Come non si devono ristampare i nostri classici
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1936
«Rivista di storia economica», I, 1936, pp. 75-80
Si confrontino le due edizioni di un brano delle prefazioni di Francesco Ferrara:
Edizione originale (1853) | Ristampa (1889) |
dell’introduzione al vol. XIII della prima serie (H.C. CAREY, Principii economia politica) della “Biblioteca dell’economista” pagg. LIV a LVI: Quale sarebbe la vera fra queste due teorie che La quistione è unicamente di fatto. Che cosa è Carey ha, ne’ Principii che qui pubblichiamo, e Perché mai? Per una pressione crescente? No; | in Esame storico-critico di economisti e dottrine economiche del secolo XVIII e prima metà del XIX. Vol. I, parte seconda, pagg. 688 a 690. XXVIII. Or, qual’è la vera fra queste due teorie, ……………………………………………………………. La quistione è unicamente di fatto. Che cosa è |
In fondo le differenze sono minime. Piccole variazioni di parole. Minutaglie. Roba sulla quale lo studioso, il quale bada alla sostanza, non sente affatto bisogno di soffermarsi.
Ebbene, no. Quel bravo laboriosissimo uomo, che si chiamò Ludovico Eusebio e curò la ristampa delle prefazioni del Ferrara, non ebbe certamente sentore dei suoi misfatti. Era l’andazzo dei tempi. Il barone Custodi, assai più benemerito uomo, fece altrettanto e peggio nei suoi 50 volumi degli scrittori italiani classici di economia politica. Aggiustare lo stile era ed è ancora per taluno peccato assai veniale. Custodi aggiustava anche il pensiero tagliando via od attenuando quelle frasi che più offendevano il sentire dei tempi. Dall’aggiustare lo stile all’aggiustare il pensiero il passo è brevissimo.
Oggi siamo divenuti più rigorosi. Una ristampa come quella procurata fra l’89 ed il ’90 dall’U.T.E.T. delle prefazioni del Ferrara sarebbe intollerabile. Intollerabile in tutti i sensi: per le aggiunte, a scopo di ingrossamento, di roba altrui alle prefazioni proprie dell’autore, per la eliminazione di appendici di questo – perché sostituire alla bibliografia sulla moneta e sui banchi di Ferrara, fatica in se stessa singolare e di valor superiore, entro i suoi limiti, a quelle, più note, del Jevons e del Soetbeer ed alla «notizia sui banchi degli stati sardi», primo saggio di storia dei banchi che poi diedero luogo alla Banca d’Italia, la riproduzione di alcune pagine del Messedaglia e del Fauchille? – per l’arbitraria divisione del testo in paragrafi inesistenti nell’originale, per la disposizione delle prefazioni in ordine diverso da quello cronologico delle pubblicazioni ed infine e sovratutto per le correzioni stilistiche. Alle quali confesso non avevo ancora prestato attenzione quando, (vedi sopra, nei paragrafi 8 e 9 della prima parte del presente saggio, pp. 21 e segg.) mi ero già lamentato delle malefatte dell’Eusebio. Poi, mi accadde un giorno di invitare uno studente a leggermi il brano riportato sopra, che io dovevo commentare. Egli leggeva nell’originale; ed io avevo sott’occhio la ristampa eusebiana. Per un po’ immaginai lo studente si arrogasse una certa libertà di lettura; ma poi dovetti inorridire sul serio.
Più o meno, in quasi tutte le pagine della ristampa, il curatore od il correttore delle bozze del Ferrara o amendue d’accordo hanno sostituito la propria fantasia stilistica alla scrupolosa fedeltà al testo originale. L’unica giustificazione lecita sarebbe stato il consenso del Ferrara. Ma, sebbene questi fosse sempre (vedi la lettera del 16 luglio 1890 al Bodio nella ristampa delle Memorie di statistica) tenacemente avverso alla proprietà letteraria e dichiarasse inutile chiedere a lui autorizzazione a ripubblicare suoi scritti, non credo la sua avversione al diritto di proprietà su di essi giungesse sino al punto di dar facoltà ai nuovi editori di rimaneggiarne a lor talento il testo. Di siffatta facoltà e neppure di un rimaneggiamento suo non v’ha traccia; anzi il rifiuto, ricordato dal Bertolini, ad accettare compenso per la ristampa, pare indizio che a questa egli non ebbe parte.
Un giorno accadrà – auguriamolo – che le opere del Ferrara saranno ristampate. Speriamo che allora il curatore vorrà rispettare le regole elementari insegnate dai filologi per la riproduzione dei testi passati, fra cui principalissima è la fedeltà al testo originario. Se qualche variante di carattere tipografico (i soliti u in v, lo scioglimento delle abbreviazioni ecc.) o di punteggiatura, è introdotta, devono indicarsene i casi e i limiti.
