Dopo un anno
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 18/11/1908
Dopo un anno
«Corriere della sera», 18 novembre 1908
L’anno scorso, tra l’ottobre ed il novembre, aveva veduto scatenarsi una delle crisi maggiori che sotto taluni rispetti, specialmente di Borsa, ricordi l’epoca nostra. È inutile dare a quegli avvenimenti recentissimi uno sguardo retrospettivo. Ma è interessante porsi invece questa domanda: a un anno di distanza, quanto cammino abbiamo percorso? A che punto ci troviamo nel processo di ricostituzione che ad ogni crisi immancabilmente segue, preludio di nuovi futuri progressi nello sviluppo industriale e commerciale?
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La risposta non è identica, ed è logico, in tutti i campi che furono percorsi dall’uragano devastatore partito dal Nord-America. Dove le traccie sono minime e l’orizzonte è di un bel sereno non offuscato quasi da alcuna nube, è sul mercato monetario. Tutti ricordano che la crisi del 1907 fu negli Stati Uniti caratterizzata dalla scomparsa del medio circolante aureo.
I dollari d’oro e d’argento erano stati fatti sparire dalla crisi di sfiducia nelle Banche, dalla paura ragionante; ed al loro luogo circolava ogni sorta di certificati delle stanze di compensazione, delle ditte private, ecc., ecc. Ad alte grida si invocava l’ora dell’Europa ed i carichi, appena giunti a New York, erano rapidamente inghiottiti da quell’immenso mercato rimasto d’un tratto privo di moneta.
Oggi le cose sono cambiate. Le Banche associate di New York, che il 23 novembre 1907 avevano depositi per dollari 1.079.820.000, li hanno cresciuti al 7 novembre 1908 a 1.396.920.000; e la riserva che era di 215.850.000 dollari è pure rialzata a dollari 379.510.000. Cosicché mentre l’anno scorso vi era un deficit di 54.105.000 dollari al disotto del minimo legale, in quest’anno si ha un’eccedenza di 30.280.000 dollari. Il miglioramento è notevole, quantunque, come al solito, nell’autunno i bisogni di sconti siano cresciuti, e la riserva sia oggi minore di quella che era al principio di ottobre.
L’abbondanza dell’oro si è fatta pur sentire in Europa. La Banca d’Inghilterra, che il 6 novembre 1907 aveva visto cadere i suoi biglietti in riserva a L. st. 16.460.000, al 4 novembre 1908 li aveva portati a L. st. 25.330.000. L’incasso metallico da 28.724.000 L. st. un anno fa è adesso cresciuto a 35.866.000 L. st.; il portafoglio e le anticipazioni che, per la gran furia del bisogno, ammontavano a L. st. 36.099.000 sono invece caduti a L. st. 26.360.000. Il tasso dello sconto dalle altezze estreme del 7% da lungo tempo è caduto al 2,1/2% ed anche ora si mantiene a questo livello. La Banca di Francia è sempre rigurgitante di riserve metalliche; ma queste che, tra oro ed argento, giungevano a 3.723.137.000 franchi il 31 ottobre 1907, al 5 novembre del 1908 erano salite ancora a 4.207.000.000 fr.; mentre la circolazione scemava da 5.053.176.000 a franchi 5.026.761.000 per i minori bisogni dell’industria e del commercio, i quali si rispecchiavano in circa 600 milioni di meno di sconti. Cosicché lo sconto del 4% è disceso da mesi al 3% e a quel punto rimane.
La Germania che fu il paese più duramente provato dalla carestia del denaro dopo gli Stati Uniti, ha visto migliorare anch’essa notevolmente la sua situazione monetaria. L’incasso metallico della Banca imperiale tedesca, che era caduto a 737.022.000 marchi il 30 settembre 1907, è al 7 novembre 1908 aumentato a 1.072.260 marchi. I biglietti in circolazione sono invece scemati da 1.824.546.000 a marchi 1.609.099.000, in questo stesso frattempo, poiché scemavano le domande di sconti e di anticipazioni da 1.649.215.000 a 932.077.000 marchi. Lo sconto che al 7 novembre 1907 era stato portato sino al 7 e 1/2%, da mesi si adagia al 4%; né pare vi siano probabilità di aumento.
