Ancora il partito dei giovani
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 15/06/1900
Ancora il partito dei giovani
«La Stampa», 15 giugno 1900
La stampa italiana si occupa della questione sollevata da me a proposito della formazione di un partito di giovani. La Tribuna sembra credere che tutto il programma liberista propugnato da «uno dei giovani» consista nel libero scambio e dice che questo è una cosa ammuffita, aggiungendo che l’Italia non può essa sola proclamarlo per esserne vittima.
G. R. nel Corriere della Sera, pure dicendosi seguace della dottrina liberista, afferma che per attuarlo bisogna che gli altri Stati ci concedano la reciprocanza.
Altrimenti il libero scambio, attuato da noi, sarebbe sfruttato da tutti gli altri e noi ne avremmo solo il danno e le beffe. Chi ha scritto l’articolo della Stampa deve notare che si fraintende il significato del programma liberista, riducendolo al libero scambio, e che egli non ha mai inteso dire che noi dobbiamo senz’altro aprire le nostre porte ai prodotti stranieri senza reciprocanza, e ha voluto affermare soltanto che la politica liberale deve guidarci in tutte le contrattazioni commerciali colle Potenze estere, giovandoci della innegabile tendenza che in molti paesi esiste adesso al ribasso della protezione doganale come mezzo di espansione commerciale.
Che il programma liberista non si riduce al libero scambio ha compreso molto bene Adolfo Musco nel Pungolo Parlamentare. Secondo lui, il programma liberista può «non cogliere tutte le riforme, di ordine finanziario e di ordine economico, che assicurino lo svolgimento libero delle iniziative individuali e il maggior possibile benessere delle masse … Solo i giovani possono lottare coi giovani, solo i credenti possono combattere i credenti. Basta intendersi ed aver fede; il programma c’è ed è magnifico; per la libertà, per la giustizia e per il benessere».
Quando queste condizioni, a cui accenna il Museo, saranno attuate, quando il Governo avrà compreso che non è affar suo di tormentare la gente con dei balzelli incompatibili, quando la giustizia sarà rigidamente amministrata e non si butteranno più via i quattrini dei contribuenti in imprese sconsiderate di conquista territoriale, come si è fatto in passato e come sembra velatamente desiderare anche ora la Tribuna, come diversivo alle lotte interne, quando col pretesto di concedere protezione e favori ad alcuni gruppi potenti di interessati, non si distruggerà più la ricchezza faticosamente formata, allora le masse non guarderanno più al Governo come ad un loro nemico e sentiranno tutto l’orgoglio di far parte di uno Stato onesto, forte e civile.
Gli italiani hanno lavorato ed hanno compiuto grandi cose; hanno fabbricato un Italia rinnovata all’interno ed hanno creato una nuova grande Italia all’estero. Questo ha dimostrato splendidamente sulle nostre colonne E.B. e questo pensano e sentono tutti coloro i quali sono abituati a vedere la realtà.
La disgrazia si è che nella loro grande opera gli italiani si sono sempre trovati di fronte al Governo il quale tassava tutte le nuove iniziative ed invece di creare le condizioni giuridiche e politiche necessarie ai progressi economici all’interno ed alla espansione all’estero, ha formato all’interno un ambiente di soffocazione artificiale e non ci ha saputo dare all’estero se non l’Africa e la Cina.
Perciò i giovani sono divenuti diffidenti verso lo Stato italiano; e perciò «uno dei giovani» aveva propugnato il ritorno al programma cavouriano di libertà e di giustizia. Liberi dalla soffocante cappa di piombo delle esazioni, delle inframmettenze e degli spropositi governativi, gli italiani diverranno capaci di guardare intorno a sé e di comprendere che essi sono un grande popolo, che grandi cose ha compiuto e che è destinato ad un avvenire splendido.
I giovani hanno fede e voglia di operare; ma prima di tutto è necessario togliere le conseguenze di tutto il male che è stato fatto, un po’ per ignoranza ed un po’ per inevitabile fatalità di cose in un Paese sorto da poco tempo ad unità di nazione.
I giovani che avrebbero voglia di operare e che ora non possono far nulla, anche perché arrivano troppo tardi al Parlamento ed al Governo, appartengono inoltre quasi tutti alle classi medie borghesi, che sono quelle che hanno guadagnato meno dall’Italia unita e sono state maggiormente tartassate dalla nostra politica finanziaria. Queste classi ora sono costrette a sperare tutto dallo Stato sotto forma di impieghi. Date loro le condizioni necessarie per potere prosperare in guisa indipendente ed esse potranno fornire allo Stato falangi numerose di uomini di stato serii, onesti, non affamati, e non dediti alla politica come ad uno sport. Abbiamo dunque fiducia in noi stessi e costringiamo il Governo a non toglierci la fede che in noi è intensa di essere capaci a compiere grandi cose.
Uno dei giovani