Opera Omnia Luigi Einaudi

Contributo alla storia della teoria del rapporto tra M (moneta) ed MI (surrogati della moneta) nella equazione dello scambio

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1918

Contributo alla storia della teoria del rapporto tra M (moneta) ed MI (surrogati della moneta) nella equazione dello scambio

«Atti della R. Accademia delle scienze di Torino», vol. 53, 1917-1918, pp. 1305-1319 (tomo II, pp. 669-683)[i]

 

 

 

Nella equazione dello scambio[ii]

 

 

P = (MV + MIVI) / T

 

 

è noto che gli scrittori suppongono esistente una relazione determinata fra M (moneta propriamente detta) ed MI (depositi bancari soggetti a trasferimenti per mezzo di assegni o cheques). Se le due quantità M ed MI fossero indipendenti tra di loro, sarebbe impossibile affermare che, astrazion fatta dai rapporti fra P e V, VI, T, il livello generale dei prezzi P sia in funzione soltanto di M, essendochè P sarebbe invece in funzione di due variabili indipendenti M ed MI.

 

 

Il Fisher ha cercato di provare che i depositi bancari (MI) sono normalmente un multiplo più o meno determinato della moneta (M):

 

 

  1. Le riserve in contanti o moneta delle banche debbono essere in un dato rapporto variabile a seconda della natura, dell’ammontare individuale e della durata dei depositi. Per ogni banca e quindi per ogni paese vi è una relazione normale fra riserve monetarie delle banche e depositi bancari; e da ciò deriva che MI è una quantità dipendente da M (op. cit., pag. 45 e segg.).

 

  1. Ogni privato, ogni ditta o società mantiene una certa proporzione più o meno definita fra le transazioni regolate per contanti e quelle regolate con assegni, ed altresì fra la moneta tenuta nel cassetto ed i depositi in conto corrente. La proporzione varia a seconda delle convenienze e delle abitudini individuali. Le ditte commerciali usano moneta per pagare i salari e le piccole spese, e spiccano assegni per i pagamenti ad altre ditte. Il privato distribuisce i suoi pagamenti tra i due modi a seconda del loro ammontare. Se il contante scema troppo, lo si accresce incassando un assegno. L’uso degli assegni cresce col perfezionarsi del meccanismo degli affari della tecnica bancaria, colla diffusione delle banche, coll’ingrandirsi delle intraprese, col concentrarsi della popolazione nelle città – in queste è comodissimo pagare tirando un assegno su una banca, mentre nelle campagne sarebbe fastidioso e dispendioso recarsi ogni volta alla banca per incassare l’assegno e si preferisce ricevere i pagamenti in moneta contante – , coll’ascendere dai più modesti ai più ricchi strati della popolazione.

 

 

Se il rapporto determinato dalle convenienze e dalle abitudini è turbato, l’equilibrio si ristabilisce perché i privati depositano il contante superfluo od incassano i depositi sovrabbondanti. Perciò la moneta, circolante od in riserva, è una quantità la quale si trova in un rapporto fisso con i depositi. Perciò ogni variazione in M, provocando una variazione corrispondente in MI, deve cagionare una variazione proporzionale in P, a meno che, s’intende, si verifichino variazioni concomitanti in V (velocità di circolazione di M), VI (velocità di circolazione di MI) o T (massa dalle merci e dei servizi negoziati), dalle quali qui si fa astrazione (op. cit., pag. 50 e segg.). Viceversa, una variazione indipendente di P, ove questa fosse possibile, determinerebbe, fermi rimanendo V, VI e T, una variazione corrispondente in M ed insieme e proporzionalmente in M’. Qualunque sia la teoria preferita, o sia che l’origine del movimento si rintracci in M od in P, è molto importante sapere se M ed MI siano tra di loro legate da una relazione determinata ovvero no.

