Il commercio internazionale dell’Italia. Un anno di progressi: il 1906
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 09/04/1907
Il commercio internazionale dell’Italia. Un anno di progressi: il 1906
«Corriere della sera», 9 aprile 1907
La direzione generale delle gabelle ha pubblicato di questi giorni contemporaneamente due documenti della più grande importanza: la statistica del movimento commerciale italiano nel 1905 e la statistica provvisoria del commercio speciale di importazione e di esportazione dall’1 gennaio al 31 dicembre 1906. Sono due documenti che si integrano a vicenda; poiché il secondo, breve e riassuntivo, tiene dietro ogni mese al commercio dell’anno nella maniera più sollecita possibile, mentre il primo rielabora le medesime notizie, le corregge, le amplia e le presenta al pubblico un anno e tre mesi circa dopo la scadenza del periodo a cui si riferisce.
Una prima dimostrazione del crescere del commercio internazionale italiano si ha nella stessa aumentata mole del documento principale; il quale fino ad un anno fa si conteneva in un volume solo, benché di peso e dimensioni rispettabili, mentre nel 1905, se si vollero elencare i movimenti tutti delle merci entrate ed uscite dall’Italia, fu d’uopo occupare nientemeno che 1418 fitte pagine di due volumi di tabelle in formato grandissimo.
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In mezzo a questa selva selvaggia di cifre interessanti per gli studiosi e per gli uomini politici noi non possiamo addentrarci. Ci basti mettere in luce alcuni fra i dati più interessanti. Colpisce intanto il crescere irrefrenato del movimento complessivo del traffico. Trascurando i metalli preziosi, si pensi che dal 1891, punto di massima depressione dopo il 1871, al 1906 siamo passati da 2,003 a 4,252 milioni di lire di merci importate ed esportate! Nessun paese forse d’Europa può presentare una percentuale così brillante d’aumento. Se il confronto col 1891 pare troppo ottimista – quantunque non sia male, nei tempi prosperi, guardare ai punti iniziali da cui s’eran prese le mosse – confrontisi pure il movimento degli ultimi due anni colla media del quinquennio 1900-1904 (le cifre sono in milioni di lire):
Importazione | Esportazione | Totale | |
1900-1904 | 1794 | 1459 | 3253 |
1905 | 2064 | 1730 | 3794 |
1906 | 2416 | 1835 | 4252 |
Aumento del 1905 sul 1900-904 | +270 | +271 | +541 |
Aumento del 1906 sul 1905 | +352 | +105 | +458 |
Aumento del 1906 sul 1904-904 | +622 | +376 | +999 |
Il progresso appare meno accentuato nel 1906 in confronto del 1905; ma è chiaro che, quando già si è fatto un gran passo in un anno, il compierne uno quasi eguale nell’anno successivo è segno di vitalità ancora più energica ed operosa. Notisi che dalle cifre sopra riportate sono esclusi i metalli preziosi (oro ed argento in verghe ed in monete) e che di questi entrarono in Italia nel 1905 ben 161 milioni e nel 1906 ancora 124 milioni di lire di più di quanti non siano usciti; segno che le nostre transazioni coll’estero si chiusero con un saldo a nostro vantaggio di altrettanta somma, che fu colmata con importazione di oro e di argento.
È vero che nel 1905 importammo 333 milioni di lire di merci di più di quante ne esportammo e che l’eccedenza delle importazioni sulle esportazioni salì nel 1906 a 580 milioni, cifre colossali, le quali non hanno però nulla di pauroso, poiché dimostrano soltanto che l’Italia aveva nel 1906, a cagion d’esempio, tanti crediti verso l’estero per rimesse di emigranti, di stranieri viaggianti in Italia, ecc., che per pagarli l’estero dovette inviare in Italia 580 milioni di merci in eccedenza di quelle da noi comperate e per soprammercato dovette mandare 120 milioni di oro e di argento.
