28-29 gennaio 1948 – Sullo Statuto speciale per la Sardegna
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 28/01/1948
28-29 gennaio 1948 – Sullo Statuto speciale per la Sardegna
Atti Parlamentari – Assemblea Costituente – Assemblea plenaria, Discussioni
Interventi e Relazioni parlamentari, a cura di Stefania Martinotti Dorigo, Vol. II, Dalla Consulta nazionale al Senato della Repubblica (1945-1958), Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1982, pp. 735-757
Discussione del disegno di legge costituzionale Statuto speciale per la Sardegna Gli articoli da 1 a 7 sono discussi e approvati. Viene data lettura all’art. 8, che è del seguente tenore:
«Le entrate della regione sono costituite:
- dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui redditi dei terreni e fabbricati, sui redditi agrari e di ricchezza mobile prodotti nel territorio della regione;
- dal gettito fiscale, riscosso nella regione, dei monopoli di stato, del lotto e delle lotterie, dei canoni per le concessioni idroelettriche,
- dell’imposta sulla energia elettrica e sul gas, della imposta ipotecaria,
- dei diritti erariali sui biglietti dei cinematografi e dei pubblici spettacoli;
- da una percentuale dell’imposta generale sull’entrata riscossa nella regione, da stabilirsi annualmente, fra lo stato e la regione, in misura non inferiore al 50%;
- da contributi di miglioria ed a spese per opere determinate, da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri, che la regione ha facoltà di istituire con legge in armonia coi principi del sistema tributario dello stato;
- da redditi patrimoniali;
- da contributi straordinari dello stato per particolari piani di opere pubbliche».
A questo punto prende la parola L. EINAUDI:
Io sento il dovere, onorevoli colleghi, di prendere la parola su questo articolo 8, per manifestare le gravi preoccupazioni che la sua dizione fa sorgere in me a proposito del bilancio dello stato e del suo equilibrio.
Passo sopra a qualche particolare anacronistico, come quello della attribuzione alla regione dei diritti erariali sui biglietti dei cinematografi e dei pubblici spettacoli. Se non erro, i diritti erariali sui biglietti dei cinematografi sono già stati trasferiti ai comuni, ed un provvedimento in corso, che si riferisce anche ai comuni sardi, provvede a trasferire altresì i diritti sui pubblici spettacoli. Se questa è un’osservazione della quale si può tener conto, eliminando la conclusione dei diritti erariali sui biglietti dei cinematografi e dei pubblici spettacoli, ha maggiore importanza, dal punto di vista del bilancio dello stato, questo fatto fondamentale: che, in sostanza, allo stato ben poco rimane. In virtù del primo comma, che si riferisce ai «nove decimi del gettito delle imposte erariali sui redditi dei terreni e fabbricati, sui redditi agrari e di ricchezza mobile prodotti nel territorio della regione», del capitolo delle imposte dirette rimangono allo stato soltanto l’imposta completamente ordinaria progressiva sui redditi e le straordinarie imposte patrimoniali, sulle quali, in una legge costituzionale, non si può fare troppo assegnamento, perché le imposte patrimoniali hanno per loro natura, in tutti i paesi, un carattere temporaneo. Sicché, in sostanza, in materia di imposte dirette, rimarrebbe al bilancio dello Stato soltanto il gettito dell’imposta complementare progressiva Sui redditi. Chi si contenta gode! Certo è che il bilancio dello Stato non può trarre oggi molto alimento dalla imposta complementare sui redditi.
Il gettito, nella cifra complessiva del bilancio dello stato, è quasi evanescente. La disposizione corrispondente dello Statuto che sarà proposto per l’Alto Adige, comprende in questo campo soltanto l’imposta erariale sui terreni e sui fabbricati e non quella dell’imposta di ricchezza mobile, riservando l’imposta di ricchezza mobile ad un articolo susseguente, nel quale solo una parte del gettito dell’imposta della ricchezza mobile è devoluta alla regione. Qui, invece, i 9/10 del reddito sarebbero devoluti alla regione. Nel secondo comma, pur astraendo dalla singolarità per cui sarebbero trasferiti alla regione i diritti erariali sui cinematografi e sui pubblici spettacoli già trasferiti ai comuni e che non si possono trasferire una seconda volta alla regione, resta di fatto che alla regione sarebbe attribuita la massima parte dei tributi indiretti, cioè tutto l’intero gettito dei monopoli di stato, del lotto e delle lotterie, dei canoni per le concessioni idroelettriche, dell’imposta sull’energia elettrica e sul gas, dell’imposta ipotecaria. Allo stato rimarrebbe soltanto l’imposta di bollo e registro, l’imposta sulle successioni, le dogane e le imposte di fabbricazione. Quale parte del gettito totale rimanga allo stato e che cosa sia attribuito alla regione è molto difficile poterlo sapere.
