Gl’italiani all’estero una grande casa esportatrice
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 31/08/1898
Gl’italiani all’estero una grande casa esportatrice
«La Stampa», 31 agosto 1898
Nelle nazioni dove le industrie ed i commerci accentrano in sé tutte le più vive e forti intelligenze, i grandi industriali ed i grandi commercianti godono quella stima e son colmati di quelle onorificenze che altrove sono il retaggio della gente di spada, di toga e di lettere.
Nuove parole vengono coniate per designare i trionfatori delle lotte economiche; ed i capitani dell’industria ed i principi mercanti godono di maggiore considerazione sociale dei generali e dei rampolli di antiche stirpi nobiliari. In Italia noi siamo ancora ben lungi dal mettere a paro un commerciante audace e fortunato con un generale vincitore di battaglie; ma è indubbio che un maggiore interessamento si dimostra verso quelli che sono i pionieri del progresso economico.
Nella Mostra degli italiani all’Argentina (Div. LX), dell’Esposizione torinese, un quadro curioso colpisce l’attenzione del visitatore attento: è una carta geografica dell’America Meridionale tempestata di bandiere, le une azzurre, le altre tricolori. La bandiere azzurre segnano gli avamposti di un esercito di commessi viaggiatori che lottano ai cenni di un generale sperimentato ed audace, il quale ha i suoi quartieri generali nelle città segnate dalle bandiere tricolori. Il generale di quest’esercito pacifico di commercianti che vanno alla conquista dell’America latina è il signor Enrico Dell’Acqua, uno dei più abili, audaci ed intraprendenti principi mercanti di cui si possa vantare l’Italia contemporanea.
La storia della Casa Dell’Acqua è una storia altrettanto fortunosa quanto quella degli antichi capitani di ventura. Giovane ancora ed animato della persuasione dell’eccellenza degli italiani nell’arte tessile, concepì il pensiero grandioso di creare un nuovo sbocco alle industrie nazionali all’estero.
E fra tutti i paesi esteri, egli scelse con intuito sicuro e preciso l’America Meridionale. Numerosissimi ivi gli italiani e memori sempre con tenace affetto della madre patria; facile quindi di smerciare i tessuti italiani fra gente per gusti e per abitudine già pronta a servirsene. The trade follows the flag, dicono gli inglesi a legittimare le loro costose imprese coloniali. Il commercio segue la razza e la lingua, pensò il Dell’Acqua, e l’esito finale gli diede ragione.
Ma attraverso a quante lotte ed a quali acerbi disinganni! Nel momento di accingersi all’ardua impresa, egli raccolse quanti più libri poté di geografia; ma nulla vi poté trovare sui prodotti particolari del suolo, sulle più comode vie di arrivarvi, sulle Banche, sui modi di fare operazioni nei varii paesi, sul nome e la importanza delle Case esportatrici, sul prezzo di ogni merce. Non scoraggiato, si rivolse a tutti gli uffici postali dell’America Meridionale chiedendo quelle informazioni che non aveva trovato sui libri. Giunte le chieste notizie, egli spedì un campionario ai grossisti delle piazze più importanti; e nell’aprile del 1887 si imbarcò per Buenos Ayres, abbandonando una fabbrica avviata e prospera a Busto Arsizio. Nell’Argentina egli trovò il mercato quasi esclusivamente nelle mani di inglesi, che rimanevano quasi stazionari al posto di prima, di francesi che perdevano terreno e di tedeschi che ogni giorno invadevano il campo degli altri colla intelligenza, la conoscenza delle lingue, le adattabilità ai gusti del paese.
Ed il Dell’Acqua imitò i tedeschi; persuasosi, dopo alcuni inutili tentativi, che nulla si poteva sperare dai grossisti, legati alle consuetudini ed alle clientele antiche, si rivolse ai commercianti al minuto, e non sdegnò di vendere direttamente al consumatore. Una volta entrate le sue marche nel gusto del pubblico consumatore, questo avrebbe ben saputo costringere i commercianti restii all’ingrosso ad approvvigionarsi da lui.
L’anno seguente (1888) l’avviamento era tale che fu possibile fondare una seconda Casa a San Paulo nel Brasile. Da Buenos Ayres e da San Paulo si irradiava uno stuolo di commessi viaggiatori intelligenti, arditi, indipendenti nelle operazioni, non solo nelle città principali, ma anche nei borghi e nei villaggi più ignoranti, non disdegnando la campagna e le colonie agricole novellamente fondate. Le operazioni cominciavano a svolgersi in modo brillante, rimeritando le fatiche scorse, quando un avvenimento imprevisto minacciò di annientare d’un tratto l’opera così bene iniziata.
Sullo scorcio del 1889 e sul principio del 1890 si abbattè infatti sull’Argentina una terribile crisi finanziaria ed economica. Le pazze spese del Governo, le malversazioni del denaro pubblico, le follie di affari da cui parevano invase tutte le classi della popolazione avevano prodotto i loro frutti amari ed inevitabili: i fallimenti si susseguivano, le riscossioni erano impossibili ad effettuarsi, la fiducia distrutta, il cambio oscillava violentemente rendendo sommamente ardue le operazioni coll’Europa.
