19 febbraio 1958 – Sui brevetti industriali
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 19/02/1958
19 febbraio 1958 – Sui brevetti industriali
Atti Parlamentari, Senato della Repubblica. Dibattiti
Interventi e Relazioni parlamentari, a cura di Stefania Martinotti Dorigo, Vol. II, Dalla Consulta nazionale al Senato della Repubblica (1945-1958), Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1982, pp. 801-819
Seguito della discussione dei disegni di legge «Durata dei brevetti per invenzioni industriali»[1], «Concessione di licenze obbligatorie sui brevetti industriali»[2], e «Istituzione di licenze obbligatorie sui brevetti per invenzioni industriali»[3].Dopo gli interventi di Valenzi e Sullo prende la parola L. EINAUDI:
Signor presidente, onorevoli colleghi, io devo ringraziare i senatori i quali hanno preso la parola nell’ultima seduta, perché scorrendo il resoconto sommario di essa ho avuto modo di avvedermi che, data l’importanza estrema dei disegni di legge, governativo e di iniziativa parlamentare, sulle invenzioni industriali, per l’avvenire economico del nostro paese, dovevo esporre la mia opinione in proposito.
Non farò un discorso fiume, perché perderei prima la voce, e perciò non mi intratterrò su molti dei problemi posti dai disegni a noi sottoposti che pur meriterebbero di essere discussi. Parlerò soltanto di quattro punti: di essi, due, pur essendo molto importanti, possono essere definiti come derivati dagli altri, (e sono quelli della licenza obbligatoria e dell’esame preventivo) e due sono veramente fondamentali per il principio medesimo informatore della legge (e sono quelli contenuti nel secondo comma dell’articolo primo e nel primo comma dell’articolo stesso): il primo riguarda la proroga dei brevetti ed il secondo l’aumento della durata dei brevetti medesimi.
La licenza obbligatoria. Debbo in primo luogo osservare che non esiste, come mi pare di aver letto in qualcuno dei documenti che ho ricevuto, alcun obbligo di risolvere questo problema in questo scorcio di legislatura. Pare che questo obbligo derivi da un articolo 5 della Convenzione di Parigi, ratificata dall’Italia nel 1954. Letto l’articolo, ho visto che esso cominciava dicendo che ogni stato aderente alla Convenzione «aura la faculté …».
Interpretando le parole secondo il loro significato letterale, ho immaginato che aver la facoltà voglia ancora dire «non avere l’obbligo».Èvero che la terminologia legislativa ed amministrativa anche nostrana ci presenta taluni casi singolari di interpretazione delle leggi. Uomini peritissimi nel linguaggio amministrativo mi hanno, per esempio, assicurato che, quando nelle leggi italiane sull’aumento degli stipendi degli impiegati statali è scritto che i comuni, le provincie ed altri enti sono «autorizzati ad aumentare gli stipendi, in conformità a ciò che nella legge è stabilito per gli statali», ciò, secondo l’ermeneutica interpretativa nostra, vuol dire che i comuni e le provincie eccetera sono “obbligati” ad aumentare gli stipendi in quella misura che è stabilita per gli impiegati dello stato. E mi hanno spiegato anche che quando, per avventura, si volesse dire che comuni e provincie hanno effettivamente la facoltà di aumentare, e non l’obbligo, bisogna adoperare un’altra parola che in verità non ricordo, dato che queste varianti della terminologia sono molto difficili ad essere fissate nella memoria.
Ma, fino a quando io non mi sia imbattuto in un dizionario del linguaggio internazionale atto all’interpretazione delle convenzioni fra stato e stato, credo di essere autorizzato a dire che «aura la facultè» voglia semplicemente significare che lo stato ha la facoltà e non l’obbligo di fare. All’introduzione dell’istituto della licenza obbligatoria io sono favorevole; ma debbo osservare anche che parmi che i progetti di legge, tanto quello governativo quanto quello che ha come primo presentatore il senatore Montagnani, meritino ancora un’ulteriore elaborazione. Essi si trovano ancora in uno stadio iniziale e meritano un’ulteriore trattazione al fine di evitare tutti i trabocchetti e i pericoli che si annidano in una materia così difficile come quella della licenza obbligatoria, la quale dovrebbe in parte sostituire ed in parte integrare l’istituto della decadenza.