Nel terzo comma, allo stato viene attribuita una percentuale inferiore al 50% dell’imposta generale sull’entrata. L’imposta sull’entrata, come tutti sanno, è una delle colonne fondamentali del bilancio dello Stato.
Attribuiamola pure alla regione, ma sappiamo bene però che togliamo allo stato una delle sue entrate maggiori.
Il problema che noi dobbiamo considerare, è di sapere se ci sia qualche regola per poter distribuire il gettito complessivo delle imposte, che finora sono state erariali, fra la regione e lo stato. Debbo confessare che questa regola non la conosco. Forse la Commissione ha scoperto principi sicuri a questo riguardo, ma io confesso di non averne, e confesso di non vedere quale possa essere la regola della distribuzione. In primo luogo, noi non sappiamo nulla intorno a quello che sarà il costo dei servizi passati alla regione. Ci sono dei servizi che passando alla regione non ritengo possano occasionare delle spese rilevanti. Per esempio, per l’articolo 32, l’ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della regione e lo stato giuridico del personale sono un qualcosa che si esaurisce nella legge, sono un qualcosa che si esaurisce nello stabilire quali siano gli uffici, ma non possono dar luogo a spese rilevanti.
Per le circoscrizioni comunali, quando queste sono stabilite, non vedo quale debba essere l’elemento di costo. C’è, invece, la materia riguardante opere di miglioramento agrario e fondiario, bonifiche ecc.; ma sono di quelle spese che si possono un po’ paragonare alla fisarmonica, nel senso che possono essere allargate o ristrette a volontà, a seconda della disponibilità del bilancio. Non è quindi qualche cosa che possa essere preordinato: è la conseguenza di un’opera o di opere che la regione svolgerà in avvenire e che darà luogo ad un apprezzamento della spesa; ma finora un apprezzamento serio noi non lo possiamo compiere.
Le acque minerali e termali daranno forse qualche reddito, ma non vedo perché siano cagione di spesa. I diritti demaniali sulle acque pubbliche, anch’essi saranno una fonte di reddito più che una fonte di spesa. Per quanto riguarda il turismo e l’industria alberghiera, potrà essere materia di premi che la regione potrà dare in modo minore o maggiore, a seconda delle risorse che la regione stessa avrà; ma non si può a priori stabilire un ammontare di spesa da cui derivi una attribuzione di imposte che finora sono dello Stato e che dovrebbero diventare della regione.
Molte di queste discipline, che sono attribuite alla legislazione primaria o secondaria della regione, non si sa quale ammontare di spesa comportino, e se debbano cagionare un ammontare di spesa o qualche volta, invece, entrate provenienti dal loro esercizio.
Se un criterio per stabilire l’ammontare della spesa noi non l’abbiamo, non abbiamo nemmeno un criterio per quanto si riferisce all’ammontare delle entrate da dividere.
Qui il problema è stato risoluto nel senso che si trattasse dei 9 decimi del gettito delle imposte erariali ecc.; risolvendo così in via costituzionale un problema che è di carattere pratico, che è molto difficile risolvere a priori, ed imponendo al legislatore futuro di usare un certo sistema di tassazione dei redditi, che esso potrebbe invece ritenere necessario di mutare.
Finché parliamo quindi di imposta sui terreni, sul reddito agrario, sui fabbricati ecc. siamo su un terreno abbastanza fermo, perché nessuna regione potrà mai tassare una fabbrica, un terreno ecc. che siano ubicati fuori dai suoi confini; ma quando passiamo invece all’imposta di ricchezza mobile, siamo su un terreno assolutamente incerto.
Non si può sapere a priori quale sia il reddito di ricchezza mobile prodotto nella regione; ed anzi il pretendere di tassare il reddito di ricchezza mobile prodotto nella regione implica una modificazione sostanziale della legislazione vigente in materia di imposta di ricchezza mobile.
La legislazione vigente in materia di ricchezza mobile, che rimonta al 1864 – e che a parer mio è una delle più sapienti legislazioni relative alla tassazione dei redditi mobiliari che esista nel mondo – questa legislazione è informata al criterio della tassazione nel luogo di residenza del contribuente, dove cioè ha il suo domicilio fiscale, oppure dove la società produttrice del reddito ha la sua sede.
Vogliamo noi modificare questa struttura fondamentale della nostra imposta di ricchezza mobile, creando una figura di reddito che non esiste nella nostra legislazione? Questo è uno dei problemi che io pongo, perché notevoli complicazioni sorgono circa il modo di attuare i nuovi criteri immaginati. Se l’imposta di ricchezza mobile fosse fondata sul criterio della tassazione nei singoli luoghi di produzione, noi potremmo anche accettare la proposta, e studiarne la possibilità di attuazione; ma essendo l’imposta di ricchezza mobile fondata su un criterio completamente diverso, la proposta non trova possibilità di concreta realizzazione.