L’edificio costrutto dal Dell’Acqua e basato sulla base, solidissima in tempi normali, del credito, minacciava di sfasciarsi. I fornitori italiani esigevano di essere pagati alla scadenza ed in moneta buona; i compratori argentini non potevano pagare o pagavano solo in carta argentina deprezzata col cambio giunto fino a 470.
In questi frangenti meravigliosa fu l’opera del Dell’Acqua per oltrepassare la crisi senza danno dei suoi creditori italiani. Persuaso che la tormenta sarebbe stata passeggera, tentò di formare una grande Società esportatrice con interessenza di italiani, fornitori e di argentini, consumatori delle merci. Ma i capitali italiani, timidi, e pronti ad investirsi solo nelle imprese sicure e poco aleatorie, si ritrassero spaventati. La Società si costituì, ma soci erano i fornitori italiani che trasformarono una parte dei loro crediti in azioni. Siccome la vita della Società era limitata a tre anni, si vede che il Dell’Acqua nulla aveva ottenuto all’infuori di una proroga al pagamento dei suoi debiti. Scosso, ma non sfiduciato, ritornò in America e si diede con novello ardore a diffondere le merci italiane. Non erano passati ancora i tre anni ed i dividendi cospicui ottenuti del 10 e persino del 15 per cento inducevano i soci a prolungare di dieci anni la durata della Società e ad aumentare il capitale nell’anno scorso di 1,200,000 lire. Oramai le sorti dell’impresa sono assicurate; e la Casa Dell’Acqua è riuscita a conquistare nell’America latina un’importanza primaria.
La funzione sua è doppia: importare merci italiane e fabbricare sul luogo tessuti e maglie. Nell’importazione si può dire essere stato merito esclusivo del Dell’Acqua se nell’Argentina e nel Brasile l’articolo italiano è ora preferito al tedesco ed all’inglese.
Non solo i nostri connazionali, ma persino i nativi si sono persuasi della migliore qualità della marca italiana in paragone della tedesca, e la preferiscono. Le relazioni dei viaggiatori della Casa, che è sperabile possano venir presto pubblicate, dimostrano quanta pertinacia e quale intelligenza siano state necessarie per aprire al commercio italiano una nuova via che non doveva servire a lui solo, ma a numerose altre Case, che ne imitarono l’esempio.
Chi desideri conoscere i gusti ed i desiderii delle popolazioni americane del sud, i prodotti del paese, i mezzi di comunicazioni, i prodotti da esportarsi e da importarsi, le avvertenze indispensabili per le riscossioni, per gli imballaggi e per le condizionature delle merci, non ha che da svolgere le pagine di queste interessantissime relazioni dei pionieri del commercio italiano.
Ma la crisi economica che dopo l’Argentina travolse anche il Brasile minacciò di distruggere anche il commercio italiano. Spinti dal bisogno di nuove entrate, sobillati dai protezionisti, gli Stati dell’America del Sud elevarono barriere elevatissime che minacciavano di uccidere in sul nascere l’importazione italiana.
Ma il Dell’Acqua seppe vincere ancora una volta. Noi non possiamo più importare i tessuti; ebbene, importeremo il filo e lo trasformeremo in tessuti sul territorio americano. Furono chiamati dall’Italia i capifabbrica, gli operai abili, ed in pochi anni sorsero due fabbriche l’una a San Roque, nello Stato di San Paulo, nel Brasile, l’altra a Buenos Ayres, nell’Argentina.
Amendue sono le fabbriche più grandi del loro genere nei rispettivi Stati; ed in esse italiano è il capitale, italiani i direttori, ed italiana la parte più abile e meglio pagata della maestranza. La fabbrica di Buenos Ayres, edificio dalle linee severe, si estende su ben 13 mila metri quadrati: è divisa in tre sezioni, una destinata alle maglierie, una alla tessitura e la terza al cardeggio. Dappertutto le macchine più perfezionate, i congegni più delicati servono a rendere il lavoro economico e poco costoso.
La forza motrice è fornita in parte da una macchina inglese ed in parte da una macchina italiana del Tosi di Legnano, che così bella fama ha saputo conquistare. Lo stabilimento è illuminato a luce elettrica. Nella sezione maglierie 476 operai e 401 macchine producono da 350 a 400 dozzine al giorno la maggior parte in camicette di cotone e di lana. Nella sezione tessitura 259 operai e 155 macchine producono giornalmente 5000 metri di tessuti di colore e greggi, nella sezione cardeggio-preparazione-tintoria lavorano 51 macchine e 68 operai.
A quest’uomo che in un decennio, in mezzo a tante difficoltà, ha saputo diffondere in un territorio più grande dell’Europa la fama del nome e della produzione italiana, che nelle sue fabbriche, e nei suoi fondaci ha saputo irreggimentare una massa di 2000 uomini, non autonomi incoscienti, ma ruote intelligenti e consapevoli di un potente organismo economico, noi mandiamo un plauso sincero, augurando che in Italia si moltiplichino i capitani dell’industria ed i principi mercanti, i quali a tanto fiore aveano saputo elevare Genova e Venezia.
Solo quando all’emigrazione povera ed ignorante dei contadini e dei braccianti si sarà aggiunta l’emigrazione dei capitali audaci e degli uomini intraprendenti potremo sperare in una espansione gigantesca ed ora non sperabile della nostra attività commerciale; solo allora potremo vedere attivata una viva corrente di traffici fra la madre patria e le colonie italiane.