I decreti-legge e la tutela del pubblico denaro
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 11/12/1921
I decreti-legge e la tutela del pubblico denaro
«Corriere della Sera», 11 dicembre 1921
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 475-477
Il problema dei decreti-legge non ha perso nulla della sua importanza costituzionale; sembrando anzi che, dopo un breve periodo di sosta la pioggia dei decreti-legge, specie da parte di taluni ministeri, sia ricominciata. Il motivo addotto di solito è quello dell’urgenza e della impossibilità di provvedere altrimenti nelle more della chiusura del parlamento. Quando l’urgenza viene invocata a proposito di lavori per riparare ponti, strade ordinarie e ferrate e centri abitati dal pericolo imminente di frane, e quando si aggiunge che, senza il decreto-legge, sarebbero stati inutilizzati stanziamenti precedenti di milioni di lire, autorizzati dal parlamento, si può e si deve rimproverare l’amministrazione di leggerezza e di imprevidenza, per non avere calcolato bene l’onere della spesa; ma si deve riconoscere che almeno l’urgenza esiste. Ma in altri casi, anzi nella maggior parte dei casi, l’urgenza è un pretesto invocato soltanto per arrivare dinanzi al parlamento col fatto compiuto e per rendere vana qualunque opposizione di massima al principio che al governo del tempo o, meglio, alla burocrazia permanente premeva di veder trionfare.
Quand’è che, ad esempio, fu discusso il problema della sistemazione in genere e della elettrificazione in ispecie delle nostre ferrovie? Un decreto luogotenenziale 17 novembre 1918 autorizzava la spesa nientemeno che di 1 miliardo e 800 milioni di lire e gittava le basi della elettrificazione; un decreto-legge del 19 marzo 1921 autorizzava la spesa di 160 milioni per 120 locomotive. Le spese saranno state urgenti ed improrogabili; tanto urgenti e tanto improrogabili che, come al solito, le 120 locomotive erano già state acquistate e funzionavano forse già quando il decreto-legge ne legittimava la situazione, in attesa della definitiva registrazione formale da parte del parlamento.
Ma in tal modo si va alla deriva; ed il bilancio dello stato non si sa se e quando potrà essere salvato. Con questi sistemi l’Italia si è imbarcata in un colossale programma di elettrificazione delle ferrovie, che si ignora quali risultati utili possa avere o quale voragine di nuovi disavanzi non possa invece eventualmente aprire nel già dissestato bilancio ferroviario. Il disavanzo ferroviario è stato di ben 1 miliardo e 45 milioni di lire nel 1920-21 (differenza fra 3 miliardi e 278 milioni di entrate e 4 miliardi e 323 milioni di spese) e sarà forse di 600 milioni nel corrente anno 1921-22, a quanto si può arguire dal fatto che i primi due mesi dell’esercizio (luglio-agosto) diedero un disavanzo di 102 milioni di lire. I prodotti del traffico vanno diminuendo: furono solo di 413 milioni nei due mesi indicati, contro una media di 469 milioni per bimestre nel 1920-21; e mentre ciò accade, mentre la spesa media per ogni ferroviere è salita da 2.000 nel 1914 ad 11.000 lire nel 1921 ed i ferrovieri crescevano da 145 a 210.000 nelle vecchie linee, ed il personale d’ufficio aumentava di un quinto, scemando la propria resa media, talché la direzione generale non riesce ad approntare le relazioni annue con quella diligenza che sempre la distinse, il paese è lanciato sulla grande via della elettrificazione, senza che sia prima avvenuta una pubblica esauriente discussione ed il parlamento abbia manifestata la sua volontà.
Con le quali osservazioni non si vuol dire che la elettrificazione sia una brutta cosa. Si vuole soltanto osservare che il controllo della pubblicità è necessario a far sì che il programma della elettrificazione ferroviaria, come qualunque altro programma, si svolga soltanto sulle linee dove esso è utile o necessario e non in quelle dove esso è passivo e forse anche, sotto parecchi punti di vista, dannoso. Fu utile senza dubbio elettrificare la Modane-Bussoleno, perché si poté raddoppiare la velocità e quindi il numero dei treni, aumentarne del 50 per cento il peso e quindi triplicarne la potenzialità. Ciò giovò al traffico, all’economia dell’esercizio ed alla difesa nazionale. Probabilmente anche la elettrificazione del tratto Bussoleno-Torino è stata utile, sebbene passiva economicamente, trattandosi di crescere il rendimento del precedente tratto di linea. Ma nelle linee puramente di pianura è parere di tecnici che la elettrificazione sia un grosso sproposito. Laddove, come in pianura, il consumo del carbone è minimo, anche a pagarlo a 250 lire la tonnellata, esso è tuttavia conveniente, in confronto alle enormi spese di impianto e di manutenzione e sorveglianza delle linee, richieste dalla elettrificazione. Chi ci garantisce che, nell’ombra, lo sproposito sia compiuto per la Torino-Milano così come pare sia deliberato per le linee che da Novi e da Ronco tendono, non ai Giovi, ma alle pianure lombarda e piemontese? V’ha chi parla di elettrificare tutto il tratto Bologna-Brennero, per il bel motivo che forse la elettrificazione può essere utile da Bolzano al Brennero. E sembra un fatto compiuto la decisione di elettrificare la direttissima Roma-Napoli, linea di pianura e quindi disadatta alla elettrificazione.
Finora la tecnica ha dimostrato che in Italia, anche tenuto conto dell’attuale prezzo quintuplicato del carbone (in confronto all’anteguerra), la elettrificazione è solo conveniente nelle linee di montagna a forte traffico. Aggiungono i tecnici che nella pianura non solo essa è un grave errore economico, anche dove il traffico è intenso; ma può essere pericolosa militarmente. Che cosa sarebbe accaduto se la rete ferroviaria dell’Alta Italia fosse stata elettrificata allo scoppio della guerra? Un esplosivo sapientemente gettato su una centrale elettrica avrebbe sospeso il traffico su estese zone per un tempo più o meno lungo, con pericolo gravissimo per la rapidità del movimento delle truppe. Mentre la trazione a carbone fa sì che ogni treno viva di vita propria ed evita che il danno recato all’uno si ripercota necessariamente su molti altri.
Tutti questi saranno argomenti buoni o cattivi. Non su di essi qui si vuol portare un giudizio. Si vuole soltanto concludere che, prima di decidere su programmi di lavori pubblici, fa d’uopo pubblicamente e largamente discutere; che la discussione pubblica è l’unica garanzia per il retto uso del pubblico denaro; e che gli errori commessi in seguito a pubblica discussione sono tollerabili, mentre in paese libero è intollerabile si commettano errori in seguito a deliberazioni segrete di una burocrazia irresponsabile.