Ammonimenti
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 15/11/1919
Ammonimenti
«Corriere della Sera», 15 novembre 1919
I socialisti promettono la felicità universale per l’epoca in cui il comunismo avrà sostituito l’organizzazione capitalistica della società. Ma sono promesse destinate a non poter essere mantenute, come prova l’esperienza che si sta facendo in Russia. Quivi, dopo aver dato in mano le fabbriche agli operai, Lenin e i suoi compagni hanno dovuto accorgersi che si andava al fallimento, alla cessazione completa della produzione, ed hanno dovuto far macchina in dietro. Adesso la nazionalizzazione in Russia vuol dire nulla più di quanto in Italia si chiama col nome di privative di Stato. La direzione delle fabbriche spetta a tecnici nominati dal centro: gli operai nominano alcuni delegati, i quali hanno però poteri limitatissimi, per lo più limitati al mutuo soccorso ed a problemi di disciplina interna. Questa si va facendo sempre più rigida e non ha nulla da invidiare a quella di cui i socialisti tanto si lamentano in regime capitalistico. Il salario a cottimo, i salari a premio sono sempre più usati; si impongono minimi di produzione e sono premiati i delatori dei compagni oziosi. Le sei ore di lavoro sono state abolite e si è ritornati alla giornata di otto ore. Sono ristabilite le multe e le punizioni, fra cui il trasferimento ad una classe inferiore di razione alimentare. Tutto ciò provoca lagnanze. La Proletarskoe Echo, organo dei comunisti avanzati, accusa il Commissario delle Comunicazioni Krasin di costringere gli operai a lavorare 14 ore al giorno.
Il regime comunista russo tenta così di salvarsi applicando le regole del detestato capitalismo: e qualche risultato ottiene in confronto alla baraonda dei primi due anni di regime sovietista, quando gli operai erano padroni delle fabbriche; si notano aumenti ragguardevoli di produzione. Ma trattasi pur sempre di sforzi sparsi per salvare una nave che sta affondando: produrre 40 locomotive in 3 mesi del 1919 sembra una gran cosa in confronto al nullo del 1918: ma 40 nuove locomotive non bastano a sopperire alla perdita di 100 locomotive vecchie, che furono dovute ritirare dal traffico, notano le Izvestiya, perché in cattive condizioni e non furono potute riparare. Le condizioni generali della produzione sono sempre cattive: l’area coltivata a barbabietola da zucchero è appena il 27 per cento di quella del 1916 ed il prodotto in zucchero appena il 15 per cento. Il costo di produzione dello zucchero nazionalizzato è di 60 rubli la libbra – circa 350 lire il chilogramma -, un aumento del 3000 per cento sui prezzi di pace. Le fabbriche nazionalizzate di vetro e di porcellane, malgrado un sussidio di 107 milioni di rubli nella prima metà del 1919, producono solo un terzo del 1917. Il Consiglio supremo economico spese 23.500.000 rubli nell’impiantare una grande fabbrica di benzolo a Briansk: ma l’ultimo rapporto segnalava una perdita di 6.400.000 rubli al trimestre. Il numero degli operai impiegati nelle cartiere di Pietrogrado e provincia è del 53 per cento in confronto del 1917: e la produttività è del 34 per cento. Quindi il consumo della carta per testa di abitante è scemato da 7 a 3 libbre all’anno, indice non spregevole delle condizioni a cui è ridotta la cultura nella Russia dei Soviet. Gli organi ufficiali danno la colpa del collasso delle industrie al difetto di comunicazioni. In realtà viene alla luce l’impotenza della organizzazione comunista a compiere persino quei servizi a cui soddisfacevano i rudimenti di industria libera esistenti al tempo della Russia zarista. L’avvento del socialismo sinonimo di regresso nella produzione, nella cultura, nella civiltà. Società comunista è sinonimo di società primitiva, semi – barbara.