 

 

Le osservazioni sopra fatte sono un contributo ragguardevole alla tesi che un rapporto, variabile da luogo a luogo, da classe a classe e da tempo a tempo, esista fra M ed MI. Ma poiché il Fisher non è il solo autore il quale si sia occupato di questo problema, così mi parrebbe utile una indagine la quale ricercasse sistematicamente le opinioni espresse in proposito dai maggiori economisti. Per il tempo presente, l’osservazione dei fatti reali, l’interrogatorio dei banchieri, dei commercianti, degli industriali, gli scandagli statistici valgono più delle opinioni degli studiosi per assodare l’esistenza del fatto: poiché il supposto rapporto fra M ed MI è un fatto, che si tratta di constatare con l’osservazione se sia realmente esistente oppure no. Per il passato, non essendo l’attenzione degli studiosi stata richiamata in modo particolare su tale rapporto, fa d’uopo contentarsi di testimonianze casuali, non preordinate, che si riscontrano qua e là negli scritti degli economisti. È chiaro che se dall’esame sistematico di siffatte testimonianze scaturisse un consenso di opinioni affermative intorno all’esistenza del rapporto, riuscirebbe fortificata notevolmente l’opinione di chi ritiene che M non possa variare senza una corrispondente variazione in MI. Il consenso delle opinioni sarebbe particolarmente significativo se esse fossero espresse da economisti dotati di forte dottrina e nel tempo stesso pregiati per la loro diretta conoscenza dei fatti economici.

 

 

Forse pochissimi economisti riuniscono le qualità di dottrina e di esperienza degli affari in grado paragonabile a quello per cui eccelle Tommaso Tooke (1774-1858). Mercante in granaglie, promotore ed amministratore d’imprese ferroviarie, portuarie e di assicurazione, autore della celebre Petizione dei mercanti, la quale iniziò in stile lapidario il movimento inglese a favore del libero scambio, autore di molti scritti sul problema della circolazione e dei prezzi, va nella letteratura economica ricordato specialmente per la sua A History of Pirces and of the State of the Circulation during the years 1793-1856, in 6 volumi (London, 1838-52), di cui i due ultimi scritti in collaborazione con W. Newmarch. Compito della presente nota è di estrarre da quest’opera fondamentale i passi, in cui il Tooke esprime qualche opinione intorno al rapporto quantitativo fra la moneta ed i suoi surrogati. Sarò lieto di aver offerto in tal modo un contributo, anche minimo, alla storia del dogma dei rapporti fra M ed MI. Nel compiere questo lavoro di riassunto, si incontra la medesima difficoltà che ha dato tanto da fare agli interpreti di Ricardo, di Senior e degli altri economisti inglesi classici. Al pari di questi, il Tooke non è costante nella sua terminologia. Egli non scrive per contribuire volutamente al progresso della scienza; sì per intervenire nelle polemiche ardenti che ai suoi tempi si combattevano in Inghilterra intorno ai problemi della circolazione, dei cambi, dei prezzi, dell’atto di Peel del 1844. La sua History è una magnifica, monumentale polemica contro la Currency School; ma, come tutte le polemiche, essa ha le sue incertezze, i suoi ritorni, talvolta le sue apparenti contraddizioni.

 

 

I luoghi in cui l’A. accenna al problema sono tre, e di essi due sono dovuti alla sua penna (IV, 228-31 e 463) ed uno a quella del suo collaboratore Newmarch (VI, appendici, 593). Poiché tuttavia il T. dichiara (V, prefazione, IX) che le parti dell’opera scritte dal Newmarch, sono state sottoposte alla sua revisione e correzione e che le opinioni in essa espresse e le informazioni contenutevi hanno il compiuto suo assenso, è corretto considerare tutti tre i brani come l’espressione di un unico pensiero.

 

 

Il T. prende le mosse (nel vol. IV, pagg. 228-31) da un brano di Adamo Smith, in cui questi osserva che la circolazione di ogni paese «si può considerare composta di due branche differenti, la circolazione dei commercianti fra di loro e quella fra commercianti e consumatori. Sebbene gli stessi pezzi di moneta, sia di carta o di metallo, possano essere talvolta adoperati in una circolazione e talora nell’altra, tuttavia siccome amendue procedono contemporaneamente, ognuna assorbe un certo ammontare di moneta dell’una o dell’altra specie. Il valore delle merci negoziate fra i diversi commercianti non può mai eccedere il valore di quelle negoziate fra commercianti e consumatori, ogni cosa comperata dai commercianti essendo destinata ad essere venduta ai consumatori. La carta moneta può essere regolata in modo da limitarsi alla circolazione fra commercianti o da estendersi ugualmente ad una gran parte di quella fra commercianti e consumatori. Quando, come accade a Londra, non si emettono biglietti di banca di valore inferiore alle dieci lire sterline, la carta moneta si restringe quasi soltanto alla circolazione fra commercianti. Se un biglietto da dieci lire giunge nelle mani di un consumatore, egli è generalmente obbligato a scambiarlo alla prima bottega dove gli capita di comperare merci per cinque scellini, cosicché il biglietto ritorna nelle mani di un commerciante prima che il consumatore abbia speso una quarantesima parte del suo ammontare» (Wealth of nations, libro II, cap. II, pagg. 141-42 dell’ediz. di Mc Culloch).

