Il minimo nazionale di vita. La limitazione dei beni
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1975
Lezioni di politica sociale, Einaudi, Torino, 1975, § 35
Poiché non mi è possibile in questa lezione introduttiva, entrare nei particolari, dirò solo quale sia il concetto informatore della legislazione sociale. Si tratta di giungere per vie diverse ed adatte a far sì che ogni uomo vivente in una società sana disponga di un certo minimo di reddito.
Si può discutere se ciò significhi diritto al minimo. Repugno alla affermazione di un vero e proprio diritto, reputando più vantaggioso giungere altrimenti allo stesso risultato. Basti affermare il principio generale che in una società sana l’uomo dovrebbe poter contare sul minimo necessario alla vita. In fondo tutta l’opera delle trade-unions inglesi, un’opera che oramai dura da più di un secolo, mira ad obbligare l’imprenditore a pagare agli operai un minimo di salario, minimo che deve essere garantito a tutti coloro assunti a lavoro. Poiché quel risultato fu ottenuto dalle trade-unions inglesi, quelle stesse che da noi sono chiamate “sindacati operai”, con sforzo secolare, con scioperi, ricorso a comitati di conciliazione, a trattative paritetiche, il minimo ottenuto con grande sforzo non è più un incitamento all’ozio. Non si spreca, come per tanti anni si temé e si rimproverò, nel vino e nell’ozio quello che è durato anni e anni di sforzo per poter essere ottenuto. Si spreca quel che si ottiene d’improvviso, per intimidazione e senza merito.
Se le classi operaie in Inghilterra ed anche in Italia (si ricordi il progresso compiuto tra il 1880 e il 1914, testimoniato da tanti dati e frutto anche di uno sforzo consapevole) sono riuscite ad affermare il diritto al minimo di salario, con ciò non si è fatto nulla che sia contrario ad alcuna legge economica. Si è affermato e conquistato il principio che il prestatore d’opera possa, forte della solidarietà con gli altri operai e dei fondi da lui volontariamente accumulati nel suo sindacato, trattare da paro a paro con l’imprenditore ed ottenere che siano garantite a tutti i lavoratori condizioni uguali minime di salario e di lavoro.
Non sempre, tuttavia, si lavora, non sempre si può godere del minimo di salario. Disoccupazione, infortuni, malattie, invalidità e vecchiaia, attentano alla continuità del lavoro. E allora la domanda è se lo stato per mezzo delle imposte non dovrebbe garantire a tutti un minimo in tutte le contingenze della vita nelle quali sia impossibile di lavorare. E c’è di più. Taluno sostiene invero la tesi che il minimo di punto di partenza dovrebbe essere garantito, astrazion fatta dalle circostanze in cui uno si trova nella vita. Egli dovrebbe fruire dell’assicurazione del minimo solo perché nasce.
Se un consenso abbastanza largo si trova, sia pure con le cautele necessarie, per la tesi del minimo nei casi di impossibilità a lavorare, i dubbi sono assai più grandi per la seconda tesi. Queste idee possono essere accolte?; entro quali limiti necessariamente potranno essere accolte? La soluzione dipenderà sempre da molte circostanze, dalla ricchezza del paese, dal livello di vita, dalla distribuzione delle proprietà, circostanze che dovrebbero essere esaminate caso per caso prima di giungere ad una conclusione che abbia il marchio della attuabilità e non delle semplici fantasie che sono per lo più socialmente pericolose. Anche chi ammette il concetto del minimo nei punti di partenza, sa che bisogna cercare di stare lontani dall’estremo pericolosissimo dell’incoraggiamento all’ozio.
Questo è il freno che deve stare sempre dinnanzi ai nostri occhi. Dobbiamo evitare il pericolo di ricreare qualche cosa come il panem et circenses che ha portato alla rovina del mondo romano. Non sono stati tanto i barbari che hanno fatto cadere l’impero romano; ma l’impero era marcio in se stesso; ed una delle cause della decadenza interna era che i cittadini romani sdegnavano di essere soldati, lavoratori, perché, mantenuti dallo stato, preferivano andare ad assistere nel foro agli spettacoli, alla caccia data ai cristiani dalle belve, ecc. ecc.
L’idea nostra dovrebbe essere un’altra, ossia che il minimo di esistenza non sia un punto di arrivo ma di partenza; una assicurazione data a tutti gli uomini perché tutti possano sviluppare le loro attitudini. C’è del vero in quel che si dice che molte invenzioni non prendono corpo, che molti progetti non si attuano perché i più degli uomini sono costretti a una vita dura che assorbe tutte le loro forze e la loro intelligenza. Se un minimo di punto di partenza consentisse ai giovani di poter continuare a studiare, a fare ricerche, ad inventare, a trovare la propria via senza dover fin da troppo giovani lavorare nelle fabbriche, verrebbero fuori studiosi e inventori che oggi non ne hanno la possibilità.
A questo ideale dobbiamo tendere. Ma non dimentichiamo mai che quando Dio cacciò Adamo ed Eva dal paradiso terrestre disse loro: «voi guadagnerete il vostro pane col sudore della fronte». Il pane deve diventare certo più abbondante per tutti ed anche altre molte cose dovranno essere messe a disposizione gratuita degli uomini. Ma in perpetuo durerà la legge per cui gli uomini sono costretti a strappare col lavoro alla terra avara i beni di cui essa è feconda.