Opera Omnia Luigi Einaudi

Il governo delle «cose»

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1919

Il governo delle «cose»

«La Rivista d’Italia», 1919, fasc. 1, pp. 35-43

Gli ideali di un economista, La Voce, Firenze, 1921, pp. 205-218

 

 

 

Soltanto la liberazione internazionale delle classi lavoratrici dal dominio

capitalistico potrà dare alle Nazioni la possibilità di restaurare

rapporti di fraternità e di concordia, perché il governo delle cose,

sostituito al governo delle persone, assicurerà a tutti la vita di un

regime di giustizia e di eguaglianza.

 

(Da una lettera aperta del segretario del Partito Socialista Italiano,

Costantino Lazzari, al Presidente degli Stati Uniti Wilson, del 3 gennaio

1919 e pubblicata nell’Avanti! del 4 gennaio 1919).

 

 

Non ho citato questo brano di prosa socialista ufficiale italiana per discutere i concetti che vi sono contenuti; ché mi parrebbe arduo assunto precisare il valore di due affermazioni inspirate unicamente alla fede e prive di qualsiasi appoggio nell’esperienza storica o psicologica e nel ragionamento. Come «la liberazione internazionale delle classi lavoratrici del dominio capitalistico possa restaurare rapporti di fraternità e di concordia fra le nazioni» è misterioso, tanti essendo nella storia gli esempi di società “non capitalistiche” e talora “comunistiche” tra di loro guerreggianti; ed è ancora più difficile indovinare in qual maniera un governo di cose sostituito a quello delle persone possa «assicurare la vita di un regime di giustizia e di eguaglianza». Queste affermazioni vaghe e solenni nel tempo stesso, questa insistenza nel fare del regime capitalistico l’unico motore della storia e l’unica spiegazione delle guerre e delle paci, del caro viveri e del contento e malcontento sociale è un’altra testimonianza dell’isolamento intellettuale in cui l’adorazione del Vangelo di Carlo Marx ha posto i seguaci della fede socialista; sicché oggi non si accorgono che quella che poteva sembrare, sebbene non fosse, una grande scoperta scientifica ai suoi tempi, oggi è stata superata e nessuna storia più si scrive, la quale si inspiri a quell’unico canone, che fece la fortuna del materialismo storico. Ma il Lazzari ed i suoi compagni non vogliono scrivere storie. Vogliono fare della storia; ed all’uopo indubbiamente giova bandire un verbo, il quale, alla pari di tutti i misteri, faccia presa sulle moltitudini e, colla promessa del paradiso terrestre, le spinga all’azione.

 

 

Citando quel brano fu invece mio proposito rilevare la frequenza con cui nei programmi politici di tutti i partiti compare una frase, che il barone Manno avrebbe potuto acconciamente illustrare nel suo libro intorno alla «fortuna delle frasi»: quella del «governo delle cose sostituito al governo delle persone». L’occasione particolare in cui la frase è ripetuta poco interessa. Importa invece rilevare come essa venga introdotta nel discorso politico per ottenere un certo effetto di persuasione e quasi di sbalordimento, che nessuna frase potrebbe ottenere, se per lunga consuetudine dessa non fosse oramai penetrata nella mente degli ascoltatori e non avesse la virtù di persuaderli irresistibilmente della verità della tesi sostenuta dall’oratore e dallo scrittore.

