L’inondazione dell’oro
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 11/02/1910
L’inondazione dell’oro
«Corriere della Sera», 11 febbraio 1910[1]
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.III, Einaudi, Torino, 1960, pp. 51-54
La produzione dell’oro continua a crescere. Le statistiche che l’«Engineering and Mining Journal» di Nuova York ha pubblicato per il 1909 permettono di affermare che la tendenza all’aumento della produzione aurea non va punto attenuandosi. Per avere una idea della rapidità con cui procede questa fiumana d’oro che esce dalle viscere della terra, bisogna rifarsi un po’ indietro. Dal 1493 al 1850, è bene ricordarlo, si produssero appena 16 miliardi e 367 milioni di lire d’oro, con una media annua di produzione che, cominciando da 20 milioni di lire nel 1493-1520, era giunta a 188 milioni nel periodo dal 1841 al 1850. Bastarono i 25 anni successivi, dal 1851 al 1875, famosi per le scoperte delle miniere d’oro della California e dell’Australia, perché la quantità d’oro fosse quasi raddoppiata, con altri 16 miliardi e 448 milioni di lire messi a disposizione della circolazione monetaria e della industria. Il prodotto medio annuo delle miniere durante quel periodo di tempo batteva sui 600-700 milioni di lire all’anno. Eppure è bastato un terzo di secolo (1876-1909) perché si producesse di nuovo tant’oro quanto non se n’era prodotto dal 1493 al 1875 in cui si erano tuttavia raggiunti, fatte le somme, i 32 miliardi e 816 milioni di lire. Ecco i dati, che per essere recenti, è opportuno esporre con qualche maggior particolare:
Milioni di lire
| ||
1876-1880
| Media annua | 572,1 |
1881-1885
| ” “ | 529,2 |
1886-1890
| ” “ | 585,1 |
1891-1895
| ” “ | 814,4 |
1896-1900
| ” “ | 1.333,4 |
1901-1905
| ” “ | 1.669 |
1906
| ” “ | 2.073,9 |
1907
| ” “ | 2.098 |
1908
| ” “ | 2.203,2 |
1909
| ” “ | 2.302,2 |
Totale generale 1876-1909 | 36.344 |
È un crescendo che si direbbe spaventoso, se non si trattasse d’oro. Se la produzione continuerà a crescere nella misura in cui è aumentata nell’ultimo periodo, basteranno da 15 a 20 anni perché si raddoppi la produzione che si ebbe dalla scoperta dell’America in qua e che fu, come si vede sommando i dati parziali ricordati sopra, di ben 69 miliardi e 160 milioni di lire.
Quali effetti abbia prodotto la inondazione dell’oro dell’ultimo terzo di secolo, è noto. Tempo fa sulle colonne del «Corriere» si dibatté un’alta controversia a questo proposito tra Gaetano Mosca e Luigi Luzzatti; e dal dibattito fecondo i lettori poterono conchiudere che, se sono molti i fattori i quali influiscono sull’andamento dei prezzi, se sarebbe esagerato di volere ricondurre tutte le variazioni, anche piccole ed anche momentanee (e nella storia il momento può durare parecchi anni e talvolta decenni), dei prezzi all’unica influenza della quantità d’oro monetato; se si deve tener conto degli usi molteplici industriali e d’ornamento a cui può essere destinato l’oro, se è opportuno non dimenticare che l’uso crescente dei biglietti di banca, degli cheques, dei giroconti tende ad economizzare la moneta metallica ed a riparare alle troppo repentine variazioni della sua quantità; se, mentre cresceva la moneta, aumentava moltissimo anche la quantità delle merci da scambiare; se di queste ed altre limitazioni e correzioni è d’uopo tener conto, è pur certa l’influenza della quantità dell’oro esistente sui prezzi. E questa influenza è oggidì divenuta più sensibile a causa della demonetazione da cui l’argento è stato colpito e che rende l’oro signore assoluto del campo monetario nei paesi di civiltà occidentale.
Volendola esporre un po’ all’ingrosso, esiste una relazione fra la quantità dell’oro ed i prezzi delle merci. Quale sia precisamente questa relazione, in che rapporto preciso coll’aumentar della quantità della moneta circolante abbiano ad aumentare i prezzi, e se questo rapporto sia quello della ragione diretta pura e semplice, non si sa e non par probabile che si riesca a sapere mai, tanti sono i fattori che influiscono a determinare i prezzi in un mercato in cui varia la quantità di moneta. Ma si può affermare con sicurezza che, crescendo o diminuendo la quantità della moneta, crescono o diminuiscono nello stesso senso – quantunque non si conoscano le dimensioni precise dell’aumento o della diminuzione – i prezzi delle merci.