Una ditta industriale o commerciale è un’unità, le cui parti non possono essere scisse l’una dall’altra. E quindi questo nuovo criterio di difficilissima se non di impossibile applicazione, noi non possiamo affermarlo in una legge costituzionale.
Dunque, poco si sa su quello che sia il costo dei servizi pubblici da passare alle regioni. Difficile apprezzare questo costo, difficile poter anche stabilire quali siano le imposte che afferiscono alla regione, che sono prodotte nella regione. Si sa quelle che sono riscosse nella regione; ma sapere quel che è riscosso nella regione non ci dice nulla su quello che è prodotto in essa e ci obbligherebbe ad una mutazione fondamentale del sistema seguito dalla nostra legislazione fin dalle origini, e che ha dato buona prova.
Per cambiare questo sistema dovremmo mutare molte altre cose nella legislazione italiana sull’imposta di ricchezza mobile. Se poi si sapesse qualche cosa (e non si sa) intorno all’ammontare delle spese e all’ammontare delle entrate che si riferiscono alla regione, sorgerebbero quesiti intorno alla quota che, delle imposte che si producono nella regione, deve spettare alla regione stessa e quella che, invece, deve spettare allo stato.
Ora, su questo punto debbo chiaramente manifestare la mia vivissima preoccupazione in materia. Oggi, tanto per fare delle cifre molto grossolane, molto generali, gli enti locali che conosciamo e che sono in atto – le provincie e i comuni – spendono, anzi hanno speso, nel 1947, circa 120 miliardi di lire, compreso il contributo di integrazione che lo stato dà per completare il disavanzo degli enti locali, integrazione che è uno dei più funesti istituti della nostra legislazione finanziaria, perché ha tolto il senso di responsabilità agli amministratori dei comuni e delle provincie. Costoro spendono e poi lo stato paga.
Sta di fatto che le spese locali delle provincie e dei comuni sono di quest’ordine di grandezza, circa 120/130 miliardi di lire.
Io ho avuto occasione di esporre in un recente Consiglio dei ministri (e la cifra è stata comunicata alle pubbliche stampe) che le previsioni delle spese dello stato al 31 dicembre 1947 si aggiravano, senza tener conto delle perdite per i prezzi politici, intorno ai 1.200 miliardi.
Quindi il rapporto tra le spese degli enti locali e le spese dello stato è da 1 a circa 10.
Ammettiamo pure che alle regioni si trasferiscano spese di attuale competenza dello stato, per cui la proporzione tra le spese degli enti locali, compresa la regione, e le spese dello stato diventi anche di due a undici o di tre a undici (sono previsioni grandemente esagerate, a parer mio: al di là non si può certamente andare); non si vede quale giustificazione vi sia per dare, invece, alla regione la massima parte delle entrate oggi proprie dello stato. Noi capovolgiamo completamente il rapporto che vi deve essere tra le spese locali e le spese dello stato, rapporto che ci sarà sempre e che c’è in tutti i paesi, perché in tutti i paesi la massima parte delle spese pubbliche – in Svizzera, come in Inghilterra e negli Stati Uniti – è fatta e sarà sempre più fatta dallo stato.
Non sono gli enti minori i quali spendono di più, è lo stato che, per via della sua crescente potenza od invadenza, per via del suo sempre più profondo intervento – bene o male che sia, non voglio giudicare; ricordo i fatti come sono – per via del suo intervento crescente negli affari economici, è lo stato che spende la massima parte di quella che può essere considerata la spesa pubblica. La quota delle spese di carattere locale, in confronto al totale delle spese pubbliche, sarà di 2 a 10 o, ammettiamo pure per larghezza assurda, di 3 a 10. Questa, dunque, all’incirca deve essere la guida la quale ci deve orientare nella ricerca di una soluzione.
Noi dobbiamo riconoscere che la maggior parte delle spese pubbliche continuerà sempre a dover essere sopportata dallo stato; saremo nel rapporto di tre a uno, di quattro a uno, ma non arriveremo mai ad un rovesciamento dei rapporti. Qui, invece, con questa disposizione, noi arriviamo ad un vero rovesciamento dei rapporti: alla regione si dà la massima parte delle entrate generali, allo stato rimane la parte minore delle entrate tributarie. Quindi noi, con questa norma, creiamo un sistema il quale è instabile, un sistema il quale non può certamente durare.
Io mi chiedo se sia opportuno inserire nella Costituzione norme le quali certamente non potranno essere applicate, che daranno luogo ad inconvenienti gravi e che fossilizzeranno la nostra legislazione. Ritengo che sarebbe più opportuna – è un’opinione che io manifesto per la preoccupazione che ho per il bilancio dello stato – qualche disposizione che si richiamasse alla legislazione futura, alla legislazione ordinaria, la quale, a ragion veduta, potrà stabilire quali sono le spese che gravano sulla regione, quali sono le entrate che è possibile riscuotere nella regione, e stabilirà un ordinamento tributario che sia più consono alle esigenze della regione e contemporaneamente a quelle dello stato. Le quali esigenze dello stato non sono oggi qualche cosa su cui si possa passare sopra allegramente.