 

 

Adamo Smith aveva dunque riscontrato l’esistenza di un rapporto fra la moneta propriamente detta – moneta metallica e carta moneta di piccolo taglio, come quella che s’usava in Scozia – e quelli che al tempo in cui egli scriveva (1776) potevano essere considerati come surrogati della moneta, ossia i biglietti a grosso taglio, da 10 lire sterline in su; ed aveva ritenuto di trovare la ragione dell’esistenza di tale rapporto nel fatto che il valore delle contrattazioni al minuto – tra negozianti e consumatori – costituisce il limite massimo del valore delle contrattazioni all’ingrosso, dei negozianti tra di loro. E siccome la moneta propriamente detta (M) dà il maggiore alimento alle contrattazioni al minuto, mentre i surrogati (MI) nutriscono sovratutto le contrattazioni all’ingrosso, si deve concludere che la quantità M’ non può superare quella M. Se il rapporto è turbato, nasce una tendenza a ristabilire l’equilibrio, perché i consumatori, trovandosi in mano biglietti di grosso taglio, al più presto li barattano in moneta metallica più comoda ai piccoli acquisti. In queste considerazioni del sommo economista, il quale fu, importa sempre ricordarlo, finissimo osservatore dei fatti della vita contemporanea, si trova contenuta in genere la teoria esposta poi dagli scrittori moderni, e sopra esemplificata nel dettato di Fisher.

 

 

Il T. utilizza l’osservazione smithiana, non collo scopo espresso di delucidare il rapporto fra M ed MI, ma coll’intendimento di farsene un’arma nella celebre controversia monetaria e bancaria che si agitò in Inghilterra dal «Bank Restriction Act» del 1797 all’atto di Peel del 1844. Premeva a lui mettere in chiaro l’oscurità delle idee degli scrittori della Currency School, i quali consideravano come di una sola specie i biglietti di banca, sia che servissero alle piccole contrattazioni ed alle grandi; ed all’uopo gli giova a perfezionare le osservazioni dello Smith. In un opuscolo Inquiry into the Currency Principle, pubblicato alla vigilia di quello che poi divenne l’atto di Peel del 1844 e riprodotto in parte a carte 229 e segg. del IV vol. della History, il T. scrive:

 

 

«Non vi è dubbio che la distinzione qui fatta [nel brano citato di A. Smith] è sostanzialmente corretta. Assumendola come punto di partenza, diventa ovvia la ragione grazie alla quale, per quanto riguarda gli scambi fra commercianti e consumatori – compreso il pagamento dei salari, che sono la principale fonte di sostentamento dei consumatori – la moneta metallica e le specie più piccole dei biglietti di banca sono essenziali al detto scambio e per cui, se i biglietti più piccoli sono ritirati, il loro posto deve essere preso dalla moneta metallica; non così invece per quanto tocca gli scambi fra negoziante e negoziante. I biglietti di banca non solo non sono essenziali per siffatto scambio, ma, anzi, come è notissimo ad ognuno il quale abbia una pure superficialissima notizia del modo in cui quegli scambi si compiono, essi sono raramente usati nelle più importanti contrattazioni di compra e vendita. La più parte del commercio all’ingrosso è compiuta ed aggiustata in questo paese per mezzo di compensazioni di debiti e crediti, di cui le prove scritte si hanno nelle cambiali (bills of exchange), compresi in esse i pagherò (promissory notes) pagabili all’ordine ad una certa data futura, mentre i pagamenti correnti, per quelle che sono dette vendite per contanti, sono per lo più compiuti per mezzo di assegni (cheques); soltanto il saldo ultimo nascente dalla gran massa di queste transazioni dovendo essere liquidate con un ammontare relativamente piccolo di biglietti di banca. Le principali eccezioni a questa regola si hanno, a quanto mi consta, nel commercio alimentare e nelle fiere delle pecore, del bestiame bovino e dei cavalli, dove i pagamenti per lo più si fanno in moneta metallica e in banco-note; ma non vi è dubbio che, per le somme da lire sterline 10 in su, anche in questi casi le cambiali potrebbero essere sostituite al contante, come un tempo si faceva e come tornerebbe a farsi, se non fosse dell’aumentato diritto di bollo. Nessun dubbio può esservi che, ad eccezione di questi e di pochi altri traffici all’ingrosso, in cui non si usa il credito, non vi è alcun intervento dei biglietti di banca nelle compre e vendite le quali hanno luogo fra commercianti all’ingrosso».

