimento; erano quei direttori di Banche, di intraprese edilizie, ecc., che aveano sprecato i capitali degli azionisti e dei depositanti in intraprese folli, prive di ogni seria base; erano quegli speculatori che, ben conoscendo l’intrinseco valore dei titoli da loro manipolati, li aveano spinti a quotazioni inverosimili, fuor d’ogni proporzione col rendimento effettivo delle intraprese. La crisi era inevitabile; e fu, non vogliamo dir merito, accortezza dei ribassisti di aver visto chiaro nei fatti e di avere provocato uno scioglimento che avrebbe forse potuto essere ritardato, ma sarebbe riuscito ancora più disastroso per l’aggiungersi di nuove pazzie a quelle già commesse. I ribassisti videro allora che la rendita italiana era quotata troppo alta, tenuto conto della poca solidità e dei disavanzi del bilancio, del rendimento delle imposte, della probabilità di tagli sui cuponi, ecc.; e giocarono al ribasso con fortuna. Di chi la colpa: ribassisti che allora videro giusto, o dei governanti che aveano male amministrato? Nessuna persona di buon senso può restare in dubbio un istante solo nel dire che i ribassisti non solo non furono colpevoli di nessuna azione disonesta, ma nel lodarli perché, forse senza volerlo, misero sull’avviso tutti che si precipitava su una china pericolosa, inducendo così il Governo a fare macchina indietro. Le brillantissime quotazioni odierne della rendita sona una conseguenza diretta dei ribassi di dodici anni fa: e forse coloro stessi che nel 1893 e nel 1894 giocarono disperatamente al ribasso, furono tra i rialzisti più fervidi quando l’ora della saggezza ritornò e scomparvero i disavanzi, l’aggio e tutta la sequela di indici infausti delle condizioni economiche italiane.
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Oggi il grido contrario alle bande nere torna a sentirsi nelle nostre Borse; ma in condizioni molto diverse da quelle di dodici anni or sono. L’unico fatto constatabile è questo: che i titoli in media non rialzano più, ed hanno anzi una leggera tendenza al ribasso: il che vuol dire che siccome la massa dei valori conserva suppergiù le vecchie quotazioni, e alcuni vedono cresciute, il ribasso è accentuato molto su alcune categorie speciali, su quelle che aveano nel periodo del rialzo goduto di plusvalenze maggiori.
Nessuno fra gli altri indici della situazione economica del paese segna un peggioramento: né il corso del cambio, né il movimento ferroviario, né il commercio internazionale, né i raccolti agricoli indicano uno stato di crisi o di depressione. Anzi il fervore della crescenza economica d’Italia pare accentuarsi ognora più: ed i lagni della insufficienza di tutti i servizi pubblici provano che l’attività industriale, commerciale, agricola del nostro paese è ancora sulla via maestra del progresso. La crisi odierna delle Borse è appunto in parte dovuta a questa magnifica e promettente ascensione del paese. Che se volessimo brevemente riassumere quali siano a parere nostro le cause della crisi di Borsa, potremmo enumerarle cosi:
- Il rincaro del costo del denaro su tutte le principali piazze d’Europa e d’America. Il recente rialzo del tasso dello sconto al 6 per cento da parte della Banca d’Inghilterra ha constatato ufficialmente questa carestia del denaro, dovuta a cause già esistenti negli anni scorsi a questa data – domande d’oro da parte delle nazioni esportatrici di cotone e di grano (Egitto, Stati Uniti, Argentina), rincaro dei carboni, del ferro e dell’acciaio, del rame, dello stagno, grandi domande per costruzioni ferroviarie, pre prestiti municipali e di Stato, ecc. – ma che quest’anno si palesono più vigorose e potenti. Buon segno, in conclusione, questo rialzo del denaro; poiché significa che le industrie, dopo tanto tempo che giacevano prostrate per l’influenza delle due ultime grandi guerre, anglo-boera e russo-giapponese, vigoreggiano nuovamente e crescono la loro produzione e quindi il loro bisogno di capitale circolante e fisso. Ma appunto perché il denaro è molto ricercato, è chiaro che esso debba essere caro e che i titoli si debbano capitalizzare ad un tasso più basso. Alcuni anni or sono i Consolidati inglesi quotavano 116 lire o rendevano lire 2,75 ossia il 2,37 per cento; oggi quotano lire 86,5 e fruttano lire 2,50 ossia il 2,89 per cento; il che significa che il titolo reputato universalmente il primo del mondo per la sicurezza sua oggi è capitalizzato assai più basso di un anno o due or sono. I capitali che trovano da impiegarsi fruttuosamente in mille modi diversi, che sono attratti verso talune categorie di titoli da rendimenti molto elevati, disertano altri impieghi, ove non vi sieno trattenuti da un rialzo dell’interesse, oppure, il che torna lo stesso, da una riduzione di valore capitale. L’Italia non si sottrae a questa legge generale. Il nostro mercato monetario, scomparse le barriere dell’aggio, è così strettamente unito con quelli stranieri che il rincaro del tasso del denaro si ripercuote anche da noi, ove del resto il rincaro è favorito dalla stessa meravigliosa ascensione economica del paese.
