Il dazio sui libri e il fiscalismo italiano
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 25/07/1904
Il dazio sui libri e il fiscalismo italiano
«Corriere della sera», 25 luglio 1904
Coloro che in Italia hanno l’abitudine od il dovere di leggere libri inglesi od americani, sono da qualche tempo sottoposti ad una serie di vessazioni inutili e ridicole da parte della posta e della dogana italiane che vale la pena di denunciare all’opinione pubblica, affinché questa ne faccia giustizia sommaria. Come è noto, la più gran parte dei libri inglesi sono legati. Gli editori fanno legare tutte le copie che mettono in vendita, né sarebbe possibile il più delle volte procurarsene una copia non legata.
Orbene, sinora questi libri legati venivano spediti dall’estero in Italia per posta sotto fascia, fondandosi sulle convenzioni postali internazionali di Berna e di Washington, le quali stabiliscono che le stampe, ossia i giornali o le opere periodiche, i libri non legati o rilegati, gli opuscoli, i disegni, piani, piante, carte geografiche, i cataloghi, ecc., ecc., abbiano corso per posta con la tariffa di cent. 5 ogni 50 grammi fino al peso di chilogrammi 2. Questa disposizione era stata osservata sino alla fine del 1903 circa, con non piccolo vantaggio dei nostri scambi intellettuali coll’estero. Tutt’ad un tratto all’amministrazione delle dogane viene in mente che in tal modo i libri legati sfuggivano ad un dazio di lire 20 al quintale, inserito nella tariffa doganale non si sa bene se per proteggere l’industria della legatura o quella della stampa. Un dazio ad ogni modo inutile, perché, mentre non potrà mai avere per effetto di far stampare o legare in Italia libri scritti in inglese, non produce che poche centinaia di lire all’anno al fisco.
Fatta questa constatazione così peregrina che i libri legati non pagavano dazio perché la posta li consegnava direttamente al destinatario, ecco il Ministero delle finanze pregare la Posta – che subito accetta – di dar corso libero solo ai libri legati che non superassero il peso di 400 grammi. Gli altri – e sono i più a causa appunto della legatura – dovranno essere respinti al mittente colla indicazione non admis. Se non si vuol andar incontro a questa eventualità, è d’uopo che i mittenti stranieri spediscano i libri per pacco postale, perché questi vengono allora trattenuti alla dogana e gravati del competente dazio. Di qui due conseguenze: che i libri legati costano carissimi di trasporto perché la tariffa dei pacchi postali è due o tre volte superiore a quella dell’invio per sotto fascia e che da certi paesi, come gli Stati Uniti, non si sa come fare a farsi venire i libri, perché laggiù non esistono i pacchi postali.
Al prof. Dalla Volta l’egregio economista fiorentino, è accaduto che un suo collega dell’Università di Yale inviasse un libro legato. Il libro fu ritornato al mittente dall’ufficio postale di New York, colla dichiarazione che le nuove disposizioni postali italiane proibivano la introduzione sotto fascia dei libri legati con un peso superiore a 14 oncie. Il professore di Yale scriveva al Dalla Volta: «Non essendovi il pacco postale per l’Italia e la tariffa per l’invio raccomandato all’estero essendo estremamente alta, ho dovuto strappare la coperta del libro e mandarvelo in queste condizioni. Se questo è un espediente per aiutare i legatori di libri italiani, mi sembra una perversione del protezionismo peggiore di qualsiasi altra conosciuta in questo paese (Stati Uniti) – e si che noi abbiamo fatto molte esperienze in proposito. Un recente rapporto di uno dei nostri consoli annuncia che persino nella Spagna i libri possono essere importati esenti da dazio, e sono curioso di sapere la ragione di questa disposizione italiana». Il Cercle de la Librairie française, lagnandosi fortemente di questa vessazione italiana, afferma che questo nuovo regolamento avrebbe per effetto di ridurre al nulla il traffico per posta dei libri fra l’Italia e la Francia, e di danneggiare fortemente le loro mutue relazioni. E sì che in Francia si stampano pochi libri legati!
Recentemente poi la posta, annoiata forse di dover respingere ai mittenti troppi libri legati, sembra che abbia cambiato metodo. Ogni tanto quelli che ricevono libri legati dall’estero, si vedono recapitare una intimazione di passare entro pochissimi giorni alla dogana personalmente o di inviare una persona delegata con procura scritta su carta da bollo di centesimi 60 per ritirare il tale o tal altro libro, sotto pena di confisca per contrabbando.
Se si va subito, si deve pagare il dazio e poi una multa, di cui viene rilasciata ricevuta intestata al contravventore (vulgo contrabbandiere) X o Y. Se non si va subito, il libro viene confiscato e dopo qualche giorno si riceve un mandato di comparizione dinanzi al pretore per rispondere del reato di contrabbando. A chi scrive è capitato di essere bollato contrabbandiere di libri inviatigli in dono da Governi stranieri! Sembrano cose incredibili; eppure sono cose che capitano in Italia nel 1904.
Urge porre pronto rimedio a tale sconcio che dagli stranieri finirà per far considerare l’Italia come un paese di barbari, che vuol precludere le sue porte alla cultura straniera. Basterebbe disporre che potessero avere libero corso i libri legati fino a 2.000 grammi, come si usava prima e come prescrive la convenzione di Berna, ed incaricare la posta di esigere dal destinatario quel dazio di lire 20 per quintale, che tutti pagherebbero volontieri anche raddoppiato, pur di non andare soggetti a tante seccature.
Il dazio sui libri è già un dazio incivile; si procuri almeno di non renderci il ludibrio del mondo civile, con eccessi di zelo veramente stravaganti.