Ognuno comprende invero che l’oro segue le sorti di tutte le merci. Quando ve ne è poco, vale assai, come valgono assai il grano e il vino in anni di scarsità; e viceversa deprezza se diventa abbondante. L’oro non può diminuire in senso assoluto; perché, se anche in un anno se ne produce poco, vi è tutto lo stock esistente, prodotto negli anni e nei secoli trascorsi, che funziona da paracadute. Né può diventare d’un tratto abbondantissimo, perché se anche per ipotesi, nel 1910 si producessero 4 miliardi e 600 milioni di lire d’oro, ossia il doppio dei 2 miliardi e 300 milioni del 1909, la quantità esistente non sarebbe raddoppiata; perché i 4 miliardi e 600 milioni nuovi si aggiungerebbero semplicemente a tutto ciò che ancora rimane in circolazione dei 69 miliardi e 160 milioni di lire prodotti dal 1493 al 1909, senza contare i milioni che ci possono ancora essere dell’oro prodotto nell’antichità e nel medio evo. Il che vuol dire che l’oro non apprezza (quando la produzione è scarsa) e non deprezza (quando la sua produzione è abbondante) d’un tratto da un anno all’altro. Ci vuol del tempo, talvolta un decennio e più, prima che l’aumento della produzione abbia influito sensibilmente sullo stock esistente. Ma alla lunga finisce per agire. Che cosa significa che l’oro, divenuto abbondante, deprezza? Che tutti i prezzi delle merci tendono ad aumentare. Si deve dare più oro, deprezzato, per la stessa quantità di merce. Per un chilogrammo di pane bisognava dare prima 35 centesimi d’oro ed ora bisogna darne 45 centesimi, perché l’oro val meno. Ecco spiegato, nelle somme linee, il meccanismo dei prezzi. Potrebbe anche darsi che, se non il pane, un’altra merce, con cui l’oro si scambia, fosse diventata anch’essa più abbondante ed allora i due movimenti si eliderebbero, rimanendo il prezzo al punto di prima o magari scemando.
Quando i prezzi delle merci in generale tendono ad aumentare, si può conchiudere, con una certa probabilità ed entro certi ragionevoli limiti, che non sono divenute scarse le merci, ma l’oro monetato è divenuto più abbondante. È il famoso rincaro dei viveri e di tutte le cose, di cui tanto si discorre ed è cominciato dopo il 1896. Di questi giorni il signor A. Sauerbeck, che pubblica un apprezzato numero indice dei prezzi, basato sullo studio di 45 merci principali sul mercato di Londra (mercato che si presta assai bene, perché è libero dall’influenza perturbante dei dazi protettivi, del corso forzoso, ecc. ecc.), ha messo alla luce il numero indice del 1909.
Eccone i risultati:
1896
| 61 |
1897
| 62 |
1898
| 63 |
1899
| 68 |
1901
| 70 |
1902
| 69 |
1903
| 69 |
1904
| 70 |
1905
| 72 |
1906
| 77 |
1907
| 80 |
1908
| 73 |
1909
| 74 |
.
Scartiamo gli aumenti massimi a 77 e ad 80 del 1906 e del 1907 che furono dovuti all’infatuazione generale di quel tempo, in cui pareva si producesse troppo poco di tutto ed i prezzi erano esageratamente aumentati. La crisi del novembre 1907 fece sparire queste punte artificiali e ricondusse i prezzi ad un livello più normale. Ma, pur tolti quei due anni di parossismo industriale, l’aumento nei prezzi è costante: da 61 nel 1896 a 74 nel 1909, più del 20%. Eliminata l’influenza transitoria delle crisi, questo 20% pare, almeno in notevole parte, dovuto all’abbondanza del medio circolante. Poiché dal momento in cui l’oro esce dalla miniera a quello in cui entra nella circolazione passa tempo, e poiché ancor più tempo è necessario, già lo si disse, affinché gli stocks monetari si raddoppino o triplichino, così è giuocoforza conchiudere che non si sia ancora sentita tutta l’influenza degli ultimi aumenti nella produzione dell’oro. I prezzi tendono ancora a crescere e più cresceranno se negli anni venturi le miniere aurifere saranno feconde come per il passato.