Principale fra i trabocchetti che mi pare di intravvedere attraverso la lettera degli articoli, è quello di fomentare ed incoraggiare l’abitudine al litigio, che è tanto diffusa nel nostro paese. La licenza obbligatoria, così come si propone sia regolata, presta ancora il fianco alla moltiplicazione, non dico degli avvocati degni di questo nome, ma di quelli ai quali si può meglio applicare il nome di pagliette, ovverosia quello, che più si usa nelle nostre provincie piemontesi, di procuratori da muro, per indicare quei cotali legulei usi ad aspettare nei corridoi delle preture e dei tribunali l’avvento di un nuovo cliente da patrocinare.
E vengo al secondo argomento, il quale è quello dell’esame preventivo. L’esame preventivo, in uno dei documenti o dei discorsi che ho letto, è stato dichiarato necessario per riformare la legge italiana del 1859, la quale non l’ammetteva. Essa, che è in realtà la copia della legge piemontese del 1855, dice che l’esame non riguarda il valore tecnico ed economico dell’invenzione. La negativa data dalla legge 1855/1859 al principio dell’esame preventivo pare sia bastevole per dichiarare «arcaica» la legge medesima. In verità supponevo che la parola «arcaica» dovesse essere attribuita a quelle norme di legge le quali riguardano epoche misteriose, come sarebbero quelle dei sette re di Roma o del secolo che va dal 900 al 1000 nella nostra storia italiana, di cui poco si sa, e che quindi, non sapendosene nulla, possiamo considerare arcaiche.
Per lunga consuetudine io ho avuto necessità di spiegare ai miei allievi della scuola degli ingegneri di Torino il contenuto della legge del 1859.
Per 30 anni ho professato in quella scuola economia politica e, insieme con essa, una certa altra cosa che si chiamava legislazione industriale e, per conseguenza, ogni anno mi toccava di tenere un paio di lezioni sui brevetti industriali. Sempre mi parve, e mi pare ancora, che la legge del 1859, per la sua semplicità, per la chiarezza del suo dettato, per la sobrietà per la quale lasciava ampio campo al regolamento ed all’interpretazione giurisprudenziale, meritasse di essere detta non arcaica, ma modernissima. Se la legge del 1859 rifiutò il sistema dell’esame preventivo, ciò accadde perché quella legge in questo campo si inspirò a criteri di semplice buon senso.Èvero che ci sono delle legislazioni che noi usiamo qualificare come modernissime e più avanzate di tante altre, le quali conoscono il principio dell’esame preventivo. Ma forse, se il tentativo fatto in Italia nel 1934 di introdurre quel principio dell’esame preventivo anche da noi non ebbe alcun seguito, ciò è dovuto non a circostanze politiche ed alla mutabilità propria del regime fascista ma al fatto che anche gli uomini allora imperanti, i quali avevano l’abitudine di voler fare ad ogni costo pur di fare, di voler correre pur di correre, di voler innovare pur di innovare, anch’essi si sono trovati di fronte a difficoltà concrete le quali rendono molto dubbia la possibilità dell’applicazione efficace dell’esame preventivo. Certo l’assenza dell’esame preventivo può dar luogo a qualche aneddoto che forse i professori i quali pubblicano trattati o monografie sulla proprietà industriale mettono in risalto allo scopo di rendere un po’ meno faticosi i propri scritti o le proprie lezioni. Conviene, per rallegrare il discorso, dire che c’è stato qualcheduno il quale ha osato far iscrivere un brevetto che aveva per scopo di far sapere a noi stessi l’eventuale aria poco buona che uscisse dal naso; e altrettanti aneddoti di scarso rilievo, come la possibilità di domanda di brevetto per l’uso dell’ombrello.