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Volendo discendere a qualche particolare, è opportuno seguire la classificazione adottata dalla direzione generale delle gabelle delle merci in materia greggia ed altre necessarie all’industria, prodotti fabbricati e generi alimentari. All’importazione, le materie greggie necessarie all’industria sono cresciute dal 1905 al 1906 di 111 milioni di lire, passando da 775 ad 887 milioni di lire. Ci furono alcune diminuzioni, fra cui specialmente importante quella degli animali equini da 45.582 a 25.150 per un minor valore di 14.291.000 lire. Ma gli aumenti furono tali e tanti che ci conviene ricordare, a scopo di brevità, solo quelli superiori ai due milioni di lire. Eccoli: la juta greggia da 274 a 327 mila quintali per un maggior valore di L. 2.350.935; i cascami di seta greggi da 19.657 a 23.509 quintali (prevalenza lire 2.040.240); le lane naturali, i cascami e la borra di lana da 84.467 a 97.051 quintali (+ L. 3.098.465); i minerali metallici d’ogni specie da 47.213 a 113.320 tonnellate (+ L. 3.186.273); l’avorio, la madreperla e la tartaruga, greggi, da 2183 a 3511 quintali (+ L. 4.205.200), i rottami di ferro, ghisa e d’acciaio, da 276.311 a 345.331 tonn. (+ L. 5.521.632); le pietre, terre, gessi, calce e cementi non metallici da 438.332 a 578.256 tonnellate (+ L. 5.522.000); l’avena da 39.487 a 69.311 tonn. (+ L. 5.219.200); la gomma elastica greggia, da 7.669 ad 11.731 tonnellate (+ L. 5.382.150); i bozzoli da 48.734 a 55.907 quintali (+ L. 8.164.100); le pelli crude da 218.000 a 255.756 quintali (+ L. 8.126.510); il tabacco in foglie da 127.585 a 208.284 quintali (+ L. 9.361.084); il legno comune rozzo e le doghe per botti, da 846.681 a 994.221 tonn. (+ L. 12.716.195); il cotone in bioccoli o in massa, da 1.650.691 a 1.830.194 quintali (+ L. 20.104.336) ed il carbon fossile da 6.437.539 a 7.673.435 tonnellate (+ L. 31.515.348). È una fiumana straripante di merci che s’è rovesciata sul’Italia industriale per dar forza ai suoi motori e materia prima alle sue macchine. Con tutto ciò, ed anzi a cagione di questo aumento nella capacità di assorbire le materie prime estere, l’industria italiana si è trovata nella necessità di dover pure ricorrere all’estero per completare i propri impianti ne` ha potuto soddisfare alle esigenze del consumo, il quale è cresciuto in proporzioni ancor maggiori della produzione interna, cosicché all’importazione nella categoria dei prodotti fabbricati, accanto a poche ed insignificanti diminuzioni (sintomatica quella del petrolio, benzina e benzolo da 664.926 a 645.408 quintali), segniamo un aumento complessivo netto di 162 milioni, da 472 a 635 milioni. A ricordare solo gli aumenti superiori ai 3 milioni di lire, notiamo i colori, estratti coloranti e vernici, saliti da 87.056 a 97.480 quintali (plusvalenza L. 3.363.420); i tessuti ed altri manufatti di cotone da 29.612 a 36.251 quintali (+ 3.716.768); i tessuti ed altri manufatti di seta o di filugello da 390.012 a 450.303 chilogrammi (+ 4.484.286); il vasellame, i gioielli ed altri lavori d’oro e d’argento da 30.737 a 34.082 chilogr. (+ L. 4.917.835); gli orologi d’ogni specie, gli organini, ecc. da 461.393 a 734.406 in numero (+ L. 3.222.262); le pietre preziose lavorate da 32.815.421 a 37.087.196 lire (+ L. 4.271.775); i carri, le vetture, i velocipedi e gli automobili da 4200 a 5967 in numero (+ L. 3.665.056); i bastimenti ed altri galleggianti da 40.921 a 63.762 tonn. di stazza (+ L. 5.263.635). Sono i consumatori italiani che, divenuti più agiati ed avendo maggiormente da spendere, fanno una domanda crescente di prodotti che l’industria italiana, pur lavorando ad alta pressione, non riesce a provvedere. E che l’industria italiana lavori ad alta pressione è dimostrato dal fatto che essa nel 1905 ha comperato all’estero 474.514 quintali di ferro ed acciaio di seconda lavorazione invece di 261.163 quintali nel 1905, per un maggior valore di lire 12.208.538; e così pure 200.838 quintali di veicoli da ferrovia invece di 44.922 (+ L. 10.756.365); 26.296 quintali invece di 17.350 (+ L. 12.552.750) di strumenti di ottica, di fisica, apparecchi per le applicazioni dell’elettricità, ecc.; e finalmente 1.099.739 quintali di macchine e parti di macchine invece di 712.237 per un maggior valore di 57.206.433 milioni di lire.
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All’esportazione gli aumenti non sono né così importanti né così vari.