 

 

Secondo il T. esistono dunque due masse monetarie circolanti: l’una composta di moneta metallica e di [piccoli] biglietti di banca, la quale serve per le contrattazioni al minuto tra negozianti e consumatori diretti e per quella parte delle contrattazioni all’ingrosso, la quale ha luogo nelle industrie e nei commerci antiquati (commercio alimentare, fiere di cavalli, bovini e pecore e commerci scarsamente aiutati dal credito); mentre l’altra massa circolante è composta di surrogati della moneta (MI), cambiali, pagherò ed assegni bancari, e corre in quasi tutto il commercio all’ingrosso. In quest’ultimo, i surrogati della moneta si estenderebbero ancor più, se non fossero ostacolati dall’impedimento artificioso dell’alto bollo fiscale sulle cambiali. E ad ogni modo, tra l’una massa e l’altra, esiste un dato rapporto, poiché – e qui il T. ripete l’osservazione dello Smith – «l’ammontare totale delle transazioni fra commercianti e commercianti deve essere in ultima analisi determinato e limitato dall’ammontare di quelle fra commercianti e consumatori» (pag. 230).[iii]

 

 

Il qual concetto che i surrogati della moneta sono quantitativamente correlati alla moneta propriamente detta, il T. l’aveva già affermato nel 1840 nella sua deposizione dinanzi al Select Commitee of the House of Commons on Banks of Issue, anch’essa riprodotta nel IV volume della History. Nell’interrogazione n. 3305 il signor Warburton chiede: «Ritenete voi che tutti questi altri mezzi di pagamento, come cambiali, biglietti rimborsabili a vista,[iv] depositi e così via sono limitati – trattandosi di cose le quali si risolvono in ultima analisi nei metalli preziosi – nel loro ammontare dalla moneta metallica accetta nel paese e con questa debbono serbare un certo rapporto?». – Ed il T., alla domanda risponde senz’altro: indubbiamente. E poiché il Warburton insiste e chiede (n. 3306): «Se poi supponiamo che i metalli preziosi siano invariabili in quantità, ritenete voi che l’ammontare delle cambiali, dei biglietti pagabili a vista e così via possa solo oscillare entro certi moderati limiti?». – il T. spiega il suo reciso indubbiamente di prima, notando che «entro brevi periodi e prima che possa applicarsi il principio della limitazione, si possono verificare oscillazioni molto grandi» (vol. IV, pag. 463-4).

 

 

L’interrogazione essendo mossa da altri, che non conservava la terminologia medesima del T., il contenuto di M e di MI non è in tutto uguale a quello di prima; poiché i biglietti di banca sarebbero collocati in MI invece che in M come T. amava meglio, almeno per i biglietti di piccolo taglio. Ma è chiaro il concetto che la quantità di M limita la quantità di MI e tra le due deve esistere un rapporto determinato. Il T., con la sua caratteristica percezione della difficoltà di attuare sempre e subito le correlazioni economiche che possono stabilirsi solo dopo lunghi periodi di tempo superando resistenze più o meno vive, nota che il legame fra M ed MI deve intendersi valido nei lunghi periodi di tempo, mentre oscillazioni più o meno ampie al disopra ed al disotto del rapporto normale possono verificarsi nei brevi periodi di tempo.