Io credo mio dovere richiamare l’attenzione dell’Assemblea costituente sulle condizioni, che si possono chiamare – non voglio adoperare delle parole gravi – tragiche della nostra finanza. Non è in un momento nel quale il gettito delle imposte è stazionario (Approvazioni) – nei mesi dal luglio al dicembre non si è mosso dalla cifra di 50/55 miliardi di lire al mese – non è in un momento, quindi, in cui non si possono fare delle previsioni di entrate nel bilancio dello stato le quali siano molto superiori a 700 miliardi di lire, e in un momento in cui le previsioni di spesa al 31 dicembre erano già di 1.200 miliardi di lire, che noi possiamo legiferare allegramente in questa materia e consacrare il diritto di una regione a prelevare a carico del bilancio dello stato la massima parte delle entrate in quella regione. Pensiamo bene a quello che si fa, perché nell’intento di render qualche favore, di arrecare un qualche beneficio ad una regione, noi corriamo il pericolo di impoverire il paese e di metterlo molto meno in grado di sovvenire, com’è suo dovere, le regioni che si trovano nelle condizioni più disagiate. Se noi vogliamo che le regioni più povere possano essere aiutate dallo stato, è necessario che lo stato sia forte, è necessario che esso abbia una finanza in ordine. Noi non possiamo correre il pericolo di aggravare una situazione la quale è certamente di una difficoltà estrema e, come ho detto prima, rasenta quasi il tragico, perché non si sa in qual modo nelle attuali condizioni del mercato monetario, si possa provvedere con prestiti propriamente detti alle pubbliche spese. Noi andiamo incontro a mano a mano che si aumentano le spese che gravano sullo stato, ad un incremento della circolazione monetaria, ad uno svilimento della nostra moneta. Se ciò vogliamo diciamolo chiaramente. Ma, se ciò non vogliamo è assolutamente necessario resistere a norme che possono ostacolare l’equilibrio della finanza dello stato, che è l’unico sostegno della finanza delle regioni.
E devo dire anche che, quando si parla di regioni povere e di regioni ricche, si usa un linguaggio che non può essere considerato adatto alla materia di cui si parla. In realtà esistono, rispetto alla pubblica finanza, soltanto contribuenti poveri, contribuenti mediocri e contribuenti ricchi. Questa è la realtà, ed è una realtà non di regioni o di corpi territoriali locali, ma di persone che pagano le imposte.
Orbene, allo stato col sistema propostoci che cosa rimane? L’imposta complementare la quale colpisce i cittadini soltanto a cominciare da un certo limite; e l’imposta di successione che agisce nelle stesse condizioni.
Quindi in sostanza le regioni povere allo stato non danno niente o pochissimo.
Vogliamo questo? Vogliamo che lo stato non possa più riscuotere le imposte nelle regioni che non sono fra le più alte in fatto di ricchezza?
Facciamolo pure, ma guardiamo alle conseguenze per la finanza dello stato. Io non faccio proposte precise. Dico soltanto che l’Assemblea costituente nel discutere questo articolo deve guardare chiaramente alla conseguenza che esso ha dal punto di vista generale per il bilancio dello stato. Se vi è un povero, in primo luogo esso è il bilancio dello stato. (Applausi).
Prendono la parola Proia, Balduzzi, Mannironi e Scoca; quest’ultimo propone di «soprassedere all’approvazione dell’articolo 8 fino alla presentazione degli altri ordinamenti regionali». L. EINAUDI interviene:
Proporrei di sospendere la discussione di questo titolo, e di andare avanti con gli altri titoli. Conosciamo già gli altri statuti. Subito dopo questa seduta si potrebbe tenere una riunione e preparare proposte concrete per domattina. (Commenti).
Prende la parola il relatore Ambrosini e dichiara tra l’altro: «… il fatto di rinviare completamente l’articolo 8, cioè praticamente tutte le disposizioni del Titolo III, pare a me e alla Commissione che sia controproducente, se vogliamo definire questa materia e se vogliamo completare i nostri lavori, come dobbiamo, entro il 31 gennaio».
Il presidente interviene: «L’onorevole Einaudi ha proposto di sospendere per il momento l’esame di questo articolo 8 e di proseguire l’esame degli altri articoli».
L. EINAUDI dichiara:
Estendo la mia proposta di rinvio a domani a tutto il titolo.
Intervengono per dichiarazione di voto sulla proposta di rinvio i deputati Scoca, Condorelli, Laconi, Paratore, Lussu, De Gasperi, Ambrosini, Bordon, Pietro Mastino e il presidente Terracini, quindi l’Assemblea l’approva ai voti.
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29 gennaio 1948
Il presidente Terracini comunica che «L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale: Statuto speciale per la Sardegna.