È lecito mutare l’ordine della materia o ricomporre ad unità quelle che al curatore paiono membra disiecta di un tutto? È il caso, per il Ferrara medesimo, delle Lezioni di economia politica ricomposte recentemente (Bologna, Zanichelli, 1935) ed amorosamente dalla dott. Gilda de Mauro-Tesoro. Siccome si volle offrire al pubblico qualcosa che fosse come la summa sistematica del pensiero ferrariano e poiché in apposita appendice fu dato il mezzo al lettore di ricostruire il processo di compilazione, riterrei il rimaneggiamento spiegabile ai fini suoi. In una edizione critica delle opere del Ferrara, anche questo rimaneggiamento sarebbe però del tutto illecito. Ogni scritto ferrariano dovrà essere stampato nella sua integrità e forma originaria: niente frazionamento in capitoli e paragrafi non segnati dall’autore; niente soppressione di frasi iniziali o terminali rivolte a studenti ed uditori; niente mutazione delle citazioni e dei riferimenti originari. Citazioni e riferimenti vanno integrati fra parentesi quadre in calce alla pagina, cosicché si distingua senz’altro quel che è dell’autore da quel che il curatore aggiunse.
È lecito mutare l’ordine cronologico degli scritti? Qui il problema è complesso. Delle opere del Turgot si hanno tre edizioni; il primo curatore (Dupont de Nemours) ed il terzo (Schelle) seguirono un ordine cronologico; laddove il secondo (Daire) impaziente della “confusione” dell’altro metodo, preferì l’ordine sistematico. In principio, deve essere adottato l’ordine cronologico, perché consente al lettore di seguire via via lo sviluppo del pensiero dell’autore è di rendersi ragione del suo mutare ed arricchirsi. Non si possono però ignorare gli inconvenienti pratici del sistema: un trattato di 500 pagine sui principii della scienza fa una figura buffa, se incastrato fra due lettere di carattere prevalentemente famigliare, o fra due sonetti. Una classificazione a grandi linee può dunque essere consigliabile: i libri stampati a sé dall’A., i quali hanno acquistato una individualità storica propria, possono continuare a conservarla, beninteso ponendoli, gli uni rispetto agli altri, in ordine cronologico. Le memorie di economia possono formare un gruppo distinto da quelle filosofiche o storiche. La corrispondenza può stare a sé. Nel caso di Ferrara una classificazione opportuna potrebbe essere: I) Prefazioni ed altre memorie di teoria e di storia economica statistica e finanziaria; II) Lezioni e prolusioni, stampate, litografate e manoscritte; III) Relazioni e discorsi parlamentari, ministeriali ed elettorali; IV) Minori articoli su giornali quotidiani o settimanali, politici economici varii, ai quali potrebbe aggiungersi il carteggio tra il Ferrara ed i suoi corrispondenti. Le lezioni e prolusioni dovrebbero seguire le prefazioni e memorie, perché nell’ordine ideologico ne sono la derivazione. In ognuna delle quattro parti l’ordine dovrebbe essere, a costo di qualche ripetizione e di qualche apparente incongruenza – i “principii” messi in coda a qualche “applicazione” -, rigorosamente ed esclusivamente quello cronologico.
Bisogna aggiungere introduzioni, note, illustrazioni ai testi pubblicati? Sì, se si tratta di introduzioni e note atte ad illustrare il testo (sue edizioni, suoi manoscritti, autografi o non, e controversie relative; relazioni anche ideologiche del testo pubblicato con altri dello stesso o di altri autori, illustrazioni del “significato” delle tesi sostenute dall’autore o delle parole e frasi da lui adottate); no, assolutamente no, se si tratta di un attaccapanni a cui appendere una teoria, anche magnifica, del curatore, o un’indagine storica propria intorno ad un argomento suppergiù già trattato dall’autore. Il curatore delle Opera omnia di Ferrara avrebbe già così grandi benemerenze da acquistare in questo campo, che nulla guadagnerebbe, ad es. se volesse aggiungere alla illustrazione dei testi anche la ricostruzione critica del pensiero teorico di lui. Non che Ferrara non lo meriti, e che non sia urgente di studiare oggi quel che è vivo e quel che è morto del suo pensiero. Ma non è ufficio del curatore, come tale, della edizione che sarebbe doveroso consacrar all’economista italiano principe del secolo XIX.
Tuttociò è elementare per i curatori di classici letterari e storici; e chi fa diversamente è guardato con compatimento, come uno che fa un mestiere diverso dal suo. C’è qualche buona ragione perché gli economisti debbano seguire altre regole? Se interrogo Schelle per Turgot, Cannan per Smith, Harsin per Dutot e per Law, De Bernardi per Dupuit, mi pare rispondano di no. Io stesso, pubblicando taluni scritti inediti di Verri ed ora di Malestroit, ho cercato di seguire le regole pacifiche tra i filologi. E poiché, a proposito di Malestroit, mi vennero fatte certe considerazioni sulla moneta immaginaria, per non intrufolarle nella introduzione al volume, le pubblicai a parte in questo medesimo fascicolo della rivista.