 

 

Approfondendo ulteriormente l’analisi dei rapporti tra le diverse specie di monete, il Newmarch (in uno studio pubblicato nello «Statistical Journal» presumibilmente il «Journal of the Statistical Society», del maggio 1851, vol. XIV ed in parte riprodotto nella History, vol. VI, pag. 593 e segg.) così classifica la massa degli strumenti della circolazione in uso al suo tempo in Inghilterra:

 

 

  1. Moneta metallica (coin);

 

  1. Biglietti di banca (Bank notes);

 

  1. Assegni (cheques);

 

  1. Cambiali (bills of exchange);

 

  1. Accreditamenti bancari e commerciali (ledger accounts).

 

 

E ne definisce l’indole, insegnando che: 1. la moneta metallica è un sottomultiplo dei biglietti di banca; 2. i biglietti di banca sono il sottomultiplo degli assegni bancari; 3. gli assegni sono il sottomultiplo delle cambiali; 4. e, finalmente, le cambiali sono il sottomultiplo delle contrattazioni di compra e vendita, le quali sono annotate nei libri delle banche e delle case di commercio, e le quali si aggiustano principalmente con un processo di compensazione: e, più precisamente, gli assegni sono biglietti di banca tratti sui depositi bancari e le cambiali sono assegni tratti su merci (pag. 593-94).

 

 

Nel qual brano:

 

 

  1. è posta nettamente la distinzione fra assegni e cambiali, che dapprima era alquanto confusa, limitando l’uso della parola «assegno» a quello che oggidì è invalso, ossia di surrogati della moneta, con cui si fanno circolare da persona a persona i depositi bancari, ed applicando la parola «cambiale» a quei titoli con cui si fanno circolare nel tempo e nello spazio le merci durante i successivi passaggi dal primo produttore all’ultimo negoziante;

 

 

  1. è implicitamente notato che non si può parlare soltanto di un M e di un MI; ma si dovrebbe invece discorrere di un M (moneta metallica), di MI (biglietti di banca, surrogato di M), di un MII (assegni bancari, surrogato di MI), di un MIII (cambiali, surrogato di MII), e di un MIIII (accreditamenti bancari e commerciali, surrogato di MIII). Al qual proposito, pur concordando nella giustezza sostanziale dell’osservazione, si deve osservare che il N. è incorso in qualche imprecisione di linguaggio, poiché la MII e la MIII più che essere un surrogato l’uno dell’altro, sono amendue surrogati di M’, sì che gli assegni (MII) servono a far circolare le merci ed i servizi pronti o pagabili a vista mercé tratta su depositi bancari esistenti, mentre le cambiali (MIII) fanno circolare le merci ed i servizi pagabili in un tempo futuro. Le due specie di surrogati si confondono in uno solo laddove e quando il cliente della banca, il quale sconta cambiali tratte su merci pagabili in un tempo futuro, è accreditato dalla banca in conto corrente per la somma scontata ed è così abilitato a trarre assegni a vista per quell’accreditamento. D’altro canto MIIII per lo più non è un mezzo indipendente di pagamento, ma solo il risultato contabile dei pagamenti eseguiti per mezzo di MII e di MIII; non escludendosi perciò che talvolta e per le più grosse transazioni i pagamenti si facciano direttamente, senza uopo di trarre assegni o cambiali, mercé scritturazioni di banca, eseguite in seguito ad ordini esplicitamente od implicitamente dati in occasione delle operazioni commerciali o finanziarie compiute dal cliente della banca;

 

  1. è riconosciuto che esiste un rapporto non solo fra M ed MI in genere, ma nei successivi gradi ascendenti fra M ed MI, MI ed MII, MII ed MIII ed MIIII; il quale rapporto non è approfondito ed evidentemente deve oscillare a seconda dei paesi, delle abitudini bancarie e commerciali, del momento economico di prosperità o di crisi.