Nella seduta di ieri fu rinviato a stamane l’esame del Titolo III dello Statuto speciale sardo, concernente le finanze, il demanio e il patrimonio della regione della Sardegna.
Fu ieri approvato soltanto il primo articolo, il 7, di questo Titolo. La Commissione propone ora la soppressione dell’articolo 10 e il seguente nuovo testo dell’articolo 8:
«Le entrate della regione sono costituite:
- dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sul terreni e sui fabbricati situati nel territorio della regione e dell’imposta sui redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio;
- dai nove decimi dell’imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della regione;
- dai nove decimi del gettito delle tasse di bollo, sulla manomorta, in surrogazione del registro e del bollo, sulle concessioni governative e dell’imposta ipotecaria, dell’imposta di fabbricazione dei gas e dell’energia elettrica, percette nel territorio della regione;
- dai nove decimi della quota fiscale della imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione;
- da una quota dell’imposta generale sull’entrata di competenza dello stato, riscossa nella regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario d’accordo fra lo stato e la regione, in relazione alle spese necessarie ad adempiere le funzioni normali della regione, di cui all’articolo 6;
- dai canoni per le concessioni idroelettriche;
- da contributi di miglioria ed a spese per opere determinate, da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi propri, che la regione ha facoltà di istituire con legge in armonia coi principi del sistema tributario dello stato;
- da redditi patrimoniali;
- da contributi straordinari dello stato per particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie».
Prendono la parola Perassi, presidente della Sottocommissione per gli studi regionali, per riferire di questa nuova formulazione, e Murgia; Marinaro presenta il seguente emendamento:
«Fino a quando non sarà provveduto definitivamente all’ordinamento finanziario delle regioni, lo stato all’inizio di ogni esercizio assegnerà alla regione i fondi necessari per la gestione dei servizi che, per lo stato, le sono attribuiti».
L’on. Marinaro svolge il proprio emendamento, quindi intervengono Perassi, Condorelli e Pietro Mastino; a questo punto prende la parola L. EINAUDI:
Devo spiegare perché non sono d’accordo con l’onorevole Marinaro sulla proposta che è stata da lui formulata. Perché la proposta formulata dall’onorevole Marinaro consiste in ciò: che lo stato dovrebbe far fronte con un proprio sussidio e contributo, a tutte le spese che sono state assegnate alla regione.
Sono contrario a questo sistema anche in via transitoria, perché lo ritengo pericoloso. Sarebbe una continuazione del sistema infausto che si usa per le provincie e per i comuni, di sovvenire con un contributo statale ai loro bisogni eccedenti il provento delle imposte proprie. Il sistema ha incoraggiato la dissipazione, togliendo la responsabilità agli amministratori locali. Credo perciò che non si possa accettare l’emendamento, perché, anche in via transitoria, produrrebbe un effetto moralmente non buono.
E se questa mattina – e non ieri sera, perché ieri sera, di fronte al martellamento dell’amico onorevole Uberti, al quale rendo sotto questo aspetto, il massimo omaggio per aver saputo stancarmi (Commenti) di guisa che alle dieci e un quarto o alle dieci e mezzo me ne sono andato, privo di ogni volontà di resistenza – se questa mattina io posso non votare contro questo articolo 8 così come è stato modificato, ciò dipende esclusivamente dalla circostanza che all’articolo 56 vi è una disposizione per la quale io suppongo che vi sia già l’accordo per modificarla…
L’on. Ambrosini interrompe: «L’accordo non c’è, è meglio essere chiari».
L. EINAUDI riprende:
… perché se così non fosse, non potrei essere d’accordo neppure con le proposte che sono state questa mattina presentate. La disposizione alla quale mi riferisco è quella del penultimo comma dell’articolo 56, il quale dice:
«Le disposizioni del Titolo III del presente Statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta della regione».
Condizione essenziale per l’accettazione della nuova formula dell’articolo 8 è che questo penultimo comma dell’articolo 56 sia votato in modo diverso da quanto è scritto nel testo. Il testo dice «su proposta della regione». A parer mio, si dovrebbe dire invece «sentita la regione», perché in questa maniera l’articolo 8 diventa, come chiede l’onorevole Marinaro, un articolo transitorio, il quale potrà essere modificato dopo l’esperienza che si sarà fatta dell’applicazione della legge. Sono d’accordo con l’onorevole Condorelli nel suo desiderio di ottenere dei dati.
Purtroppo credo che questi dati non possano essere forniti, malgrado la fatica dell’amico Uberti, che anche a questo riguardo si è prodigato, rintracciando documenti finanziari che potessero stabilire le entrate e le spese della Sardegna.