Nessuno, tuttavia, ha mai fatto una ricetta probante intorno alla futilità dei brevetti registrati col sistema del non esame preventivo.
Credo del resto che l’onorevole Andreotti sarebbe ben contento che si moltiplicassero le domande di brevetto da parte di inventori fasulli o stravaganti, di cui è pieno il mondo, perché essi devono pagare preliminarmente un diritto di deposito di 13.000 lire. Io credo che egli si auguri che di inventori fasulli ce ne siano non pochi bensì centinaia di migliaia, pronti a rifornire il Tesoro italiano di somme non spregevoli allo scopo di soddisfare una qualche loro innocente vanità.
L’esame preventivo vuol dire un corpo di funzionari atti a controllare la novità e la consistenza tecnica ed economica delle domande di attestato, presentate da chi reputa avere egli inventato qualche cosa. Un’obiezione fondamentale, valida almeno nel momento presente, è quella che l’introduzione dell’esame preventivo suppone si verifichi su ampia scala quello che è uno dei malanni della nostra amministrazione, per cui nei ministeri le sezioni si moltiplicano e diventano divisioni, e le divisioni crescono e diventano direzioni generali, e le direzioni generali si moltiplicano e diventano commissariati, e poi sottosegretariati e poi ministeri. Ed accadde in Italia, non molto tempo addietro, che una direzione generale essendo assurta alla dignità di ministero, in breve ora si moltiplicò in tre direzioni generali, ed eventualmente anche con un segretariato generale, perché è impossibile che un ministero possa esistere se non ha almeno tre direzioni generali e un segretariato generale.
Domando: abbiamo noi tanti giuristi e tanti tecnici, in Italia, i quali siano capaci di rifornire un ufficio di brevetti che realmente e sul serio possa fare un esame preventivo? I brevetti di cui questo ufficio dovrebbe controllare la novità e la serietà sostanziale hanno precedenti in centinaia di migliaia, forse in milioni di brevetti che nei diversi paesi sono in vigore. Anche a risalire nel tempo soltanto al 20 ultimi anni, costituire un ufficio brevetti che possa controllare sul serio la novità, la sostanza dei brevetti di cui si chiede l’attestato, è forse impegno agevole? Abbiamo noi tanta abbondanza di giuristi, abbiamo soprattutto tanta abbondanza di tecnici da popolare un ufficio che abbia, come dovrebbe avere, il dovere di controllare se ognuna delle domande presentate per ottenere un brevetto corrisponda ad un’invenzione nuova e vera? Costoro, anche con l’aiuto dell’ufficio centrale internazionale di Bruxelles, dovrebbero sapere se quell’invenzione è veramente nuova, o se in qualche maniera non è già a conoscenza del pubblico. Dovrebbero conoscere, appurare e controllare ogni nuovo brevetto, in confronto al numero sterminato dei brevetti esistenti e, in aggiunta, allo stato della conoscenza in materia di applicazioni industriali.
Forse che, nelle condizioni del nostro paese, se quei tecnici esistono sul serio, non è meglio, piuttosto che mandarli a dormire in un ufficio governativo, e qui, lavorando, procrastinare-come d’uso-la definizione delle pratiche per la consegna dell’attestato, non è meglio, dicevo, che si addicano a quelle ricerche industriali dalle quali dipende l’avvenire dell’industria italiana? Se un difetto ha l’industria italiana è infatti anche quello della mancanza degli uffici di ricerca, i quali talvolta sono manchevoli, e potranno crescere con il tempo solo lentamente perché, prima di istituire gli uffici di ricerca, è necessario che si formino i ricercatori, e per formare i ricercatori è necessario che prima si formino gli insegnanti di questi ricercatori; e gli insegnanti non si formano senza laboratori attrezzati, senza gabinetti che siano provveduti di tutto l’occorrente per effettuare ricerche feconde.Èbene che i tecnici, che sono in numero limitato, siano adibiti alla ricerca ovvero al controllo di quelli che, a torto o a ragione, hanno creduto di aver inventato qualche cosa? Credo che alla prima alternativa debba essere data la preferenza, e non vedo nessuna urgenza di impiantare un meccanismo così grande, come quello che richiederebbe la attuazione seria del principio dell’esame preventivo.