Anche in Italia la situazione è migliorata. La Banca d’Italia al 30 settembre 1907 aveva una riserva aurea od equiparata di 1.008.322.971 lire; al 20 ottobre 1908 l’aveva di lire 1.118.378.797. La circolazione al 30 settembre 1907 era di L. 1.365.305.850, e adesso è di L. 1.418.533.150; ma l’anno scorso la Banca aveva dovuto esaurire la circolazione nel limite normale di 630.000.000, oltre a 686.686.803 lire di biglietti intieramente coperti da oro, aveva dovuto emettere 45.000.000 lire di biglietti in eccedenza, pagando una tassa uguale ai due terzi del tasso dello sconto, più ancora 3.619.046 lire di biglietti con tassa uguale allo sconto intiero. Nell’ottobre 1908 la circolazione si compone invece di 826.478.754 lire intieramente coperti da riserva e di lire 592.057.395 di biglietti nel limite legale, il quale fu dall’ultima legge cresciuto da 630 a 660 milioni di lire. I bisogni di denaro sono minori da noi come all’estero e il portafoglio interno, che al 30 settembre 1907 era di lire 418.809.407, al 20 ottobre 1908 si limitava a L. 362.349.243.
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Mercato monetario facile, per abbondanza di denaro e per scarsità di richieste di sconti da parte del commercio e dell’industria. È la caratteristica solita dei periodi di liquidazione ed è preludio consuetamente ad una ripresa futura, poiché il denaro facile agevola il sorgere di progetti, di iniziative che sarebbero stati senz’altro uccisi dal denaro caro. Ma da sé l’abbondanza del denaro non è sufficiente a produrre tale effetto; ove contemporaneamente il consumo non permetta il fiorire dell’industria e l’incremento di quella fabbricazione che s’era ristretta in conseguenza della crisi. L’indice migliore delle variazioni nei rapporti fra consumo e produzione sono i prezzi. Il loro salire è indice di una corsa della produzione dietro al consumo, il quale non è soddisfatto e vuole quantità maggiori di merci a prezzi crescenti; mentre il diminuire dei prezzi è segno che il consumo si rifiuta ad assorbire tutta la merce che l’industria butta sul mercato e questa deve a poco a poco ridurre i prezzi per allettare i consumatori.
Orbene, in questo momento, il ribasso dei prezzi si è arrestato; ma non si può ancora affermare che vi sia una ripresa. Siamo in mercato stagnante, ecco tutto. Ho avuto occasione di citare altra volta i numeri indici da cui l’Economist di Londra riassume mese per mese le variazioni dei prezzi all’ingrosso di 22 merci o gruppi di merci fra le più importanti. Il numero indice, che era salito a poco a poco da 2197 al 31 dicembre 1903 (livello inferiore a quello, che l’Economist considera come normale, di 2200) a 2594 nel giugno 1907, ha in seguito subito le seguenti variazioni:
Fine di giugno 1907 | 2594 |
settembre | 2457 |
novembre | 2360 |
dicembre | 2310 |
gennaio 1908 | 2309 |
febbraio | 2266 |
marzo | 2263 |
aprile | 2195 |
maggio | 2188 |
giugno | 2190 |
luglio | 2190 |
agosto | 2168 |
settembre | 2200 |
ottobre | 2194 |
Un aumento c’è stato nel settembre ma di poco rilievo; cosicché si può affermare che dall’aprile in poi i prezzi abbiano oscillato piuttosto al disotto del livello normale o base dell’Economist. Meno alti sono sopratutto i prezzi di quelle tali merci che costituiscono il pane dell’industria. Il carbone (best Wallsend) a 18 scellini per tonnellata è due scellini e mezzo più caro che nel 1906; ma è quattro scellini più a buon mercato del 1907.
La ghisa oggi si trova ad un livello più basso che nel 1907 e nel 1906 ed ha una brutta piega, a causa degli scioglimenti, che si susseguono, dei sindacati in Germania e della lotta accanita di prezzi prevista per il 1909.
In Inghilterra gli industriali siderurgici cominciano a spaventarsi per una temuta inondazione di ghisa e di ferro a vilissimo prezzo; pericolo da cui neppure gli altri paesi vanno immuni. Il rame questo delicatissimo indice della situazione di una folla di industrie, forse il perfetto segnalatore delle variazioni barometriche industriali, sembra che accenni ad un risveglio; dopo essersi trascinato faticosamente dai dintorni di 55-56 lire st. per tonnellata a 60-61 lire st. circa, ha ora fatto una punta a 65-67 L. st. Ma l’aumento pare dovuto sovratutto a manovre speculative americane ed i competenti giudicano scarsa – data la consistenza attuale degli stocks, il consumo e l’attività produttrice delle miniere – la probabilità di un aumento permanente. I bassi prezzi del carbone, del ferro, del rame e in genere di tutti i minerali e metalli sono in stretto rapporto colla depressione nei cantieri navali e questa a sua volta è influenzata dalla difficoltà di trovare noli remunerativi per la marina mercantile. Neppur bene procede la grande industria cotoniera, sovratutto dell’Inghilterra. Il gigantesco dissidio fra industriali ed operai, finito con la peggio di questi ultimi, è stata la più appariscente manifestazione dello stato di squilibrio fra produzione e consumo in cui si trova quell’industria e della necessità di adattare i salari e gli altri elementi del costo al nuovo stato dei prezzi e della domanda. Si è esagerato molto in Inghilterra nei nuovi impianti e da 185,000 fusi nuovi nel 1902 si è impetuosamente saliti a 3,530,000 fusi nuovi nel 1905, a 1,840,000 nel 1906, a 3,320,000 nel 1907. Furono gravi errori ed ora se ne scontano le conseguenze.
