Credito e regioni
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 07/12/1946
Credito e regioni
«Risorgimento liberale», 7 dicembre 1946
La discussione dei rapporti fra regione e regione, fra nord e sud, fra zone agricole e zone industriali è stato ed è dibattuto il problema: è esatto ed entro quali limiti è esatto dire che i risparmi di talune regioni siano assorbiti dalle banche e trasportati altrove, per essere impiegati a beneficio di altre regioni o zone? Alla domanda è sempre stato difficile dare una risposta precisa per mancanza di dati statistici.
Poiché ad occasione dei dibattiti intorno al nuovo ordinamento regionale ho avuto modo di procurarmi taluni dati non privi di interesse, reputo non inutile riassumerli brevemente. Innanzi tutto giova prima, a chiarire il significato delle cifre che saranno in seguito riprodotte, dire che esse si riferiscono ad un rapporto percentuale fra l’ammontare dei depositi ricevuti da tutte le banche, casse di risparmio ed altri istituti di credito (ad eccezione delle sole casse postali di risparmio) in ogni singola regione e l’ammontare degli impieghi effettuati nelle medesime regioni dalle medesime banche, casse ed istituti di credito.
Impieghi e depositi sono localizzati non nella sede centrale della banca o cassa ma in quella filiale dove i depositi hanno origine e dove si effettuano gli impieghi.
Avverto anche che per depositi si intende l’ammontare dei depositi fiduciari e dei conti correnti di corrispondenza con clienti ed aziende di credito (esclusi, tra questi ultimi i conti reciproci che farebbero doppio); e che per impieghi si intende l’insieme del portafoglio, degli effetti riscontrati, delle anticipazioni, dei conti correnti di corrispondenza (esclusi, anche qui, i reciproci) dei riporti, dei mutui e delle partecipazioni.
Ho sotto gli occhi una tabella nella quale i rapporti, regione per regione, fra impieghi e depositi sono indicati per tutti gli anni dal 1938 al 1945. Il quadro abbastanza uniforme, nel senso che la percentuale degli impieghi ai depositi va nel complesso abbissandosi regolarmente dal 31 dicembre 1938 al 31 dicembre 1944, per risalire di nuovo nel 1945. Nel 1938 il totale nazionale del depositi era di 56,8 e quello degli impieghi di 365 miliardi di lire, il che voleva dire che nel complesso dello stato, le banche impiegavano il 64,2% dei depositi ricevuti; laddove alla fine del 1944 la percentuale (80,4 miliardi di impieghi su 243,5 miliardi di depositi) era ribassata al 33 per cento. Le banche cioè durante la guerra avevano adottato la politica della massima liquidità: impiegare il meno possibile e tenere i fondi dei depositanti in forma liquida, così da potere essere pronti ad ogni richiesta di rimborsi. Tenere i fondi liquidi vuol dire tenere in cassa biglietti ovvero depositare il disponibile presso l’istituto di emissione od acquistare buoni del tesoro ordinari a brevissima scadenza. La politica della liquidità era la migliore in quei frangenti; quella la quale imbrogliava al minimo le spese di guerra e le manteneva atte ad adottare in seguito una politica di graduale prudente aiuto alle industrie. Così infatti sta accadendo ed al 31 dicembre 1945 il rapporto era risalito al 41%: 169,1 miliardi di impieghi contro 412 miliardi di depositi. Che il rapporto dovesse aumentare nel 1945 era logico e fu benefico: né ci sarà da allarmarsi se alla fine del 1946 esso risulterà ulteriormente salito. Purché non si vada troppo più in su e non si superi quel punto oltre il quale gli impieghi si trasformano in immobilizzazioni! Il rapporto del 64,2% vigente nel 1938, senza dovere essere considerato un articolo di fede inviolabile a pena di commettere peccato mortale, può tuttavia guardarsi come una pietra miliare al di là della quale sarebbe pericoloso azzardarsi.
Giova notare che la caduta del rapporto tra impieghi e depositi non è fenomeno peculiare all’Italia. Dappertutto, dopo il 1938, quel rapporto è caduto; e dappertutto le banche, se hanno voluto mantenersi in grado di far fronte alle legittime domande dei depositanti, hanno dovuto mantenere eccezionalmente elevato il loro grado di liquidità; non ultima spiegazione del fatto che non si è sentito parlare, finita la guerra, di dissesti bancari. I dissesti vengono quando le banche si immobilizzano e, tratte dalla speranza di buoni guadagni, si impegnano troppo a fondo con la clientela. Nessuno può dire quale sia il rapporto ottimo tra impieghi e depositi. Il fiuto personale, la pratica degli affari, la lunga esperienza insegnano assai più dei migliori trattati e dei più eloquenti discorritori.
