I veri fattori della crisi russa Perché gli operai russi si muovono – Una terribile crisi commerciale – Le fabbriche si chiudono a centinaia – Come la guerra del Transvaal e la spedizione cinese occasionano la crisi e la fame in Russia – L’inondazione del capitale straniero – Vicino al campidoglio è la Rupe Tarpea
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 04/04/1901
I veri fattori della crisi russa
Perché gli operai russi si muovono – Una terribile crisi commerciale – Le fabbriche si chiudono a centinaia – Come la guerra del Transvaal e la spedizione cinese occasionano la crisi e la fame in Russia – L’inondazione del capitale straniero – Vicino al campidoglio è la Rupe Tarpea
«La Stampa», 4 aprile 1901
Appena si conobbero le prime notizie delle turbolenze russe e si seppe della larghissima partecipazione che a quelle turbolenze prendevano le masse operaie delle grandi città industriali, sembrò naturale chiedersi per qual motivo gli operai partecipassero così vivamente a quei tumulti e con tanto ardore – insolito in un ceto operaio da poco uscito, rozzo ed incolto, dalle campagne, dove sono ancora tenaci i ricordi della recente servitù – abbracciasse i principii del collettivismo marxista.
Un articolo pubblicato da E. I. Dillon nel fascicolo di aprile della Contemporary Review ci fornisce qualche preziosa notizia per spiegare l’interessante fenomeno della rivolta delle classi operaie russe. Egli è che gli operai stanno male. Una terribile crisi economica e commerciale imperversa in questo momento sulla Russia; fa chiudere le fabbriche ed aumenta il numero degli operai, che di giorno in giorno vengono licenziati. Le bancarotte dei banchieri, la rovina del credito, il ristagno del commercio, la sovraproduzione generale, il ribasso dei salari, la miseria dei disoccupati sono tutti fenomeni nuovi nella storia dell’impero russo.
Da poco assurta agli splendori della civiltà industriale, la Russia comincia già ad essere scossa da una di quelle terribili crisi che accumulano periodicamente disastri nei paesi industriali e da cui in Italia fummo colpiti nell’anno di triste ricordanza, che fu il 1887. In Russia vi fu un ribasso negli ultimi dodici mesi, nel valore delle azioni industriali, da 573 a 247 rubli; nelle azioni delle Banche agrarie da 340 a 175 rubli; le azioni metallurgiche caddero in un caso da 2340 a 1025 rubli; numerose fabbriche importanti dichiararono fallimento; opifici che costarono 24 milioni di rubli non possono essere messi in attività; altri che parevano dovessero avere un avvenire splendido per lunghi anni, furono chiusi; milioni di pud di ferro aspettano invano compratori; 734 milioni di rubli di capitali belgi pagarono in quest’anno un interesse di meno del 21/2 per cento. Diciassette Società belghe non distribuirono alcun dividendo; e migliaia di operai sono stati gettati sul lastrico e le loro famiglie lasciate morire di fame.
Quali le cause di tanto disastro? L’occasione venne dall’estero. La guerra anglo-boera, che fece cessare l’afflusso d’oro dal Transvaal, e la spedizione cinese costrinsero il ministro delle finanze russo a fare economia nella costruzione di nuove linee, a non estendere quelle antiche ed a comprare minor quantità di rotaie di ferro, di acciaio e di carbone. Le compre dello Stato non furono sospese del tutto, ed anzi non furono nemmeno diminuite. Si cessò soltanto di aumentarle come si era sempre fatto negli anni precedenti.
Ma questo bastò per produrre il disastro. Le industrie russe vivono infatti quasi completamente sulle forniture governative. Più dei tre quarti delle ferrovie sono proprietà dello Stato e sono principalmente le ferrovie quelle che comprano i prodotti delle industrie metallurgiche. Sui 25 milioni di pud di rotaie in acciaio che possono essere prodotti da tutti gli opifici russi, a malapena 3 1/2 milioni vengono venduti a ferrovie private.