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Si potrebbe continuare nell’elenco delle industrie le quali vedono incerto l’avvenire dinanzi a sé, in conseguenza delle esagerazioni commesse negli anni di letizia. Si potrebbe aggiungere che la percentuale dei disoccupati tra i soci delle leghe operaie inglesi è salito dal 4.6 per cento nel novembre 1907 al 9.6 per cento adesso; e che negli Stati Uniti dell’Atlantico il numero dei disoccupati tocca il milione e mezzo. Ma il quadro generale del momento presente è nelle sue grandi linee tracciato.
L’anno trascorso dopo lo scoppio della crisi ha veduto accentuarsi due fenomeni: da un lato l’aumento delle disponibilità monetarie, dei capitali disponibili in cerca di un impiego: e dall’altro la scarsezza di impieghi sicuri, trovandosi tuttora molte grandissime industrie in quello stato stagnante che ad ogni crisi sussegue. Finché la domanda non ripigli, gli industriali limiteranno la loro produzione e non faranno nuovi impianti, od almeno faranno tutto ciò in proporzioni assai minori del normale.
Di fronte a questa situazione, la Borsa ha preso il suo partito e si è orientata (il discorso qui è generale e riguarda i mercati internazionali) verso l’ottimismo. Ed ha ragione.
Le Borse devono essere pessimiste quando gli affari vanno troppo bene, quando si annunciano dividendi vistosissimi ed i corsi dei titoli sono già saliti ad altezze vertiginose. Accanto al Campidoglio vi è la Rupe Tarpea.
La eccitazione negli affari ed i successi strabilianti sono sempre forieri di crisi. Le Borse accorte allora cominciano a mormorare ed a fare del ribasso. Ma quando la crisi si va alacremente liquidando, quando gli industriali si lamentano della mancanza delle ordinazioni e dei prezzi bassi, allora possiamo prevedere, ad una scadenza più o meno precisa e lontana, e salvo le ricadute eventuali e momentaneamente talvolta inevitabili, una ripresa nel consumo, allettato dai più bassi prezzi, e l’inizio, dapprima inavvertito e lento, del risveglio economico. Qua e là, si veggono già gli albori antelucani di questa ripresa. Sono le ferrovie americane le quali o vedono aumentare, per cifre lievissime, o diminuire di meno i loro prodotti lordi. Sono le stanze di compensazione, il cui giro d’affari torna a crescere. Sono i portafogli delle Banche d’emissione che, dopo essersi rimpiccioliti oltre misura sino a luglio ed agosto, tornano lievemente a gonfiarsi. Sono le correnti di importazione e di esportazione che non presentano più delle diminuzioni così colossali come nei primi mesi dell’anno. Sono i buoni raccolti in grano degli Stati Uniti e del Canadà che, venduti a prezzi alti, stanno già segnando il ritorno della prosperità tra i farmers americani. È l’agricoltura mondiale che, salvo alcune eccezioni come il vino e il caffè, vende a prezzi remuneratori una produzione crescente. Indice che il consumo dei generi alimentari non ha subito una sosta, e che anche il consumo delle manifatture, trascorso il periodo dello smaltimento degli stocks, finirà per riprendere. Persino il consumo degli oggetti di lusso segna una ripresa; e le spedizioni di diamanti a New York, che nel novembre e dicembre 1907 erano state ridotte a zero, ora toccano cifre non spregevoli sebbene ancor lontane dai punti massimi. Tutti questi indici portano a concludere che le industrie, prima quelle che producono oggetti di consumo diretto e poi quelle che producono per impianti hanno dinanzi a sé un avvenire migliore di quello che sia stato l’anno trascorso dopo lo scoppio della crisi.
Le Borse hanno compreso questa tendenza e sono diventate ottimiste. In ciò hanno ragione, perché compito della speculazione non è di rattristarsi sul passato, ma di prevedere l’avvenire. Se le Borse abbiano ragione di essere ottimiste in tutti i casi e per tutte le industrie, se esse non corrano pericolo di anticipare qua e là una ripresa, prossima soltanto per alcune e più lontana per altre imprese, non può essere compito dello studioso di dire. La previsione nella scienza economica è possibile soltanto in misura limitata e nelle grandi linee. Allo speculatore e al banchiere spetta di prevedere giusto nei casi particolari, in guisa da riuscire di utile guida agli industriali ed ai capitalisti.