C’è una parità dei cambi?
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 07/01/1922
C’è una parità dei cambi?
«Corriere della Sera», 7 gennaio 1922
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 506-509
Osserva il sen. Tittoni – in un suo lucido articolo su «i grandi problemi economici internazionali», in cui riassume, con rara compiutezza, le varie fasi attraversate dalla discussione dei problemi delle materie prime, dei monopoli, dei prezzi differenziali, dei cambi e dei crediti internazionali – che il problema dei cambi è anzitutto interno: equilibrare il bilancio con rigorose economie, evitando le imposte sperequate e disseccatrici; ridurre le spese militari; restaurare il bilancio dello stato. Ecco i rimedi meglio atti a correggere l’eccessiva asprezza dei cambi. Ma è anche un problema internazionale ed il presidente del senato, come già prima l’on. Luzzatti, propone che siano iniziati studi dai rappresentanti delle tesorerie e delle banche di emissione dei vari stati, allo scopo di conchiudere un accordo internazionale per la regolazione dei cambi. I lavori preparatori per una discussione internazionale sono già stati iniziati ed è merito della Società delle nazioni di essersene fatta iniziatrice. Bisogna anzitutto ricordare, come quelli che più a fondo hanno sviscerato la materia specifica monetaria, i due rapporti, del 1920 e del 1921, di Gustavo Cassell, professore nella università di Stoccolma, ben noto ai cultori delle discipline economiche, come uno dei più eminenti economisti contemporanei. Ma debbono essere consultati altresì i rapporti del 1920 del nostro prof. M. Pantaleoni, dell’inglese Pigou, professore a Cambridge, dell’olandese Bruins e del francese Gide. I giornali hanno già pubblicato ampi rendiconti del rapporto del 1921 dell’italiano prof. Gini sulle materie prime, a cui bisogna aggiungere per il 1921 quelli degli inglesi Kitchin e Strakosch sulla questione dell’oro. Sono rapporti di tecnici, che non possono essere riassunti e discussi con leggerezza e brevità. In questo articolo vorrei soltanto dare un’idea parziale delle controversie le quali sorgono persino sul significato del cosidetto «ristabilimento» o ricostituzione dell’equilibrio internazionale, ora rotto, dei cambi.
La mente del pubblico ricorre senz’altro, quando sente parlare della necessità di assestare i cambi, all’antico rapporto legale ante bellico. Poiché la sterlina, prima della guerra, valeva 25 lire e 22 centesimi italiani, sembra naturale che la parità dei cambi debba essere quella e non altra. Il pubblico ha la convinzione tenace che debbano bastare 25 lire italiane a comprare una lira sterlina; che l’attuale svilimento sia temporaneo; che si debba fare ogni sforzo per ritornare alla antica parità; che ogni altro rapporto sia artificiale, speculativo, avvilente e dannoso per l’Italia.
È ben noto che invece gli economisti unanimi non attribuiscono affatto all’antico rapporto di 1 a 25 questo carattere intangibile, fisso, naturale. Ci sono parecchie ottime ragioni a favore del ritorno all’antico rapporto; ragioni sovratutto morali, sociali e politiche. Ma in se stesso il rapporto di 1 a 25 non ha un valore né maggiore né minore di qualsiasi altro rapporto. Anche il rapporto di 1 a 50, o quello di 1 a 100 o persino di 1 a 1.000 è buono, purché sia stabile e definitivo. Le due monete, lira sterlina inglese e lira italiana, che si confrontano, sono due pezzi di carta, non permutabili, nessuna delle due, in oro, le quali non hanno quindi nessun termine fisso di riferimento reciproco. Il rapporto può essere alto o basso, a seconda della massa proporzionale e rispettiva delle due specie di biglietti. Precisamente come accade quando si vogliono scambiare tra di loro due merci diverse. Non c’è nessuna ragione a priori perché oggi il rapporto tra le due monete abbia ad essere di 1 a 25. Bisognerebbe che le quantità emesse di carta stessero oggi nei due paesi, tenuto conto della diversa massa dei beni da far circolare e di tant’altri coefficienti, nello stesso rapporto reciproco in cui stavano prima della guerra le rispettive quantità monetarie circolanti. Il che sicuramente non è.
L’essere il rapporto 1 a 50 od 1 a 100 invece che 1 a 25 non fa né caldo né freddo all’Italia, purché il rapporto sia stabile e definitivo. Se noi vendiamo le nostre merci a 100 invece che a 25, qual sacrificio sopportiamo pagando 100 lire italiane, invece di 25, 1 lira sterlina? Nessunissimo.