 

 

Su uno di questi rapporti, fra MI ed MIII, si sono ripetutamente indugiati il Tooke ed il Newmarch, tratti, come sempre, dalla polemica diuturnamente da essi condotta contro la Currency School. La quale, per bocca del Norman (cfr. Mr. Norman Letter to Charles Wood, Esq., M. P. pag. 42), aveva affermato che «quando l’ammontare complessivo della moneta metallica e dei biglietti di banca va scemando, è praticamente impossibile un aumento nella quantità circolante delle cambiali». L’affermazione dell’esistenza di un rapporto rigido, invariabile, inevitabile fra la quantità dei biglietti di banca ed una qualsiasi altra quantità economica (prezzi, saggio dello sconto, ecc. ecc.) ha sempre avuto la virtù di eccitare viva ripugnanza in T., così avvezzo a sentire la mobilità, la duttilità dei rapporti economici, così propenso a mettere in luce i fattori contingenti, che nei casi singoli qualificano le leggi generali, da lui pure riconosciute e chiarite. Non è quindi da far meraviglia se egli parta subito in battaglia contro i tentativi, che sono stati fatti di tempo in tempo per dimostrare che la quantità emessa dei biglietti di banca esercita una influenza costante e permanente sulla grandezza dell’ammontare delle altre forme di carta creditizia, ad es., delle cambiali, e che le variazioni nella quantità dei biglietti di banca regolano o determinano la facilità della creazione e dell’uso di queste altre forme di credito (vol. V, pag. 505 e segg.). Ma il Tooke si limita ad affermare che la connessione non esiste e che anzi «in quei periodi in cui le agevolezze e gli sconti bancari o, come si esprime la scuola della circolazione, i biglietti di banca sono più difficili ad ottenersi, le cambiali sono più numerose» (loc. cit., pagg. 506-7). Non dà però la dimostrazione e la ragione della sua tesi e rinvia senz’altro al già citato articolo sullo «Statistical Journal» del suo collaboratore Newmarch.

 

 

Il quale (nell’appendice XI al VI volume dove i risultati della comunicazione allo «Statistical Journal» sono riassunti e rinfrescati) istituisce una davvero preziosa indagine statistica su dati originali per chiarire l’ammontare delle cambiali tratte o create in ogni trimestre dal 1830 al 1853, distinte in piccole, medie e grandi. L’ammontare delle cambiali tratte o create coinciderebbe con quello delle cambiali circolanti solo quando la vita media delle cambiali stesse fosse di tre mesi, e poiché essa invece variava da 3.14 a 4.20 mesi, i due ammontari divergono ed il primo è minore del secondo. Tuttavia anche la prima cifra giova come indice della circolazione delle cambiali; e dallo studio delle tabelle con lunga fatica costrutte il Newmarch è tratto a concludere essere contraria ai fatti la tesi secondo la quale un rialzo nel saggio dell’interesse, insieme con la conseguente contrazione degli sconti [epperciò delle emissioni di biglietti di banca], influirebbe nel senso di diminuire l’ammontare della circolazione cambiaria. Il succo della dimostrazione del N., per chi studi attentamente le sue tabelle sulla circolazione cambiaria (VI, 589-92) e le confronti con altre tabelle sulla circolazione dei biglietti (VI, 545-57 e 583) pare questo:

 

 

  1. che mentre la massa dei biglietti di banca circolanti oscilla poco nei periodi di prosperità e di depressione, la massa delle cambiali emesse oscilla più vibratamente (in milioni di lire sterline e nella Gran Bretagna):

 

 

 

Biglietti di banca

 

Circolazione cambiari[5]

1839-42 Anni cattivi

30.65

70.61 [109]

1843-46 Anni buoni

31.69

65.87 [ 99]

1847 Anno cattivo

32.37

73.36 [113];

 

 

  1. che amendue le serie segnano una tendenza all’incremento dal primo all’ultimo periodo;

 

  1. che la massa delle cambiali tratte o create è minima quando il saggio dello sconto è minimo; tende a crescere dopo questo momento e raggiunge il massimo quando il saggio dello sconto è giunto al massimo, decrescendo in seguito più o meno presto. Il che coinciderebbe con l’osservazione comune che l’attività degli affari riprende dopoché il saggio dell’interesse è rimasto basso abbastanza a lungo e prosegue per alquanto tempo, ininterrotta dai successivi aumenti del saggio dello sconto; ma alla lunga risente l’influenza del saggio cresciuto, sicché l’incremento di esso produce il voluto effetto di scemare la quantità delle cambiali presentate allo sconto.