 

 

Non ho tempo, e forse non ne varrebbe la pena, di ricercare, colla pazienza di un Manno, le origini della fortuna di quella frase. Ho la vaga impressione che quell’origine sia italiana. Non mi è accaduto di trovarne traccia nella letteratura politica inglese, che è la fonte di ogni sapienza politica moderna; ma di ciò forse la colpa è dovuta alle mie scarse letture. Tuttavia si può osservare che né quella frase né alcun’altra che le si avvicini è studiata nell’aureo libro di Sir George Cornewall Lewis intitolato Remarks on the use and abuse of some Political Terms, il che mi fa credere che nel 1832 quel concetto non fosse né popolare né apprezzato nel mondo politico britannico. Ed i primi parlamentari nostri erano troppo imbevuti di teorie inglesi, troppo persuasi della necessità di far trionfare la teoria nella pratica per adattarsi a bandire un concetto che avrebbe lor saputo troppo di materialismo. Il curioso il quale ricercasse le origini della frase probabilmente non avrebbe gran successo nel periodo anteriore al 1876, quando nel parlamento e fuori si combattevano grandi battaglie fra principii ed idee opposte. Le mie reminescenze mi porterebbero a credere che il grido «bisogna sostituire il governo delle cose al governo delle persone» sia divenuto frequente e popolare durante il trasformismo, quando faceva d’uopo trovare qualche “motivo” semplice e trascinante di critica al caleidoscopio di ministri e di ministeri, che fu caratteristico del lungo governo personale di Depretis. Crebbe la sua forza persuasiva ed acquistò quasi valore di assioma quando, scomparso Depretis, si vide il governo d’Italia, dopo l’interregno di Crispi, cadere e rimanere a lungo nelle mani di un’altra persona, il Giolitti, governante anch’egli a mezzo di suoi devoti servitori. Parve allora alta sapienza politica invocare un governo “di cose”, che facesse contrapposto al governo “personale” di quegli uomini. E l’accettazione dell’assioma fu facilitato dal diffondersi del cosidetto socialismo “scientifico” e dal suo affermarsi nelle aule parlamentari; essendo ben noto che una delle idee madri le socialismo cosidetto “scientifico”, forse anzi la sua idea filosofica fondamentale è quella esposta dal Marx in succinto col dire che, mentre Hegel pone la storia sulla testa, bisogna capovolgerla per rimetterla sui piedi. Ed ognuno sa che, in base a questo capovolgimento, la storia dovrebbe essere spiegata con le variazioni dei processi di produzione, delle macchine e cose simili. Poi, siccome le idee stanno nella testa degli uomini e non nello stomaco o nei piedi o nei processi produttivi o nelle macchine, parve di buon tono credere che fosse una nuovissima e grandissima scoperta scientifica l’aver immaginato che la storia non la facessero gli uomini, colle loro idee, passioni e sentimenti, ma gli oggetti inanimati che circondano l’uomo di cui questi si deve servire per soddisfare ai suoi bisogni. E si sentì discorrere delle cose che fanno la storia, della necessità di sostituire nelle scuole allo studio delle battaglie e delle successioni e delle vite e morti dei re e dei grandi uomini, lo studio delle istituzioni, delle moltitudini, dell’”ambiente” economico, infine delle “cose”, che inducono gli uomini a muoversi e ad agire, come fanno i fili alle marionette in un teatro di burattini. Così, la frase “governo di cose e non governo di persone” nata dal fastidio di trent’anni di governo “personale” acquistò dignità di sentenza filosofica ed il suo potere magnetico di convincimento immediato divenne più grande che mai.

 

 