Purtroppo, le cose non sono così semplici, come le ho sopra descritte; perché il rapporto non è stabile, ma variabile; perché non è definitivo, ma soggetto a mutazioni future; perché non tutti vendono le loro merci o ricavano i loro redditi nella misura di 100 invece di 25; ecc. ecc. Ma il ragionamento serve a chiarire che il vecchio rapporto di 1 a 25 non ha in sé nulla di sacro; e che il ritorno ad esso è discutibile e deve essere difeso con buone ragioni. Le quali non mancano ai difensori della tesi del ritorno; ma non si possono limitare ad un atto di fede.
È dunque completamente arbitraria la determinazione della nuova parità? Al disopra della parità corrente, che oggi è 1 a 95, domani 1 a 91, e ieri era 1 a 105, non esiste un centro di gravità attorno a cui le parità quotidiane oscillano? Prima della guerra, il centro di gravità era 1 a 25, ed intorno a questo rapporto, chiamato la pari dei cambi, oscillavano le quotazioni giornaliere. Se se ne discostavano troppo, esse in breve erano forzate a ritornarvi.
Dove oggi è posto il centro di gravità? Il prof. Cassell risponde: nel rapporto tra le potenze d’acquisto delle due monete. Facciamo un calcolo il più semplice possibile. In Inghilterra tra l’agosto 1914 ed il principio di novembre 1921 il costo della vita è cresciuto del 103 per cento. Il che vuol dire che la stessa massa di merci e servigi che prima si comperava con 100 lire sterline, oggi si compra solo con 203 lire sterline. A Torino, tra le stesse due date, il costo della vita è cresciuto del 337 per cento; il che vuol dire che bisogna spendere 447 lire italiane dove prima bastavano 100. Se noi dividiamo 447 per 203, ricaviamo che il costo della vita è in Italia cresciuto 2,20 più che in Inghilterra. Il che, supponendo i prezzi uniformi nell’anteguerra nei due paesi, vuol dire che oggi non comperiamo più in Italia con 25 lire quel che in Inghilterra si compra con 1 lira sterlina; ma occorrono 25 lire moltiplicate per 2,20, ossia 55,50 lire italiane circa. Il Cassell chiamerebbe questa di 1 a 55,50 la nuova parità monetaria tra la lira sterlina e la lira italiana. Una lira sterlina comprando in Inghilterra la stessa quantità di roba che in Italia si compra con 55,50 lire italiane, e vigendo anche nei tempi perturbati odierni l’antica regola aritmetica che due cose uguali ad una terza sono uguali tra di loro, ne discende che «sostanzialmente» 1 lira sterlina è uguale a 55,50 lire italiane.
Il corso dei cambi è diverso: esso segna circa 95. Il Cassell direbbe che la differenza in più è la parte caduca o speculativa o dovuta a cause eterogenee e probabilmente transeunti, come sarebbero il credito del paese, la buona o cattiva politica finanziaria, i rapporti di debito e credito per ragioni commerciali e diverse tra ognuno dei due e l’estero, ecc. ecc. Ma il nucleo sostanziale è quello. Il rapporto di 1 a 55,50 spiega come gli inglesi vivano a buon mercato in Italia; poiché essi, acquistando con 1 lira sterlina ben 95 lire italiane, possono, con 55 di esse, vivere così bene come vivevano in Inghilterra e risparmiarne 40. Non risparmiano la differenza tra 95 e 25, come credono molti; bensì tra 95 e 55, la quale ultima cifra di 55 è la vera nuova parità monetaria, mentre quella di 25 è morta e sepolta e non risuscita più; ma risparmiano ad ogni modo parecchio. Nella stessa maniera come gli italiani risparmiano parecchio, andando a vivere in Germania ed in Austria.
Chiudo a questo punto, senza affermare che il concetto della nuova parità monetaria come lo espose il Cassell sia esente da critiche. Basti concludere come verità fuori discussione che i vecchi rapporti monetari non sono una verità rivelata, a cui si debba prestare cieca fede. È perciò aperta la disputa sulla convenienza rispettiva di ritornare a quella vecchia parità oppure di fermarci su una nuova parità; e sulla scelta, ove si abbracci il partito della nuova parità, fra le varie parità possibili, di cui quella del Cassell sarebbe una.