Ma i dati, quali sono conosciuti, non pongono nessun fondamento per prevedere le spese e le entrate della regione, e non potendo prevederle, è necessaria una disposizione come quella dell’articolo 56 che permette, con una legge ordinaria, e non con una legge costituzionale, di poter modificare il sistema che oggi si vorrebbe istituire. Il quale sistema, mi si permetta di dire a titolo puramente personale, dev’essere provvisorio, perché non risolve la questione fondamentale. Esso si ispira ad un concetto che è razionale, quello di iniziare la regione su una base di sufficienza, di tentare che le regioni inizino la loro vita con un sistema d’imposte sufficiente a pagare le spese.
Questo è certamente un ideale, ma esso dovrebbe essere contemperato con un precetto relativo alle finanze statali che vige già, perché è entrato in vigore l’1 gennaio con la nuova Costituzione. L’articolo 81 della Costituzione dice che ogni legge che importa nuove spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. Questo è un comandamento al quale non possiamo disubbidire, e quindi bisogna fare tutto il possibile perché le entrate e le spese dello stato si equilibrino.
Quando leggo nell’articolo 8, così come è modificato, che si dà un quinto di un’imposta, i nove decimi di un’altra, un’altra quota di un’altra ancora, io mi chiedo come sia possibile ottemperare alla norma, obbligatoria per noi, che anche lo stato abbia un bilancio in equilibrio. Possiamo, data l’urgenza dell’ora e l’impossibilità di prorogare la discussione, anche approvare l’articolo 8. Ma condizione essenziale è che ci sia l’articolo 56 e che il suo ultimo comma abbia il tenore che ho detto: «sentita la regione». In questo modo il Parlamento potrà tornare sul tema e, ottenuti i dati che oggi non possediamo, potrà rivedere la materia, senza ricorrere alla procedura straordinaria di una legge costituzionale.
L’articolo 56 così modificato e l’articolo 8 messi insieme sono concepibili; ma l’uno senza l’altro sono in contraddizione.
Prende la parola l’on. Uberti: «Come membro della Commissione, vorrei pregare i colleghi della Commissione e dell’Assemblea di accettare la proposta abbinata dell’onorevole Einaudi. Effettivamente, anche sostituendo alla formula d’intesa, quella sentita la regione non v’è nella realtà delle cose una così sostanziale differenza, che nella discussione concreta la regione ha modo di esporre le sue ragioni, di difendere le sue posizioni, e lo stato, pur controbattendo i suoi punti di vista e salvaguardando le sue esigenze dovrà arrivare a riconoscere quanto v’è di sostanzialmente legittimo nelle richieste della regione.
Se si mettesse d’intesa, si darebbe un valore costituzionale alla norma, e sono d’accordo col ministro Einaudi che non si può dare valore costituzionale ad una norma che ha bisogno di essere esperimentata, di essere vagliata alla luce delle risultanze concrete, di non essere, nello stesso interesse della regione, cristallizzata.
La formula Einaudi non impedisce pertanto le nostre preoccupazioni fondamentali in materia, e cioè di realizzare ciò che è supremamente indispensabile: una finanza autonoma, da conquistare col metodo delle successive approssimazioni; di individuare concretamente i tributi che per la loro aderenza alla regione e per la loro minore trasferibilità più convengono ad essa, di raggiungere con la riforma regionalistica per il governo locale autonomo il massimo di responsabilità. Non vogliamo creare degli istituti autonomi delle regioni, che siano ogni giorno postulanti dello stato, ma delle regioni che effettivamente siano autonome, vivano da sé, con mezzi propri, con senso di responsabilità da parte delle popolazioni, così da realizzare l’optimum della amministrazione e la massima economicità».
Interviene a questo punto il relatore Ambrosini: «Io credo che – dal rapido scambio di idee avvenuto fra i membri della Commissione – non possa parlare come relatore perché, a quanto sento, la grandissima maggioranza dei colleghi della Commissione accetta la proposta del ministro del Bilancio.
Con molto rammarico, dichiaro che non posso accettare questa proposta, malgrado l’incitamento che viene dall’egregio e caro amico onorevole Uberti. Non posso accettarla, per una ragione di valutazione psicologica concernente la popolazione sarda, e (lo dico subito, perché bisogna parlare onestamente, senza giuocare a furberia e senza riserve mentali) anche perché la questione avrebbe un riflesso sullo Statuto siciliano.
Io capisco benissimo quello che l’illustre onorevole Einaudi ha detto: non si può dare alla sola regione l’iniziativa. Questo l’abbiamo previsto per la Sicilia, in quanto l’iniziativa deve naturalmente darsi anche allo stato. Sarebbe assurdo pensare diversamente.
Ma, data la particolare situazione psicologica delle Isole e date tutte le diffidenze che – non voglio dire se fondatamente o infondatamente – si vanno creando, adoperando le parole «sentita la regione», si potrebbe credere che la regione fosse esposta alla influenza maggiore (e taluno poi, speculando, potrebbe dire alla prepotenza) del governo centrale; una tale formula non mi sembra in questo momento corrispondente alla felice soluzione di tutta questa questione.
Quindi io mi permetto di offrire questo suggerimento: che si sopprima «su proposta della regione» ma si aggiunga: «di intesa con la regione».