Se il Lazzari avesse semplicemente scritto che «soltanto la liberazione delle classi lavoratrici dal dominio capitalistico potrà dare alla nazione la possibilità di restaurare rapporti di fraternità e di concordia perché solo essa può assicurare a tutti la vita di un regime di giustizia e di uguaglianza» i lettori dell’Avanti! sarebbero rimasti ugualmente persuasi, essendo i lettori dei giornali, di qualunque giornale, per definizione propensi a lasciarsi persuadere dal loro foglio prediletto; e tanto più sarebbero rimasti persuasi in quanto si trattava della ripetizione, con parole variate, sotto forma prima di teorema dimostrando e poi di dimostrazione, del medesimo “mistero”. Ma sarebbe mancata quella pienezza di persuasione, che può nascere dall’addurre a prova di un concetto un principio universalmente noto, al quale tutti per moto spontaneo si inchinano. Quel principio è “il governo delle cose sostituito a quello delle persone”; notissimo, sentito le mille volte ripetere, non oppugnato da alcun uomo politico, anzi da tutti assunto come segnacolo in vessillo; epperciò dotato di una irresistibile forza convincente. Quando in una assemblea politica si sente l’oratore bandire con forza la necessità di sostituire il governo delle cose al governo delle persone, par di vedere le teste degli ascoltatori inchinarsi in segno di approvazione e le mani alzarsi da sé per plaudire; e chi, per giovinezza od inesperienza di cose politiche, sente per la prima volta quella frase è tratto a pensare, vergognandosi di sé medesimo e della sua ignoranza, che il significato di essa deve esser ben chiaro e ben profondo se il consenso degli ascoltatori è così pieno e pronto. Né, d’allora in poi, egli tarderà ad unire i suoi ai segni di approvazione universale, ogni qual volta quella frase giungerà al suo orecchio.

 

 

I guai cominciano quando lo stupefatto ascoltatore tenta di rendersi ragione della vergogna che lo ha assalito quando s’avvide di non sapere quel che gli altri dimostravano di comprendere così facilmente col plauso delle mani e con l’assenso di tutte le membra. Che cosa sarebbero queste tali “cose” le quali dovrebbero governare in luogo degli “uomini”? Cose sono tutto ciò che esiste ad eccezione degli uomini. Pare che le cose debbono essere oggetti materiali, tangibili e misurabili od almeno estrinsecazioni esteriori di una attività umana. È “cosa” una macchina, un campo, un albero, un libro, un quadro; sono cose anche un discorso, una lezione, in quanto il discorso e la lezione si separino dalla persona dell’oratore, e certi moti delle labbra diano luogo a certe vibrazioni dell’aria che si comunicano all’ascoltatore. Non pare che possano essere definite “cose” le qualità di intelligenza e di cultura che consentono all’oratore di fare il discorso e neppure le idee che vi sono contenute. Non sembra nemmeno che le “azioni” compiute dagli uomini in seguito a quei discorsi od a quelle idee possano essere definite “cose”.

 

 

Se tutto ciò è vero, come si può, con esattezza letterale di linguaggio, augurarci di essere governati dalle “cose” invece che dagli uomini? È già repugnante che si possa affidare il governo della società ai piedi od allo stomaco degli uomini; ma pare privo di senso volerlo affidare addirittura ai sassi, agli alberi, alle macchine, ai libri ed i discorsi, intesi questi ultimi come oggetti tangibili o misurabili o fonografabili. La frase dunque “governo delle cose” intesa nel suo significato letterale è priva di senso.

 

 

Ove glie se ne voglia dare uno ragionevole, si presenta alla mente quello di governo condotto in base alla “natura delle cose”, al ragionamento, alla logica. La frase sarebbe perciò un appello a governare in base ad idee generali, a principii dimostrabili e tali da sostenere l’urto della pubblica critica. Le “cose” starebbero al posto della vecchia, alquanto screditata “ragione”. In un’epoca di materialismo e di positivismo si aveva un po’ di ritegno nell’invocare l’avvento della “ragione”, la quale aveva dato così belle prove di sé durante il periodo aureo in cui essa imperò, producendo le costituzioni di carta della rivoluzione francese, il terrore e Napoleone. Parve più “positivo” invocare che gli uomini si dovessero governare secondo l’ordine naturale delle “cose”, il che vorrebbe dire secondo la “ragione” positivisticamente intesa, quella che vuole giungere alla massima felicità del maggior numero degli uomini. Il contrapposto delle “cose” agli “uomini” dovrebbe mirare ad escludere quel che vi è di fazioso, di personale, di passionale, di sentimentale nell’anima dei governanti come dei governati. Si vorrebbe il governo secondo leggi oggettive ed imparziali, invece che secondo l’arbitrio degli uomini.

