Opera Omnia Luigi Einaudi

Emigrazione crescente

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 21/12/1906

Emigrazione crescente

«Corriere della sera», 21 dicembre 1906

 

 

 

Che il momento attuale sia assai favorevole all’Italia; e che molti indizi concorrano a far ritenere vera l’impressione di essere oramai incamminati sulla via delle prosperità è cosa indubbia. Ma forse non è male che – a farci riflettere alquanto, a moderare gli entusiasmi eccessivi, a persuaderci che lungo è ancora il cammino da percorrere – si mettano in luce i punti neri o incerti della nostra costituzione sociale ed economica, quali ci son rilevati dalle statistiche che gli uffici pubblici assiduamente van pubblicando. Su una di queste statistiche vogliamo oggi brevemente soffermarci: su quella della emigrazione italiana all’estero nel 1904 e nel 1905.

 

 

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L’opinione corrente di un dieci anni or sono, che guardava con sospetto all’emigrazione come ad una piaga gravissima nostra, oggi non è più di moda; e più ragionevolmente si considera l’emigrazione come una valvola di sicurezza all’aumento irrefrenato delle genti per l’eccedenza della natalità sulla mortalità, come un fattore potente di rialzo dei salari e di migliorato tenor di vita delle classi lavoratrici, come un mezzo di arricchimento a causa del rimpatrio degli emigranti, ecc. Ma, se questo è verissimo, non è men vero che l’emigrazione italiana è oggi cresciuta a tal segno da destare vive preoccupazioni e da far paventare che se la Francia non cresce più in numero di abitanti per la natalità ridottissima, l’Italia non debba più crescere per l’abbandono volontario dei suoi figli.

 

 

Che l’aumento dell’emigrazione all’estero sia straordinario ed in singolar contrasto con tutti gli indici che proclamano la singolare prosperità economica dell’Italia è chiaro dal raffronto delle cifre degli ultimissimi anni. Non parliamo degli anni prima del 1880 quando l’emigrazione si aggirava sulle 100 mila persone, o di quelli dall’80 all’86 quando era inferiore alle 200 mila, o ancora di quelli anteriori al 1900 che videro un nuovo aumento alle 300 mila persone. Oramai ci eravamo abituati alle cifre grosse: 352 mila nel 1900, 533 mila nel 1901, 531 mila nel 1902, 507 mila nel 1903, 471 mila nel 1904. Quasi mezzo milione di italiani che ogni anno abbandonavano il suolo della patria, di cui più di metà diretti a paesi transoceanici! ma il 1905 reca una cifra spaventosa: 726.331 emigranti, di cui 279.248 per l’Europa ed i paesi mediterranei, e 447.083 per i paesi transoceanici. I primi 6 mesi del 1906 crescono ancora l’impressione grande delle statistiche dell’anno scorso: 458.013 emigranti, di cui 286.103 per oltre Oceano in un sono semestre! A questa stregua non passerà molto che ogni anno un milione di italiani uscirà dal paese e correremo il pericolo di dividere con l’Irlanda il triste privilegio, che finora pareva serbato all’isola infelice del nord, di vedere la popolazione scemare perché il numero degli emigrati supera l’eccedenza delle nascite sulle morti.

 

 

Nella sola Irlanda finora, nel 1904 ad es., mentre l’eccedenza delle nascite sulle morti era del 5,52 per mille abitanti, l’emigrazione transoceanica era del 13,23. Dappertutto invece, anche da noi, l’emigrazione riusciva appena ad assorbire una parte dell’eccessivo incremento naturale dei popoli: ancora nel 1904, i 252 mila emigrati per paesi fuori d’Europa, erano appena l’8,01 per mille della popolazione, la quale era in quell’anno cresciuta dell’11,61 per mille per l’eccedenza delle nascite sulle morti. Rimaneva in Italia un residuo di nuove braccia, destinate in avvenire a rendere possibile l’incremento numerico ed economico della patria. Nel 1905 il rapporto cambia. L’eccedenza delle nascite sulle morti, con piccola variazione spiegabilissima, risulta del 10,54 per mille abitanti; mentre l’emigrazione per paesi fuori d’Europa balza al 13,67 per mille.

 

 