Avrebbe torto chi da ciò traesse motivo di allarmi eccessivi; poiché chi non si rallegra che l’industria nazionale abbia trovato in sé tanta forza da trattenere in copia le materie greggie necessarie appunto alle manipolazioni industriali, lasciandone andar all’estero appena per 8.906.731 lire di più che nel 1905? Nelle materie diverse pure necessarie all’industria noi esportammo 698 milioni di lire invece di 626, con un aumento di 72 milioni, dati in grandissima parte dalla seta tratta semplice o torta, anche tinta e seta artificiale, progredita da 492 a 554 milioni di lire con un incremento di 62 milioni. Questa della seta rimane pur sempre la nostra massima industria esportatrice ed ancora nel 1906 dava più del 37 per cento del totale movimento d’esportazione dall’Italia. Tanto più grandi devono essere quindi gli sforzi di tutti, privati, associazioni, governo per agguerrire questa industria e renderla forte nelle prossime lotte internazionali della concorrenza che si annunciano gravi di pericoli e di tempeste.
Poco cresce l’esportazione dei prodotti fabbricati dall’Italia, passandosi complessivamente solo da 416 a 423 milioni di lire. Qui vi sono contrasti fortissimi. Diminuiscono gli oggetti da collezione e d’arte di L. 1.529.804, i cappelli di L. 2.648.320, le mercerie comuni, fini e ventagli di lire 1.008.529, il corallo lavorato di L. 7.694.460, il vasellame, i gioielli ed altri lavori d’oro e d’argento di L. 1.056.255, le botti nuove o vecchie di L. 3.442.736, i tessuti ed altri manufatti di lana di L. 2.299.760, i bastimenti ed altri galleggianti di L. 17.640.123. Per alcune voci la diminuzione può essere accidentale; per le altre, siccome non consta di industrie in crisi, è da ritenere che si sia verificato il fatto consueto in periodi di prosperità in confronto a quelli di crisi.
Quando i prezzi scemano e non si può vendere convenientemente in paese, gli industriali cercano a gran fatica sbocchi all’estero ed avviano correnti importanti di esportazione. Vengono i tempi buoni e gli industriali, dimentichi dei sacrifizi fatti per procacciarsi una clientela all’estero, si tengono paghi dei buoni affari più facilmente conchiusi all’interno. Essi ottengono un beneficio momentaneo; ma è da chiedere se non sia ottenuto a scapito dell’avvenire e di quei legami commerciali che in un periodo di crisi, sempre possibile, potrebbero riuscire utilissimi.
Cresce al contrario l’esportazione dei tessuti ed altri manufatti di cotone da 248.933 a 280.169 quintali per un maggior valore di L. 12.734.137, dei tessuti e manufatti di seta e filugello per un maggior valore di lire 3.716.328, dei mobili, cornici ed utensili per L. 2.468.365, dei carri, vetture velocipedi ed automobili per L. 8.352.160, dei cappelli di paglia per L. 3.797.970, delle stampe, litografie, libri per L. 2.078.150, dell’avorio, madreperla e tartaruga per L. 1.083.565 ecc.
Vicende egualmente varie ha avuto l’esportazione dei generi alimentari, progredita di quasi 17 milioni, da 424 a 441 milioni di lire. Il maggior consumo di carni trattenne in patria gli animali bovini, di cui si esportarono 13.458 capi invece di 32.876 nell’anno precedente e così per un minor valore di L. 8.388.570; ne` volsero prospere le sorti all’esportazione delle frutta e dell’uva fresca, diminuite di ben lire 6.450.282, delle mandorle, noci, nocciuole, scemate di L. 6.996.045, del vino di lire 3.328.691, delle uova ridotte di L. 1.492.090. Quanta parte di questa contrazione sia dovuta alle vicende atmosferiche, quanta alla aumentata richiesta interna e quanta al disservizio ferroviario, non è dato sapere. Consoliamoci pensando che esportammo in più L. 4.127.380 di frutta, legumi ed ortaggi preparati, L. 1.941.898 di pistacchi, fichi, uva e altri frutti secchi, L. 2.879.703 di agrumi, L. 5.521.177 di paste di frumento e di pane L. 1.973.375 di riso e L. 28.012.538 di olio d’oliva.
L’anno 1906 rimarrà memorando nella storia del commercio internazionale italiano. Forse in nessun altro anno, nemmeno nel 1905, si ebbe una così fortunata espansione nel consumo e nell’industria nazionale; espansione così rapida da interrompere persino alcune fra le correnti di traffico che si erano avviate all’estero. Dovremmo ora consolidare le conquiste fatte e sull’incrollabile base di un crescente e forte consumo interno, ripigliare quell’opera di conquista dei mercati esteri che era stata iniziata in mezzo a tante speranze.