Io ritengo che questa intesa sicuramente si otterrà.
Pensi l’illustre onorevole ministro del Bilancio che, quando sarà passato il periodo delle elezioni, tutti, i gruppi e i singoli individui, valuteranno le cose con una calma maggiore.
La Sardegna ha il suo destino indissolubilmente legato, come la Sicilia, a quello di tutta l’Italia e di essa ha bisogno anche dal punto di vista economico. Non è da pensare quindi che potrà sabotare qualsiasi proposta che giudiziosamente viene fatta per arrivare ad una equa soluzione.
L’importante è che in tutta questa materia non si parta da una diffidenza reciproca dello stato che teme che le regioni vogliano strappare privilegi, e delle regioni che, d’altra parte, per pregiudizio considerano il governo centrale quasi come un nemico e quindi tentano con tutti i modi di strappare quanto più è possibile.
Credo che, quando ci sarà serenità per tutti, sarà possibile discutere di questo argomento come di un argomento che non sia di interesse dello stato o di interesse della regione da punti di vista contrapposti, ma di interesse assolutamente comune, perché l’interesse dello stato è legato a quello della regione e l’interesse della regione è legato ancora maggiormente a quello dello stato.
Quindi, anche se fossi solo nella Commissione, (me ne dorrebbe moltissimo e prego i colleghi della Commissione di scusarmi), sarei costretto a distaccarmi dal loro parere ed a proporre per conto mio che quest’ultimo inciso dell’articolo 56 sia mutato nel senso che si dica: «d’intesa con la regione».
L. EINAUDI prende nuovamente la parola:
Io dico inaccettabile la dizione proposta dall’onorevole Ambrosini «d’intesa con la regione» in quanto ché queste parole finirebbero per dare all’articolo 56 un contenuto a cui l’articolo 56 ripugna. L’articolo 56 dice che le disposizioni del Titolo III del presente Statuto possono essere modificate con leggi ordinarie. Il dire «d’intesa con la regione», farebbe sì che il comma, invece di facilitare una riforma in un ordinamento tributario che oggi noi dobbiamo approvare in via transitoria, senza quasi sapere quali sono le condizioni nelle quali dovrà essere applicato, sia come entrate e sia come spese, la renderebbe assai aleatoria, in quanto l’espressione d’intesa presuppone che ci sia un accordo fra le due parti. Daremmo un valore alla disposizione che io non oso definire, perché non sono un giurista, ma che certamente, nonché attenuare aggraverebbe il significato di questa disposizione.
Si può accettare, come del resto ha già detto l’onorevole Ambrosini che, come l’iniziativa può venire dalla regione, essa possa venire anche dal governo e quindi invece dell’espressione «sentita la regione» si potrebbe adottare l’altra «su proposta del governo o della regione». L’iniziativa potrebbe venire da ambedue le parti e quindi non sarà né il governo né la regione a decidere, ma il Parlamento, il quale è espressione della volontà nazionale. Credo che questa formulazione sia l’estremo limite al quale si possa arrivare, per giungere ad un’approvazione che non sia un salto nel buio.
Seguono interventi di Fabbri, Perassi, Ambrosini e Bertone, poi il presidente comunica che l’on. Murgia ha proposto di sopprimere le parole «di cui all’articolo 6» al quinto alinea del nuovo testo dell’art. 8. I primi cinque alinea dell’articolo, senza le parole «di cui all’articolo 6» sono messi ai voti e approvati. Il presidente invita a votare l’emendamento Murgia. Interviene a questo punto L. EINAUDI:
Insisto per la conservazione delle parole di cui all’articolo 6 perché rileggendo il testo dell’articolo 6 si è rilevato che potrebbe nascere poi qualche dubbio, o almeno potrebbero sorgere questioni, che è inutile di far sorgere se ciò non è assolutamente indispensabile. L’articolo 6 dice:
«La regione esercita le funzioni amministrative nelle materie nelle quali ha potestà legislativa a norma degli articoli 3 e 4, salvo quelle attribuite agli enti locali dalle leggi della regione».
Nulla è detto per quanto si riferisce alle spese relative. L’indicazione «di cui all’articolo 6» ha per scopo di chiarire che si tratta di spese necessarie ad adempiere la funzione normale della regione. Tutti i dubbi che sono nati nel proponente l’emendamento si riferiscono al secondo periodo, là dove è detto che «essa esercita altresì le funzioni amministrative che le siano delegate dallo stato».
Siamo d’accordo tutti, ma è bene che sia detto che le spese relative alle funzioni amministrative assunte dalla regione in virtù degli articoli 3 e 4 siano a carico della regione. Nulla è detto per quello che si riferisce alle funzioni delegate dallo stato, perché è implicito ed è evidente che la regione accetterà solo quelle funzioni delegate dallo stato, in seguito ad una convenzione stipulata con lo stato, che stabilisca qualche cosa intorno all’onere di tali spese: nessuno può pensare che lo stato possa attribuire alla regione funzioni che la regione non vuole e per le quali essa non ha i mezzi necessari a farvi fronte.
