I progressi del nostro commercio estero
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 15/09/1905
I progressi del nostro commercio estero
«Corriere della sera», 15 settembre 1905
Il primo semestre del 1905 segnerà, a quanto pare una pietra miliare sulla via del progresso del nostro commercio internazionale. L’Italia non ha mai importato né esportato tanto come in questi sei mesi. Si può dire che nel 1891 in poi ogni anno segni una tappa di questo cammino ascendente; ma quella del 1905 non è più una tappa, è un balzo fulmineo che in sei mesi ci ha fatto guadagnare un centinaio di milioni di traffico. Se si trascurano i metalli preziosi, importazioni ed esportazioni riunite che erano nel primo semestre del 1891 di 991 milioni, che erano ancora a 1.037 milioni nel 1895, ad a 1.113 nel 1897, balzano a 1.315 nel 1898, salgono a 1.428 nel 1899, a 1.527 nel 1900, a 1.543 nel 1901, a 1.580 nel 1902, a 1.673 nel 1903 ed a 1.682 nel 1904. Sembrava quasi che si dovesse pigliar fiato prima di proceder oltre, quand’ecco che il primo semestre del 1905 tocca i 1.791 milioni. Se si tien conto del movimento dei metalli preziosi, il progresso si contiene tra questi due estremi: 1.039 milioni nel 1891 e 1.856 nel 1905.
Siamo ancor lontani, tenuto conto della popolazione, dalle cifre del commercio internazionale dell’Inghilterra, della Francia; del Belgio, della Svizzera, della Germania.
Ma poche nazioni, crediamo, possono gareggiare con l’Italia rispetto alla velocità dell’incremento del nostro traffico. Un aumento del 78 per cento in quattordici anni è un fatto significante del quale solo le statistiche dei periodi più espansivi dell’estero possono vantarsi. È vero che in parte riguadagnammo il terreno perduto dal 1881 al 1891: ma se allora retrocedemmo da 1.299 a 991 adesso progredimmo da 991 a 1.791, cosicché dal 1881 al 1905 vi fu nel primo semestre un progresso netto di mezzo miliardo.
Ed il 1881 era stato l’anno migliore del nostro primo periodo prospero, mentre è da augurarsi che il 1905 non sia l’ultimo anno della nuova serie ascendente…
Se progredimmo nel commercio considerato in blocco, progredimmo altresì nelle sue parti singole. Prendiamo le importazioni. Da sole queste superano il miliardo (esattamente 1.004.229.667 lire) nel primo semestre 1905: cifra non mai prima toccata. Vien voglia di ripetere la celebre frase del ministro Villele alla Camera francese, quando si discusse il primo bilancio di un miliardo: Signori, salutate questa cifra; voi non la rivedrete mai più! Ma la frase che il Villele pronunciava terrorizzato dall’aumento spaventoso delle spese pubbliche, noi potremmo ripeterla lieti di tanto progresso, nella nostra potenzialità di compra all’estero. Pensiamo che nel 1892 noi compravamo appena 511 milioni di lire di merci estere: esattamente la metà d’adesso! Se ai 1.004 milioni aggiungiamo i 61 milioni di oro ed argento introdotti dall’estero otteniamo 1.065 milioni di importazioni. Anche questi 61 milioni di oro ed argento introdotti dall’estero hanno la loro significazione. L’unico anno che eguagli ed anzi superi quello corrente è il 1883 quando entrarono in Italia 69 milioni di metalli preziosi; ma allora era un’importazione artificiosa, in vista dell’abolizione illusoria del corso forzoso. Oggi invece il corso forzoso si è abolito da sé; ed i gialli napoleoni ed i sonanti scudi spontaneamente tornano in paese.