 

 

Osservazioni queste le quali giovano a negare la tesi della Currency School, la quale faceva dipendere tutte le crisi di credito, di borsa e di industria dalle variazioni nella quantità emessa dei biglietti di banca e si illudeva di impedire o scemare grandemente la violenza delle crisi regolando rigidamente le emissioni cartacee (che fu l’origine prima dell’atto del 1844); ma non toccano la tesi che invece qui si illustra: di una correlazione fra quantità di moneta e quantità di surrogati della moneta. Forse la sola deduzione che si può ricavare logicamente dai fatti esposti da T. e N. è: non essere feconda l’analisi troppo frazionata degli elementi della circolazione in M, MI, MII, MIII, ed MIIII; meglio essendo tenersi paghi della distinzione in M (moneta metallica e biglietti di banca rappresentativi della moneta metallica e con quella permutabili a vista, nei paesi a circolazione fiduciaria; ovvero carta-moneta nei paesi a corso forzoso) ed MI (surrogati della moneta: assegni bancari, cambiali commerciali, compensazioni bancarie, ecc.). Ed invero era illogico il Norman – ed il Tooke col Newmarch e col Fullarton (Regulation of the Currency, pag. 47) avevano ragione di opporsi a vedute così aprioristiche – quando paragonava la circolazione cambiaria con la sola circolazione dei biglietti di banca o con questa disgiuntamente da quella della moneta metallica. I biglietti di banca invero sono nei paesi a circolazione fiduciaria uno solo degli elementi della circolazione monetaria propriamente detta (M); e può ben darsi che, ferma rimanendo la quantità circolante dei biglietti, la quantità monetaria circolante totale varii, perché varia la quantità circolante della moneta metallica. Ed in tal caso, a che giova paragonare la circolazione cambiaria, ed anzi la sola circolazione a termine, come è quella cambiaria, ad esclusione di quella a vista degli assegni – con la sola circolazione dei biglietti di banca?

 

 

Cosicché, dopo un tentativo di raffinare l’analisi degli elementi della circolazione, si ritorna implicitamente, anche dai due collaboratori, al fondamentale rapporto veduto da Adamo Smith e riaffermato dal Tooke fra moneta e surrogati della moneta. Si ritorna, non senza che il lettore sia tratto a pensare, meditando sulle cifre offerte dai due autori, se non forse la moneta (M) sia l’elemento costante o più lentamente variabile della circolazione totale, mentre i surrogati (MI) ne sarebbero l’elemento più rapidamente variabile. Nei passaggi da uno ad un altro stato di prezzi, di profitti, di salari, di saggio di interesse, l’elemento MI sarebbe quello che più si adatta alle esigenze delle variazioni degli altri elementi dell’equazione dello scambio. Se crescono, per una qualsiasi ragione, i prezzi (P) o le quantità negoziate di merci o servizi (T), le osservazioni del Tooke indurrebbero a credere che possa assai più facilmente aumentare M’ che non M. La quantità MI sarebbe così non solo una determinante, in funzione di M, di P e di T, ma subirebbe un’azione riflessa di queste stesse quantità. Le variazioni di M’ dovrebbero essere così scisse in due sotto-variazioni: – l’una che si connette con le variazioni di M, essendo da ritenersi impossibile, per le osservazioni sopra esposte di Smith e di Tooke, che varii la massa della moneta propriamente detta circolante fra negozianti e consumatori (M) senza che varii la massa dei surrogati della moneta circolante fra negozianti e negozianti (MI); e l’altra che si riconnetterebbe alle variazioni di P e di T, essendochè i depositi bancari e quindi gli assegni tratti su di essi e gli sconti di cambiali crescono quando sono cresciuti i prezzi ed i profitti sperabili dal compiere maggiore massa di affari.

 

 

Non forse dunque inutile è stata l’analisi che sopra si è fatta delle osservazioni di uno dei maggiori classici inglesi intorno al rapporto fra M ed MI. Possiamo concludere che nell’opinione sua il rapporto esiste ed esiste perché le consuetudini e le comodità portano gli uomini a preferire nell’una specie di transazioni, quelle al minuto, la moneta propriamente detta e nell’altra, all’ingrosso, i surrogati della moneta. E poiché l’una specie di transazioni si trova in una data relazione con l’altra, così deve esistere un rapporto fra M ed MI.