Intervengono ancora gli on. Chieffi e Condorelli, quindi l’Assemblea approva la soppressione della dicitura «di cui all’articolo 6» e approva la parte restante dell’articolo 8. Seguono la discussione e approvazione, senza interventi di L. Einaudi, degli articoli 9, 11 e 12; l’articolo 10 invece viene respinto. Viene quindi data lettura all’art. 13:
«Il regime doganale della regione è di esclusiva competenza dello stato.
Saranno istituiti nella regione punti franchi.
Sono esenti, per venti anni, da ogni dazio doganale le macchine, gli attrezzi di lavoro ed i materiali da costruzione destinati sul luogo alla produzione e alla trasformazione dei prodotti agricoli della regione ed al suo sviluppo industriale.
Sono concessi, per un periodo di cinquant’anni, esenzioni ed agevolazioni fiscali ventennali per nuovi impianti industriali tecnicamente organizzati nell’isola.
Su richiesta della regione potranno essere concesse esenzioni doganali per merci ritenute indispensabili al miglioramento igienico e sanitario dell’isola».
Intervengono gli on. Gesumino Mastino, Murgia, Pella, Mannironi e Perassi, poi L. EINAUDI:
Volevo soltanto aggiungere alle osservazioni fatte dall’onorevole Pella un’altra relativa al quarto comma dell’articolo 13. A me pare che in lingua italiana questo comma significhi ben poco, o che abbia una portata di cui oggi non possiamo avere nessuna idea. Il comma dice che sono concessi, per un periodo di venti anni, esenzioni ed agevolazioni fiscali. Quali? Da quali imposte? E se non specifichiamo le imposte, che significato ha questo articolo se non l’arbitrio più assoluto?
Perassi replica: «Una legge dello stato dirà in che cosa consistono le esenzioni e le agevolazioni fiscali».
L. EINAUDI continua:
Se si dice allora che una legge dello stato potrà concedere in avvenire esenzioni fiscali, non si dice nulla, perché la facoltà dello stato di stabilire esenzioni mediante leggi vi è sempre. Questo comma, così come è formulato, non dice nulla o è qualcosa di molto pericoloso, di cui ignoriamo il valore.
L’on. Pietro Mastino interrompe: «Si stabilisce una norma generale in una forma positiva e non ipotetica».
L. EINAUDI riprende:
Ma è una norma generale che non dice nulla, è una norma generale che ci impegna per cinquant’anni e per scopi incerti che non sono dichiarati, perché non si sa quali siano le imposte per le quali è concessa l’esenzione. Se si vogliono dire cose senza senso, diciamole: in fondo non è proibito.
Interviene ancora l’on. Pietro Mastino, quindi l’Assemblea approva l’articolo 13. Seguono la lettura, discussione e approvazione dell’articolo 14. A questo punto viene data lettura all’articolo 15:
«La regione, nell’ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello stato e su quelli demaniali, escluso il demanio marittimo.
I beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo stato, finché duri tale condizione.
I beni immobili situati nella regione, che non sono proprietà di alcuno, aspettano ai patrimonio della regione».
Il presidente avverte che «I ministri Einaudi e Pella propongono di aggiungere al primo comma, dopo le parole “beni e diritti patrimoniali”, le altre: “di natura immobiliare”» e mette in votazione questo comma così emendato; l’Assemblea lo approva. Il presidente continua: «Dobbiamo esaminare il quarto comma dell’articolo 56, di cui già si iniziò l’esame in sede di discussione dell’articolo 8. Il testo è il seguente:
«Le disposizioni del Titolo III del presente Statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su proposta della regione».
Vi sono due emendamenti. Il relatore onorevole Ambrosini propone di sostituire le ultime parole con le seguenti: «di intesa con la regione» mentre il ministro Einaudi propone le seguenti altre: «in ogni caso sentita la regione», oppure “su proposta del governo o della regione”. Quale di queste due sue formulazioni mantiene, onorevole Einaudi?».
L. EINAUDI risponde:
La seconda: «su proposta del governo o della regione».
Intervengono Ambrosini, Pietro Mastino e Uberti; quest’ultimo propone «per salvaguardare in parte gli interessi della Sardegna, che la proposta Einaudi venga così modificata: “Su proposta del governo o della regione, in ogni caso sentita la regione”».
Pietro Mastino si dichiara favorevole alla proposta dell’on. Uberti e anche L. Einaudi l’accetta. Intervengono ancora Ambrosini e Laconi, quindi il testo, nella stesura proposta da L. Einaudi, viene messo ai voti e approvato. L’Assemblea approva quindi, senza discussione, l’articolo 60 del disegno di legge e ha così termine l’esame del provvedimento.