All’aumento delle importazioni contribuiscono un po’ tutte le categorie. Se paragoniamo il primo semestre del 1905 col corrispondente periodo del 1904, abbiamo un aumento di 47 milioni distribuito in parti quasi uguali fra le materie greggie, i manufatti ed i generi alimentari. L’importazione delle materie greggie necessarie all’industria cresce di 10 milioni: e sono da segnalarsi i 3 milioni e 604 mila lire di cotone in bioccoli o in massa, i 4 milioni e 915 mila lire di bozzoli vivi e secchi, i 5 milioni e 889 mila lire di carbon fossile. Vi sono altri rialzi e ribassi minori; ma i tre dati ora citati bastano a dare un’idea dello sviluppo della nostra industria che consuma masse crescenti di materie prime straniere. Le altre materie necessarie all’industria aumentarono pure di 12 milioni e 815 mila lire, di cui oltre 7 milioni e 700 mila lire spettano alla seta tratta greggia e tinta. I manufatti progrediscono di circa 10 milioni distribuiti su una moltitudine di voci: le cifre più grosse sono date da 4.681 mila lire di più per le pietre preziose lavorate (attenti a non sfoggiare troppo lusso!), da 3.613 mila lire di più per le macchine e parti di macchine e 4.812 mila lire di meno per i veicoli da ferrovie. Nei generi alimentari importammo 14 milioni di lire di più che risultano sovratutto da un aumento di 28 milioni di lire nel frumento, e da una diminuizione di 12 milioni di segale ed altre granaglie. Qui i giudizi possono essere diversi: lieti per la sostituzione di cereali superiori agli inferiori o per la cresciuta capacità di consumo delle masse; dolorose se si pensa a quale caro prezzo viene comprata questa importazione ed a quali attriti di classe e pericoli di illusioni finanziarie essa dia origine.
All’esportazione è lo stesso discorso: la cifra del primo semestre 1905 (787 milioni) è la più alta dall’unificazione d’Italia; l’anno più brillante, il 1881, era appena giunto a 641 milioni nel 1891, all’epoca della crisi dolorosa, si era precipitati giù sino a 422 milioni. Nei 787 milioni non si tenne conto dei metalli preziosi; per i quali si può dire siasi verificato il fenomeno opposto a quello già ricordato per le importazioni. Se per queste il 1905 segna un massimo, per le esportazioni segna un minimo: si esportarono appena 2.843.400 lire di oro ed argento contro cifre variabili dai 135 milioni del 1885 ai 4 del 1904. L’oro ritorna in Italia e non esce più. Il fatto per sé stesso non vuol dir molto, perché l’oro può essere per noi in certi momenti meno utile di un’altra merce qualunque; ma adesso indica che l’Italia ha bisogno per i suoi traffici crescenti di una quantità più abbondante di moneta; e, siccome per fortuna i suoi governanti non si divertono più ad emettere carta destinata a svilire, l’Italia si procura dall’estero la moneta che le abbisogna.
L’aumento di 62 milioni avvenuto nelle esportazioni nel primo semestre del 1905 di fronte al 1904 è assai diversamente distribuito. Quanto alle materie greggie necessarie all’industria, invece di un aumento, abbiamo una diminuizione di 11 milioni, dovuto per 8 milioni alla canapa greggia e per 5 milioni allo zolfo. Per quella forse le vicende naturali spiegano il fatto; per lo zolfo andiamo incontro ad una nuova crisi? Sarebbe grave jattura. La categoria delle materie diverse necessarie all’industria o semi-manufatti cresce di 53 milioni; ed il vanto spetta quasi del tutto alla seta tratta, di cui si esportarono 10 mila quintali di più per un valore di 51 milioni.
Un aumento di 10 milioni segna la categoria dei manufatti: i tessuti di lana, di seta, i marmi, i coralli, i cappelli vi prendono larga parte.
L’esportazione dei generi alimentari cresce di quasi 10 milioni. Qui ci sono dei punti neri e dei segnacoli di vittoria. I punti neri son dati dal vino che ribassa di 1.369 mila lire, dai legumi ed ortaggi freschi per 1.274 mila lire, dagli agrumi per 2.952 mila lire e dall’olio d’olivo per 10 milioni di lire. A capo delle voci vittoriose stanno le uova, il modesto prodotto delle fattorie rurali. Ne esportavamo nel 1904 già 158 milioni; e nel 1905 salimmo a 204 per un maggior valore di 7 milioni e mezzo. Seguono gli spiriti, il riso, le farine, le paste, le frutta fresche, le mandorle, noci e nocciuole, i buoi, i maiali, il burro e formaggio per cifre variabili da 1 a 3 milioni. Quanta ricchezza diffusa in milioni di famiglie da questa rapida espansione commerciale all’estero! Che non vi sia modo di cancellare i punti neri che offuscano il quadro brillante?