Finanza di guerra e finanza postbellica
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 17/09/1916
Finanza di guerra e finanza postbellica
«Corriere della Sera», 17 settembre 1916
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. IV, Einaudi, Torino, 1961, pp. 374-376
Molti dei provvedimenti tributari applicati durante la guerra presente dovrebbero essere destinati – sarebbe imprudente adoperare l’affermativo sono destinati, poiché spesso gli istituti più eccezionali diventano permanenti – a scomparire od a trasformarsi profondamente alla pace; e si possono citare il centesimo di guerra, l’imposta sui sovraprofitti, i dazi di esportazione, il contributo per l’assistenza civile, ecc. ecc. Ma in taluni casi l’urgenza della guerra ha indotto il legislatore a risolvere con un taglio netto e sotto colore provvisorio problemi che da anni attendevano una soluzione. E, quel che è meglio, ha indotto il legislatore a scegliere una soluzione buona e meritevole di divenire permanente.
L’esempio più caratteristico è in Italia quello dell’imposta sullo zucchero. La nuova situazione fiscale dello zucchero raffinato risultante dall’ultimo decreto può essere sintetizzata così (in lire per quintale):
Dazio di introduzione sullo zucchero estero | Imposta di fabbricazione sullo zucchero interno | Margine protettivo | |
Normale | 99 | 76,15 | 22,85 |
Sovratassa di guerra | – | +17 | -17 |
Totale | 99 | 93,15 | 5,85 |
Il che vuol dire che, prima della guerra, il fabbricante interno pagava lire 22,85 di imposta in meno in confronto del dazio sullo zucchero importato dall’estero; sicché egli godeva di altrettanta protezione, e poteva tenere di altrettanto i prezzi più elevati, senza pericolo di concorrenza estera.
Oggi, essendo il dazio rimasto immutato ed essendo lo zucchero interno colpito da una sovratassa di guerra di 17 lire, il margine protettivo è stato ridotto a lire 5,85 per quintale. È quanto da molti ed anche dallo scrivente si chiedeva da anni, allo scopo di uniformarsi alle prescrizioni della convenzione di Bruxelles, la quale vietava un margine protettivo maggiore di lire 6. In tempi normali, il provvedimento adottato dall’on. Daneo ed accettato dall’on. Meda, avrebbe avuto il benefico effetto di fare entrare 17 lire di più per quintale (su forse 1.800.000 quintali prodotti in media all’interno) nelle casse dello stato, senza danno del consumatore. Questi non avrebbe pagato lo zucchero un centesimo di più di prima, poiché avrebbe avuto la possibilità di introdurlo dall’estero pagando lo stesso dazio di 99 lire di prima. La maggiore imposta di 17 lire sarebbe, in tempi normali, andata tutta a carico dei fabbricanti, ritenuti dai più bene in grado di sopportare il nuovo gravame.
Oggi, in tempo di guerra, l’effetto dell’aumento di imposta non è quello sovra descritto. L’importazione dall’estero non funge più da calmiere. Lo zucchero estero costa a Genova da 145 a 150 lire al quintale, a cui aggiungendo il dazio di lire 99 si giungerebbe ad un prezzo di circa 247 lire al quintale, il che val quanto dire che l’importazione sarebbe impossibile. Ed è invece indispensabile. Il raccolto interno nella campagna corrente si prevede di appena 1 milione e mezzo di quintali perché la cultura, per i bassi prezzi delle barbabietole offerti dagli zuccherieri e per gli alti prezzi delle altre derrate agricole, sembra si sia ristretta da 62 a 40.000 ettari circa. Il consumo, d’altro canto, è cresciuto da 1.800.000 a 2 milioni e mezzo di quintali, a causa del maggior consumo dell’esercito, del rialzo dei salari delle masse operaie, dall’accresciuto consumo del cioccolato, dei biscotti e dei dolci, della minore importazione di saccarina e di zucchero di contrabbando attraverso l’Adriatico.
Essendo quindi giuocoforza importare dall’estero, il governo concedeva da tempo licenze di importazione con abbuono di parte del dazio, in guisa che il costo complessivo tra prezzo e dazio dello zucchero importato non superasse le 148 lire, fissate come prezzo massimo all’interno. Essendo però i prezzi all’estero aumentati notevolmente – si pensi che nulla giunge dalla Russia e dall’Austria, e che i migliori distretti bietoliferi della Francia e del Belgio sono occupati dal nemico – l’abbuono del dazio avrebbe oggi dovuto essere totale, se si voleva che lo zucchero continuasse ad entrare in Italia.
Per necessità quindi il governo fu costretto a portare il prezzo di calmiere da 148 a 180 lire al quintale all’ingrosso, il che vuol dire a circa lire 1,90 al minuto nei luoghi dove lo zucchero non è colpito da dazio consumo comunale. L’importazione dall’estero, che è indispensabile, sarà resa possibile. Il governo, specialmente se, come sembra, ha conchiuso accordi con l’Inghilterra per acquistare zucchero a prezzi inferiori a quelli di mercato, potrà continuare ad esigere parte del dazio di importazione, tanto necessario all’erario in questi tempi; sarà posto un tenue freno al consumo dello zucchero sotto forme di dolciumi; ed i fabbricanti, sembra, non riceveranno nessun utile dall’aumento di prezzo essendo la differenza fra le lire 180 di prezzo e le lire 93,15 di imposta stata calcolata, affermasi, in guisa da far fronte solo ai maggiori costi di produzione.
Tutto il male dell’aumento odierno dei prezzi non sarà risultato nocivo, se:
- il governo eviterà di affidare l’importazione del milione di quintali di zucchero dall’estero all’«Unione Zuccheri»; ma importerà direttamente o si gioverà di un consorzio di negozianti e cooperative di vendita. Trattandosi di importazione a condizioni di favore, ossia con rilevante abbuono di dazio, fa d’uopo non affidarla a quel sindacato di zuccherieri che in tempo di pace aveva saputo giovarsi della protezione larghissima, concessa per dare incremento all’industria, solo per creare un monopolio privato di vendita a danno dei consumatori;
- al ritorno della pace sarà conservato l’attuale regime fiscale fortunatamente consigliato dalle esigenze di guerra. Il dazio di lire 99 sullo zucchero estero, accompagnato da un’imposta di fabbricazione di lire 93,15 sullo zucchero interno, lascia ancora un margine protettivo di lire 5,85 largamente sufficiente ad una industria, già ricca prima e rafforzatasi vieppiù durante la guerra. Nessuna riforma fiscale, imposta dalla guerra, risponde meglio di questa alle esigenze dell’interesse pubblico.