 

 

Ma:

 

 

  1. il contenuto di M e di MI non è costante nel tempo o nello spazio; sicché Adamo Smith poteva in MI far entrare sovratutto i biglietti di grosso taglio e il Tooke principalmente gli assegni e le cambiali;

 

  1. il rapporto fra M ed MI è certo il più interessante da studiare; ma non è privo di interesse indagare le proporzioni in cui amendue si dividono nei sotto-componenti; potendo M distinguersi in moneta metallica e biglietti, le cui quantità possono variare inversamente l’una all’altra, così da integrarsi a vicenda e riuscendo perciò privo di significato il confronto di MI o di uno solo dei suoi componenti (cambiali) con i soli biglietti;

 

  1. il rapporto fra M ed MI è variabile nel tempo, essendo probabile che MI sia un multiplo più grande di M nei periodi di espansione che in quelli di ristagno economico;

 

  1. la quantità MI si scinde in due parti, di cui l’una MI, è un multiplo variabile di M, mentre l’altra MI2 è in funzione di P (prezzi) e varia con questi, sia che la variazione di P sia indipendente ovvero avvenga in relazione alle variazioni di M + MI1.

 

 

I limiti imposti alla presente nota vietano di indagare quale contributo le indagini degli scrittori più recenti abbiano recato allo studio dei problemi esplicitamente od implicitamente posti dal Tooke. Sarebbe tuttavia certamente azzardato di affermare che, a distanza di tanti anni, quei problemi abbiano ricevuto una soluzione adeguata; sicché pare lecito soggiungere che ulteriori analisi economiche e statistiche sarebbero utilissime ancora oggi a chiarire il problema, sempre sottile e fecondo, dei rapporti fra la moneta ed i suoi surrogati.

 



[i] In estratto: Torino, Libreria fratelli Bocca, 1918, con paginazione invariata [ndr]

[ii] Riproduco l’equazione nella forma datale dal prof. Irving Fisher in The Purchasing Power of Money (New-York, Macmillan, 1911), come quella che ha acquistato grande notorietà ed è quella più comunemente citata dagli economisti, in occasione di discussioni monetarie. Cfr., fra gli altri, F.Y. Edgeworth, Currency and Finance in time of war, Oxford, 1917. È superfluo avvertire che, così facendo, non si vuole attribuire a quella forma un grado di eccellenza su tutte le altre possibili, né dare per risolute le svariate questioni possibili intorno al significato ed alla portata della equazione fisheriana dello scambio. In questa nota assumiamo quella equazione come un punto noto di partenza utile ad evitare spiegazioni non pertinenti alla relazione fra M ed MI che si intende esaminare.

[iii] Il T. aggiunge, in verità, questa motivazione del fatto, che nelle contrattazioni all’ingrosso si usano i surrogati mentre in quelle al minuto è preferita la moneta: le prime sarebbero trasferimenti di capitali, mentre le seconde lo sarebbero di oggetti di consumo. E parrebbe che, secondo lui, il trasferimento dei capitali comportasse necessariamente l’uso dei surrogati della moneta. Il che non aggiunge nulla a quanto già è detto nel testo, trattandosi di un’altra maniera di esprimere lo stesso concetto, secondo cui per le operazioni all’ingrosso sono preferiti i surrogati della moneta, mentre per quelle al minuto si usa di preferenza la moneta propriamente detta. Solo è chiarito di passata, il contenuto delle operazioni all’ingrosso, le quali comprendono, secondo il T., «tutte le vendite procedenti dal produttore od importatore, attraverso a tutti gli stadi dei processi intermedi di fabbricazione o commercio, fino al negoziante al minuto od al mercante esportatore» (id., pag. 230).

[iv] Dal contesto delle interrogazioni parmi risultare che questi «biglietti rimborsabili a vista» – notes payable on demand – sono la stessa cosa delle bank-notes o biglietti di banca.

[5] Le cifre in fuori sono quelle che risultano per le cambiali emesse o create dalle tabelle del Newmarch a pag. 582-92 del VI volume; quelle tra parentesi quadre sono riferite dal Tooke a pag. 506 del V volume per le cambiali in circolazione; e probabilmente sono le stesse del N. a cui è applicato un coefficiente di correzione fondato sulla vita probabile della cambiale.

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