- 2) Il rincaro del denaro ed il fiorire dell’industria sono per un altro verso causa del ristagno dei corsi di Borsa. Negli ultimi due anni moltissime intraprese private si sono convertite in società anonime per azioni, per crescere il loro capitale ed ottenere così mezzi larghi e pronti alla loro espansione. Il risparmio annuo aumentato da 500 ad 800 milioni di lire circa, ha assorbito ed assorbe di giorno in giorno questo stock enorme di azioni che è gettato sul mercato; e le Borse italiane, apprezzando nel 1905 e nei primi mesi del 1906 le azioni meglio di quanto non si usasse nel passato hanno favorito l’assorbimento da parte del pubblico. Fu questo il lato benefico della tendenza al rialzo; poiché i capitalisti, per l’indole loro, comprano i titoli quando rialzano, non mai quando ribassano. Ma il fatto che era possibile emettere delle azioni con premio e negoziarle in Borsa con profitto, ha provocato sempre nuove creazioni di società anonime, buone, mediocri e pessime, finché la offerta quotidiana di titoli divenne superiore alla quantità che il risparmio poteva assorbire. Rimase quindi e si accrebbe la massa dei titoli fluttuanti, che non sono ancora classati e che naturalmente deprimono i corsi. La creazione di società anonime fu favorita dalla facilità colla quale le banche prendevano a riporto i titoli che non avevano trovato ancora collocazione stabile nei portafogli dei capitalisti. Venne un momento in cui le banche si accorsero di avere ecceduto alquanto nel consentire riporti, immobilizzando soverchiamente le somme da esse ricevute in deposito a breve scadenza; e noi vedemmo la Banca Commerciale ridurre dal 31 agosto al 30 settembre i riporti da L. 113.690.919 a 103.026.766 e il Credito Italiano da lire 69.891.537 a 67.567.789. Fu provvedimento saggio e prudente; ma fu anche causa di vendite affrettate di titoli da parte di coloro che li avevano dati a riporto e che non potevano altrimenti restituire le anticipazioni avute fuorché vendendo i titoli. Attraversiamo cioè un periodo nel quale il risparmio, sebbene crescente, trova difficoltà a smaltire titoli offerti in vendita, i quali crescono in misura ancora maggiore.
- 3) non bisogna infine dimenticare che il rialzo verificatosi in poco più di un anno della plusvalenza sul valore nominale delle azioni quotate in Borsa dal 48,24 per cento (31 dicembre 1904) al 72,59 per cento (31 marzo 1906) fu cagione di molte rapide fortune. Coloro che accumularono ricchezza coll’incremento di valore delle azioni metallurgiche, zuccheriere, automobilistiche, ecc. ecc. vollero mettere al sicuro una parte almeno delle ricchezze acquisite; ed a poco a poco realizzarono per cercare altri investimenti più riposati, più sicuri. è un fatto umano, che sarebbe assurdo biasimare e che spiega come siano tornate in favore le Rendite, le obbligazioni fondiarie, ferroviarie a reddito fisso che un anno fa erano disdegnate persino dai più prudenti padri di famiglia. Ed è umano, è naturale che i realizzi spesseggino in quelle categorie in cui il rialzo fu più repentino ed accentuato e in cui sembrano più fragili ai capitalisti le fondamenta del rialzo. O forse che precipitano i valori antichi, ben conosciuti, il cui rendimento è basato su operazioni industriali già passate al crivello dell’esperienza? No. I capitalisti preferiscono realizzare a vicenda o valori automobilistici, quando sembra che essi siano stati capitalizzati fuor di proporzione col rendimento attuale o futuro, o titoli metallurgici, quando,l’opinione pubblica desta, reclama un controllo più severo sulle forniture di Stato, o titoli saccariferi, quando sembra acquistare probabilità l’attuazione di un regime meno protettivo sugli zuccheri. Ed è forse un male che i capitalisti cerchino di rendersi conto dell’indole delle industrie di cui comprano i titoli; ed, in tanta ressa di offerenti, preferiscano la roba buona e scartino la cattiva? E non è assurda – da parte di coloro che vogliono lo zucchero, il ferro, le corazze, gli automobili a buon mercato – la pretesa che i capitalisti abbiano a comperare sempre più care precisamente le azioni di zuccherifici, di acciaierie, di fabbriche automobilistiche?