Come si comportarono le diverse regioni riguardo agli impieghi dei loro depositi? Ricorderò solo, per non affastellare troppe cifre, quelle del primo (1938) e dell’ultimo anno (1945). Trattasi sempre di rapporti percentuali (su 100 lire di depositi ricevuti nella regione indicata, quante lire furono impiegate nella medesima regione?)
1938 | 1945 | |
Piemonte | 45.2 | 49.9 |
Liguria | 61.5 | 43.4 |
Lombardia | 57.3 | 34.1 |
Venezia Trid. | 56.3 | 19.3 |
Veneto | 75.3 | 36.2 |
Venezia Giulia | 55.4 | 51.9 |
Emilia | 78.5 | 42.9 |
Toscana | 67.6 | 32.7 |
Marche | 84.6 | 54.4 |
Umbria | 84.2 | 47.3 |
Lazio | 52.1 | 37.1 |
Abruzzi, Molise | 91.5 | 70.4 |
Campania | 106.0 | 68.8 |
Puglie | 92.2 | 49.7 |
Lucania | 133.1 | 115.4 |
Calabria | 101.1 | 45.8 |
Sicilia | 68.8 | 33.6 |
Sardegna | 185.3 | 54.9 |
Media generale | 64.2 | 41.0 |
Come in tutte le statistiche, sarebbero fuor di luogo conclusioni recisamente affermative. Il margine di incertezza in questa maniera è sempre siffatto da consigliare ad esporre piuttosto osservazioni di carattere negativo o dubitativo.
Il Lazio, ossia la regione dove sta la capitale, sembra tra le meno disposte ad assorbire in impieghi proprii i depositi che affluiscono alle sedi locali dell’apparato creditizio. Se una differenza si può notare fra il mezzogiorno continentale e le altre regioni del continente sembra sia nel senso che il mezzogiorno assorbe in loco una percentuale maggiore dei propri depositi di quel che accada nel nord e nel centro. Nessuna regione, salvo la Lucania, impiega d’ordinario tutti i propri depositi a pro delle proprie iniziative; ma le regioni meridionali, produttrici di minori quantità assolute di risparmio, ne impiegano naturalmente sul luogo una proporzione maggiore delle altre.
Tra le due grandi isole, la Sicilia dal 1938 al 1941 si mantenne su un rapporto uguale o superiore a quello medio italiano: dal 1942 al 1945 cadde al disotto, impiegando in loco una relativamente più bassa proporzione dei propri depositi. La Sardegna sta costantemente al di sopra della media nazionale; ed anzi nel 1938 e nel 1939 assorbì a vantaggio dei propri clienti una quota dei depositi continentali.
Una sola regione, la Lucania, impiega in loco costantemente, senza alcuna eccezione negli otto anni ultimi, una somma superiore a quella fornita dai propri depositanti; circostanza questa conforme a ragione perché, è ovvio che i risparmi vadano dalle regioni più ricche a quelle più povere. In generale, la regola non si può dire sia o debba essere osservata negli anni di liquidità; quando tutte le regioni danno più che non ricevano. Ma tende ad essere rispettata negli anni in cui gli impieghi assorbono volentieri il risparmio nuovo: nel 1938 la Campania, la Lucania, le Calabrie e la Sardegna si giovarono del risparmio altrui.
In tutti i paesi, gli abitanti delle varie regioni usano muoversi lagnanze reciproche; e noi italiani non sfuggiamo alla regola. Sarebbe però assai vantaggioso di restringere il campo delle lagnanze a quelle fondate. Il mezzogiorno e le isole hanno certamente ragione di lamentare la politica protezionistica condotta nel passato, la quale oggi tende ad assumere nuove forme non meno pericolose delle antiche anche se palliate da vincoli monopolistici e sindacali e centralizzatori (alcuni tipi di nazionalizzazione mascherano monopoli di burocrazia e di parti politiche assai dubbi); e nelle proteste sono sicuri di avere il consenso di tutti i settentrionali nemici dei privilegi. Negli altri campi economici, fuor di quello protezionistico, i motivi di dissidio meritano di essere approfonditi e chiariti alla luce dei fatti accertati. Al sistema bancario, quale oggi esiste si possono certo appuntare difetti, come ad ogni altra umana istituzione. Alla prova dei fatti, quali sono conosciuti, non si può tuttavia muovergli il rimprovero di spogliare talune regioni a favore di altre e specie quelle povere a pro di quelle ricche. Le banche tendono ad operare economicamente e portano i risparmi dove hanno migliori speranze di remunerazione; epperciò tendono ad andare dalle regioni più ricche, dove la concorrenza è più viva e le possibilità economiche sono già meglio sfruttate alle regioni più povere dove innanzi agli occhi degli uomini ardimentosi si parano ancora campi vergini. Se non la disturbiamo con regolamenti vessatori, questa tendenza del risparmio ad andare dalle regioni più ricche a quelle più povere è una tendenza naturale ed opera a pro del bene comune.