 

 

Anche questa è una definizione oltremodo debole della frase governo delle “cose”. La esperienza storica prova essere impossibile governare secondo “ragione”; ed essere un fatto incontroverso che i sentimenti, le passioni ed anche i pregiudizi degli uomini sono una forza di valore grandissimo di cui devono tenere assai conto la scienza e l’arte di governo. Si possono produrre effetti perniciosissimi quando si pretenda governare col solo sussidio della ragion ragionante; mentre spesso le nazioni furono condotte ad alto grado di prosperità da uomini poco sapienti e volitivi, i quali seppero volgere a mete sublimi le passioni, anche irragionevoli, delle moltitudini. L’oggettività e la imparzialità, che risiederebbero nelle “cose” non danno affatto alcuna garanzia di governo efficace e corretto. Governi celebrati nella storia come i migliori, che lasciarono dietro di sé più buon ricordo nelle popolazioni non furono quelli condotti colla logica del puro ragionamento. Dove e quando furono tentati, i governi “logici” diedero assai lacrimevole prove di sé.

 

 

Una variante del concetto delle “cose governatrici degli uomini” è quella degli avvenimenti i quali accadrebbero all’infuori degli uomini e che spingerebbero costoro innanzi come tratti da un turbine al quale sarebbe follia resistere. Specialmente in tempi torbidi la teoria degli avvenimenti “superiori alla volontà degli uomini” ha gran voga. Non più le cose materiali; ma certi influssi extra-umani agirebbero potentemente a determinare le vicende politiche, traendo, con una forza magica, ad esempio, la Russia dallo Czar ai Cadetti, dal principe Lvoff a Kerenski a Lenin ed a Trotzki; ed oggi la Germania da Guglielmo II a Massimiliano di Baden e poi ad Ebert e quindi, se non fosse stato nel frattempo fucilato, a Liebknecht; ed ambedue i paesi ad altri “fatali” e non mutabili destini. Una cosa misteriosa ed inosservabile, il “fato” o la “storia” od il “progresso” dalla nobiltà alla borghesia e da questa al proletario guiderebbe gli uomini e vana sarebbe ogni resistenza.

 

 

È questa la teoria dei vinti, dei fiacchi e dei timidi. Luigi XVI non osava dare l’ordine con cui un sottotenente d’artiglieria, che poi si chiamò Napoleone, si teneva sicuro di sapere incanalare la rivoluzione verso una meta diversa da quella che fu raggiunta in mancanza di una mano ferma e capace di indirizzarla. Se si analizza a fondo la “cosa” inesplicabile, si vede che gli avvenimenti di ieri e di oggi non sono “fuori di noi”, ma in noi stessi, e la loro direzione e la loro velocità sono determinate dalla nostra volontà od assenza di volontà, dalla nostra operosità od ignavia, dalla consapevolezza dei nostri doveri, dalla quantità di sacrificio e di sforzo che siamo disposti a sopportate pur di raggiungere la meta da noi voluta o di impedire che altri raggiunga una meta non voluta da noi. Quante volte l’unità italiana parve una vana utopia e non fu essa tuttavia raggiunta per la tenace volontà di pochi uomini che si chiamavano Cavour, Mazzini, Garibaldi? L’indipendenza americana e la vittoria del Nord liberatore contro il Sud schiavista non furono forse avvenimenti tutt’altro che “fatali”; non furono anzi miracoli  dovuti alla tenacia di volontà di uomini che ebbero nome Washington e Lincoln? Se domani un governo supernazionale sarà un avvenimento concreto, chi oserà affermare che esso sia stato un avvenimento imposto dal di fuori agli uomini, e non invece un’idea pura concepita dai filosofi ed imposta agli uomini recalcitranti da un uomo degli altri più veggente e tenace? Certo, nessuna idea si attua d’un tratto, appena concepita; e tale rapidità sarebbe una sventura per gli uomini, soggetti ad un turbinio incomposto di esperienze inconcludenti. Ogni idea ha la sua genesi in idee precedenti, da cui essa germina e che essa è destinata a superare. È un privilegio del genio quello di scoprire ed affermare l’idea politica la quale in un dato momento è il perfezionamento possibile più alto delle idee precedenti e dominanti; ma nel far ciò egli non accetta un verbo impostogli da un misterioso ed inafferrabile “al di fuori”, sebbene, conoscendo profondamente se stesso e gli uomini, le loro passioni, i loro sentimenti, le loro idee ed aspirazioni, sa formulare quell’ideale che è più capace di trascinarli verso un gradino più alto della loro vita materiale e spirituale.