Se i privati capitalisti si fossero regolati sulla base delle compre normali dello Stato, il fatto che questo è in Russia il maggior cliente della industria privata non sarebbe bastato a far scoppiare alcuna crisi. Ma i capitalisti, specialmente stranieri, vennero in Russia a fare impianti colossali, immaginandosi che la capacità acquisitiva del mercato fosse smisurata e dovesse andare ognora crescendo. Essi credettero che la spesa fatta dal Governo di 72 1/3 milioni di rubli nelle nuove costruzioni necessarie in conseguenza dell’introduzione del monopolio dell’alcool fosse una spesa normale e costante; e che fosse pure una spesa costante quella dei 1273 milioni di rubli, in prodotti delle industrie metallurgiche e minerarie, che si dovette fare per la costruzione di una vasta rete ferroviaria.
Ma la ferrovia una volta costrutta non si distrugge rapidamente; e le opere di riparazione sono lente e poco importanti in confronto delle spese d’impianto.
Si aggiunga ancora che anche le altre industrie, che non dipendono esclusivamente dalle forniture governative, sono sorte esclusivamente in virtù dell’altissima ed esorbitante protezione doganale stabilita allo scopo di rendere l’impero completamente autonomo ed indipendente dalle altre Potenze.
La protezione ora tanto elevata da concedere profitti straordinari alle imprese che prime si formarono. Ben presto i capitalisti stranieri, ammaestrati intorno ai miracolosi profitti del 30-40 e 100 per cento che potevano ottenere in Russia, grazie alle barriere doganali, si precipitarono a folla su quel paese.
Dal 1894 al 1900 si fondarono non meno di 727 Società per azioni russe e 151 straniere, con un capitale che si calcola ad 800 milioni di rubli. Belgi, francesi, tedeschi ed inglesi andarono a gara ad immobilizzare giganteschi capitali nelle industrie russe.
Ne provennero le solite conseguenze. La produzione crebbe con rapidità e ben presto diventò tale che la clientela russa, ristretta al Governo e ad uno scarso numero di privati, non bastò ad assorbirla. Per citare soltanto alcune cifre, mentre nel 1877 la Russia produceva solo 541 milioni di rubli di manufatti, nel 1887 la sua produzione valeva 802 milioni di rubli, nel 1892 il valore ne giungeva a ben 1010 milioni e nel 1897 a 1816 milioni.
La dogana imperiale in soli cinque anni ebbe un aumento di entrate del 50 per cento: da 40.5 milioni di rubli nel 1893 a 61.1 milioni nel 1898. L’aumento nelle poste e telegrafi fu nel tempo stesso del 32 per cento. E questi non sono che esempi isolati del meraviglioso rigoglio di prosperità che si era manifestato negli anni scorsi.
Purtroppo vicino al Campidoglio è la Rupe Tarpea. Ben presto al lavoro fecondo si aggiunge la speculazione. I fabbricati che guadagnavano con una produzione di un mezzo milione di pud vollero aumentare il prodotto ad un milione e mezzo, sperando di veder crescere i profitti nella medesima ragione.
Le azioni delle Società bancarie balzarono d’un tratto da 500 a 750 franchi; e gli speculatori che avevano guadagnato 250 franchi senza accorgersene, si misero a fondare nuove Società per azioni, sperando di ripetere il gioco. Invano il signor Witte, uno dei finanzieri ed uomini di Stato più geniali che vanti l’Europa contemporanea, avvertì che il giorno della rovina si avvicinava. Industriali e speculatori non gli vollero dar retta.
Ed il giorno della rovina venne. Quando il Governo russo non poté continuare a far prestiti a buon prezzo sui mercati di Parigi, Berlino e Londra, perché l’oro non veniva più dal Transvaal, e dovette impiegare le sue riserve auree nella spedizione cinese, il Witte cessò di crescere la quantità delle forniture date dall’industria privata.
Fu il segnale della crisi. Il credito fu rudemente scosso; il consumo dei privati fu ridotto fino quasi alla totale astinenza ed i corsi di Borsa raccontarono una lugubre storia di liquidazioni disastrose. Chiuse le fabbriche, arenate il commercio, pieni i magazzini di merci invendute, licenziati gli operai: ecco il quadro della Russia economica nel presente momento.
Che meraviglia che in un terreno così propizio, che in un ambiente così facile alle risoluzioni disperate, scoppi la rivolta e gli operai scendano nelle vie a fraternizzare cogli studenti?