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Concludiamo che ne è tempo. È mestieri che l’opinione pubblica sappia serenamente valutare le vicende di Borsa, senza lasciarsi trascinare a condanne, od esaltazioni impulsive. Bande nere, cospirazioni, complotti di Borsa sono quasi sempre parole prive di senso. Sul terreno grasso delle Borse si sviluppa, è vero, una verminaia di parassiti che cercano di acchiappare i gonzi e di vivere truffando. Ma in complesso fan poco male ed i gonzi che si lasciano turlupinare nove volte su dieci hanno meritato il malanno e le beffe perché hanno voluto giocare in Borsa come si giuoca al lotto, senza sapere nulla del meccanismo finanziario, senza curarsi di nulla imparare intorno ai titoli che essi quotidianamente compravano o vendevano.
O non si è dato spesso il caso di gente che comprava azioni di miniere credendo di comprar automobili, o viceversa? Colpiscano i magistrati i truffatori che esercitano la loro arte nelle Borse; escogiti il legislatore mezzi acconci per impedire che le Borse si convertano in bische, ove i malaccorti sono svaligiati di santa ragione. Ma non immaginiamo che truffe e complotti costituiscano l’essenza di questo meraviglioso e fecondo ed utilissimo organismo che son le Borse; non crediamo sul serio che i ribassi siano dovuti a bande nere e somiglianti ridicolaggini. Rialzisti e ribassisti sono spesso le stesse persone in tempi diversi; e – quando trattasi di professionisti e non di giuocatori a casaccio, meritevoli di tutta la rovina che quasi sempre li aspetta – son coloro che cercano di prevedere le variazioni future dei prezzi, dei dividendi, dei corsi e di speculare in base a questa loro previsione. Nello speculare essi cercano il guadagno proprio; ma se hanno previsto bene, recano vantaggio alla Società perché, coi rialzi avvertono il pubblico che le finanze di uno Stato o le sorti di un’azienda vanno bene, e coi ribassi lo trattengono dall’investire capitali in titoli di Stati a finanze avariate o di imprese pericolanti o dubbiose. Se poi rialzisti e ribassisti si sono ingannati nelle previsioni, sia pace ad essi; poiché nessuno certo vorrà pagare in vece loro le perdite che dovranno subire.
Sempre ci furono e ci saranno e sempre ci saranno rialzisti e ribassisti desiderosi di pescar nel torbido, di operare non su accorte previsioni di fatti futuri o su esatta conoscenza di raccolti, o di intraprese, ma su notizie false propagate ad arte, sul gonfiamento artificioso dei titoli di imprese fantastiche o poggiate esclusivamente sui favori governativi. Ma la loro vita è destinata a diventare di giorno in giorno più dura. Sinora essi aveano una mediocre paura della giustizia umana. La quale è legata da troppi impicci e attraverso alla sottigliezza delle formule giuridiche male riesce a colpire la sottilissima frode borsistica. D’ora innanzi essi dovranno anche tenere conto di un’altra magistratura: quella della opinione pubblica, assai più agile e snella vendicatrice. Ricordiamo a quale grado di potenza sia giunta l’opinione pubblica di fronte alle Borse in Inghilterra. Anche là pullula una fungaia velenosa di giornaletti e di libelli quotidiani e settimanali che pretendono di indirizzare i capitalisti nella scelta dei titoli da comperare e sono invece lo strumento di estorsioni e di inganni. Ma son sorti anche dei grandi giornali finanziari – ricordiamo l’Economist, lo Statist, la Investors’ Review – che hanno sostenute campagne celebri contro i contrabbandieri delle Borse, che hanno messo alla gogna i promotori di imprese frodolente, che non hanno temuto di attaccare un titolo quando più la speculazione al rialzo infieriva su di esso e il pubblico inconsapevole accorreva a comperarlo. Oggi nessuno più contesta loro il diritto di occuparsi della consistenza delle società che hanno emesso un titolo in Borsa, e di emettere criteri anche ostilissimi sui promotori di imprese reputate non buone. Speriamo che presto questo diritto non sia più contestato a nessuno anche in Italia.