 

 

Alcuni confondono le “cose” con i “programmi”. Sfiduciati per aver veduto troppo spesso gli uomini arrivati al potere governare dimenticandosi delle fatte promesse, sognano un paese, in cui i governati sarebbero gli esecutori di un certo numero di punti di un programma bandito nelle elezioni in contraddittorio con altri programmi, e prescelto dal corpo elettorale; e suppongono che in Inghilterra, negli Stati Uniti ed altrove esistano davvero i governi di quei pezzi di carta, detti programmi, che i ministri applicherebbero senz’altro. Ecco, si dice, il governo delle cose sostituito al governo delle persone. Nulla di più fantastico di queste credenze. In ogni paese, anche in quelli che sono i depositari venerandi delle norme di governo rappresentativo, l’inosservanza dei programmi è la regola. Ché i programmi rispondono a situazioni passeggere, le quali non sono più, quando un partito giunge al potere, le stesse che esistevano quando esso, anelante di arrivarvi, formulava il programma. Ed anche quando si vedono grandi uomini di Stato come Camillo Cavour, Washington, Lincoln, Wilson attuare sul serio i programmi e le promesse elettorali, ciò accade perché eccezionalmente essi antiveggevano i bisogni del futuro e volevano essi stessi creare quel futuro. La virtù di quei governi non stava nel programma – inerte pezzo di carta – ma negli uomini che avevano, essi, voluto quel programma. Ed è tanto vero ciò che tutti plaudirono a Roberto Peel, quando abbandonando il partito suo e le promesse contenute nel suo programma elettorale si voltò verso la parte avversaria e propugnò l’abolizione dei dazi sui cereali che aveva prima sostenuto.

 

 