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Errerebbe però chi volesse trarre da queste cifre la conseguenza che l’Italia sia destinata a spopolarsi come l’Irlanda. Innanzi tutto molti ritornano in patria dopo essere rimasti all’estero un tempo più o meno lungo: sui 726 mila emigrati del 1905, pare che solo 264 mila emigrassero coll’intendimento di non ritornare più. Che cosa sia avvenuto di questo proposito, non si sa di preciso; poiché non è possibile seguire gli emigranti nelle loro peregrinazioni e sapere quanti siano stati persuasi dalle avversità o dalla prospera fortuna a ritornare in paese prima del tempo stabilito. È certo però che nei soli porti di mare italiani erano sbarcati nel 1905 ben 96.156 passeggeri di terza classe e nel 1904 ben 168.379 mila; il che dà un contingente tutt’altro che spregevole di rimpatriati e contribuisce a diminuire l’impressione a tutta prima gravissima delle cifre complessive. Ed un’altra osservazione dobbiamo aggiungere: che, cioè, il pericolo dello spopolamento non esiste in tutta Italia, ed anzi in certe regioni non esiste affatto. Vi sono regioni in cui l’emigrazione transoceanica rimane sensibilmente inferiore all’incremento naturale del numero degli abitanti a causa dell’eccedenza delle nascite sulle morti: la Lombardia, dove la emigrazione è del 3,64 per mille abitanti e l’aumento è del 13,09 per mille; la Liguria, dove le due cifre sono del 5,60 e dell’8,24; e così pure il Veneto (3,95 e 14,17), la Toscana (3,97 e 10,95), l’Umbria (3,56 e 10,29), e la Sardegna (0,54 ed 11,12). È vero che alcune di queste regioni, come il Veneto, la Lombardia, l’Emilia e l’Umbria, danno un forte contingente all’emigrazione verso l’Europa; ma quelli sono emigranti che di solito ritornano dopo qualche mese. Vi sono altre regioni dove le cifre dell’emigrazione transoceanica e dell’eccedenza delle nascite sulle morti si equilibrano: come il Piemonte con 9,20 e 9,15 per mille e le Puglie con 8,25 ed 8,01. Il punto nero si ha nelle regioni ove una emigrazione del 19,34 per mille si contrappone solo un’eccedenza delle nascite sulle morti dell’11,63 per mille, il Lazio con 10,20 e 9,04, gli Abruzzi e Molise con 35,26 e 9,30, la Campania con 24,67 e 10,29, la Basilicata con 33,57 e 6,69, le Calabrie con 43,35 e 12,78, la Sicilia con 26,40 e 10,76. Qui il fenomeno dell’emigrazione assume un aspetto terrificante. Non è il sovrappiù della popolazione che se ne va via, ma è la popolazione stessa che emigra: i nuovi nati non bastano e di gran lunga non bastano a colmare i vuoti lasciati dai morti e dagli emigrati. E, si noti bene, coloro che emigrano sono il fiore della popolazione: quasi tutti uomini validi che lasciano a casa le donne, i bambini, i vecchi, gli infermi. Ecco il punto nero che rivelano le statistiche dell’emigrazione: l’esistenza, in questa Italia che ogni giorno progredisce e si arricchisce, di una vasta regione da cui gli uomini fuggono e dove la popolazione scema. Uno statistico e storico insigne, Pasquale Villari, ha descritto in una recente conferenza il quadro triste del Mezzogiorno agricolo dove, a causa dell’emigrazione, si decompone la famiglia, cresce l’agricoltura intensiva, è sopravalutata la terra che gli emigrati, di ritorno dall’estero con un piccolo gruzzolo, si strappano pazzamente dalle mani a prezzi fantastici. Ed alle sue parole, vibranti di affetto verso gli umili lavoratori delle campagne, debbono far eco tutti quanti ritengono convenga apprestare a tempo mezzi atti, non diciamo a risolvere, ma semplicemente a rendere meno grave un problema sociale fra i più inquietanti dell’Italia nuova.

 

 

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Il Villari molto opportunamente ricorda ciò che i Governi conservatori dell’Inghilterra hanno fatto per facilitare ai contadini irlandesi l’acquisto della terra; e noi vorremmo che il ricordo, venendo da persona di tanta autorità, avesse virtù di persuadere che una grande funzione di iniziativa e di guida è serbata anche in Italia in questo campo al Governo ed alle istituzioni pubbliche. Non basta aver dato modo all’emigrante di inviare in Italia i suoi risparmi in modo sicuro, quando al ritorno egli li disperde malamente in acquisti a prezzi esorbitanti di appezzamenti minimi di terreno e di casette. L’usura, cacciata da una parte, risorge dall’altra ed assorbe i sudati risparmi dell’emigrante sotto forma di sopravalutazioni dei terreni. Le Banche, le Casse di risparmio, gli Istituti di credito fondati dal Governo nelle provincie meridionali. potrebbero efficacemente aiutare questo moto spontaneo della terra verso i contadini, facendo in guisa che il frazionamento avvenisse senza troppe spese di pagamento rateali, l’accesso alla proprietà di unità culturali atte a far vivere una famiglia.

 

 

La discesa dei capitali settentrionali verso il Mezzogiorno gioverà anche, speriamolo almeno, a trattenere sul suolo della patria il fiore della gioventù che ora emigra nell’America a cercar fortuna. E sarà un giovamento grande non solo economico, ma anche sociale, poiché chi può dire i mali che alla compagine della famiglia arreca questa perturbazione dei rapporti normali fra le età diverse, per cui ad una sovrabbondanza eccessiva di donne e di bambini si accompagna una scarsità estrema di uomini giovani e maturi? Sarà anche un bene militare e politico, perché diminuirà lo squilibrio fra la struttura del nostro esercito ed i contingenti di leva, ogni anno minori a cagione della forte emigrazione all’estero dei giovani sulla ventina.

 

 

Industrializziamo il Mezzogiorno d’Italia! ecco la conclusione di questa dolorosa statistica. Eleviamo la produzione delle terre , facciamole passare col minimo costo da mani inette a mani più capaci, diamo energico impulso al rimboschimento ed alla utilizzazione delle forze d’acqua! Così soltanto avremo risolto il grande problema di conservare i figli suoi alla terra che li vide nascere.

 

 

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