Qui si vede che la virtù dei governi non sta nelle cose inerti, negli schemi della ragion ragionante opposta alle passioni umane, nelle elencazioni sterili dei programmi elettorali. Essa sta negli uomini che hanno idee e che le vogliono far trionfare; che perciò combattono gli uomini i quali, privi di idee, vogliono solo il trionfo di se stessi e dei piccoli loro interessi e delle ribalte loro passioni. Governo di cose invece che governo degli uomini vuol dire perciò governo delle “idee” incarnate in uomini, i quali per farle trionfare, si giovano delle passioni umane, di quelle generose e di quelle ordinarie, altruistiche od interessate e tutte le scagliano, a guisa di catapulta, contro gli uomini semplicemente dotati di accortezza o di furberia, i quali irridono alla teoria e si tengono fermi alla pratica della soddisfazione ai piccoli interessi ed alle piccole passioni e coll’imbroglio e con l’inganno usano sopraffare gli avversari. Sono le idee che fanno muovere gli uomini e che fanno servire le cose materiali ai fini che l’uomo si propone. In questo senso soltanto la frase “bisogna governare colle cose invece che cogli uomini” può acquistare un valore che non pare abbia fin qui avuto. Essa sorse in un’epoca scura per l’Italia; quando da taluni s’invocavano le “cose” per aver agio di sostituire alla vecchia generazione di coloro che avevano fatto l’Italia – ed avevano gli uni, gli uomini di destra, idee salde e vasta esperienza, e gli altri, quei di sinistra, passioni accese – una nuova generazione di gente fredda e pratica, senza idee e senza passioni, la quale si proponeva di governare l’Italia come se fosse una “cosa” qualunque, un meccanismo morto da far lavorare a proprio profitto; si rinvigorì quando, pel trionfo di un grossolano positivismo e pel diffondersi di un materialismo cosidetto “storico” parve elegante disconoscere la forza delle idee e di pretese che il mondo fosse governato dal ventre, il quale è indubbiamente un meccanismo interessante, che deve essere fatto funzionare perché l’uomo possa vivere una vita più alta, ma non è il fattore remoto e fondamentale della storia umana. In questa bassa assenza di moventi ideali dell’azione politica, parve vanto per gli uomini di governo straniarsi della loro qualità di uomini, affermare che non esistono e non possono esistere uomini capaci di guidare colla forza del loro intelletto e colla vigoria delle passioni messe al servizio di una idea i popoli verso più alti destini. Parve abile ai piccoli uomini, i quali volevano, durante il trasformismo e poscia, sostituire le loro “persone” alle persone dei governanti ed i quali sapevano di non avere idee proprie ad opporre alle “non idee” altrui, affermare a scanso di fatica e di impegni, che non gli uomini debbono da sé decidere delle proprie sorti, ma che queste debbono essere fissate, volenti o nolenti gli uomini, da certe inerti entità metafisiche, dette “cose”: macchine, terre, porti, valli, fiumi, mari, ferrovie, salariato, capitalismo.

 

 

Storia e teoria politica si popolarono di miti, di dei dominatori a cui la gente guardava con terrore dicendo: son “le cose” che ci governano! Frattanto, all’ombra delle “cose” i piccoli uomini tessevano i loro intrighi e impedivano che le moltitudini seguissero i loro duci ideali. Così fu che, allo scoppio della guerra europea, ci trovammo senza un capo, senza una guida universale riconosciuta; così fu che l’operazione di Antonio Salandra in Campidoglio rimase senza seguito e nessun frammento dell’oratoria interminabile, che si rovesciò sul paese durante questi quattro anni suscitò un’eco profonda nel cuore degli italiani, prima che le rapide, fresche risposte del presidente americano ai nostri indirizzi non ci ricordassero nuovamente che si può avere delle idee ed esprimerle candidamente e trascinare col candore e colla sincerità dietro di sé i popoli. Ma oramai pare che l’eco delle “cose” sia tramontata; e che siano sorti nuovamente in Italia uomini che hanno delle idee e vogliono primeggiare e governare, come uomini vivi, per farle trionfare. La guerra fu vinta, perché in Italia vi fu chi seppe persuadere alle moltitudini che non le “cose” concrete hanno valore, non gli eserciti formidabili ed i cannoni e le macchine, e le organizzazioni; ma il sacrificio e la tenacia e la virtù di resistenza e la consapevolezza di dover vincere o morire per un ideale. Che cosa importa se gli uomini che ebbero fede non sempre si trovarono al governo della “cosa” pubblica? In realtà furono essi i veri governanti del paese, perché essi spinsero governi e popoli ad agire, a durare la lunga fatica ed a vincere. Da quattro anni il motto non è più: governano le cose per mezzo degli uomini che non hanno né idee né passioni; ma come già nella grande epoca del risorgimento: “governano gli uomini di pensiero e d’azione che mettono le loro passioni al servizio di un’idea e sanno trascinare gli altri ad attuarla”. La pace sarà vinta ed i problemi del dopo guerra saranno risoluti quanto più gli uomini dalle idee profondamente concepite e sentite prevarranno contro gli uomini, i quali spregiano le idee ed hanno il culto delle cose morte e degli avvenimenti accaduti al di fuori della loro

volontà.

 

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