E passo a quelli che sono i due argomenti fondamentali. Sono veramente problemi dalla buona soluzione dei quali può dipendere l’avvenire economico del nostro paese. Il primo è quello della proroga dei brevetti in corso, che è sancita al comma secondo dell’articolo 1. La novità contenuta in questo comma secondo è veramente fondamentale. La legge presente, così com’è, sancisce un diritto assoluto, alla scadenza del quindicesimo anno, del pubblico, della collettività, del signor tutti e del signor nessuno ad applicare e ad usare le invenzioni tutelate dal brevetto scaduto. Il diritto della collettività ad usare l’invenzione tutelata dal brevetto è condizione essenziale affinché la proprietà, la quale era stata concessa all’inventore o al suo eventuale avente causa nei quindici anni, abbia ragione d’essere considerata una proprietà degna di tutela.
L’istituto della proprietà dei brevetti sulle invenzioni industriali è relativamente recente. Per tanti secoli i legislatori del tempo si erano contentati o avevano immaginato che per fomentare le invenzioni fosse stato bastevole dare premi, incoraggiamenti, medaglie, diplomi agli uomini i quali avevano il merito di fare invenzioni; ma l’esperienza di secoli ha dimostrato che il sistema dei premi, il sistema delle medaglie, degli onori, delle patacche di ogni specie era insufficiente ad ottenere il risultato di spingere gli uomini d’inventiva a dedicarsi a quest’opera faticosa di ricercare nuovi metodi, nuovi macchinari, nuovi strumenti. I premi possono essere rassomigliati per la loro virtù creativa ai pareri che Cristoforo Colombo chiese o dovette chiedere ai dottori dell’Università di Salamanca, od ai pareri delle Università e delle accademie odierne. Rispetto grandemente le Università e le accademie e sono orgoglioso di fare parte di alcune di esse; ma si deve riconoscere che questi enti non sono i più adatti ad incoraggiare nuove invenzioni. Gli uomini che ne fanno parte sono stati chiamati a farne parte perché si era ritenuto che essi avessero contribuito, ad esempio, nel campo della fisica, nel campo delle scienze fisiche, all’avanzamento della scienza; ed essi vi hanno contributo in quanto anch’essi hanno aggiunto un anello nella continuità secolare delle ricerche scientifiche. La psicologia dello scienziato non è, tuttavia, davvero la più adatta a scoprire ed incoraggiare verità le quali magari scuotono i suoi convincimenti, scuotono le teorie che egli aveva contribuito a creare. Non si è mai veduto che un’Università di Salamanca sia stata in grado di scoprire o di approvare i tentativi di scoperta di nuovi continenti. E bene fecero quindi i legislatori che nel secolo XVIII e più ancora nel secolo XIX, abbandonarono il sistema dei premi e si rivolsero al sistema più semplice, più pratico, di dire: tu credi di aver fatto un’invenzione, io non so se questa invenzione sia buona o sia di poco conto; provala tu. Io ti do il diritto per quindici anni di attuarla, se potrai; ti dò il diritto di persuadere il pubblico che questa tua invenzione è veramente feconda di bene. Se questa invenzione si trasfonde nell’animo del pubblico, produrrà degli effetti; tu la venderai e ne avrai non soltanto fama, ma anche ricchezza.
Ecco lo stimolo che la legge nostra, non arcaica, ma ancora moderna, del 1855, legge che oggi ha più di 102 anni di vita, si è proposta di recare, dando un diritto limitato nel tempo a colui il quale ha compiuto lavoro, ha corso rischio, ha azzardato capitali.
Questo è il solo fondamento di una proprietà industriale la quale merita di essere tutelata dallo stato.
Il periodo della concessione era conosciuto prima, era stato accettato dall’inventore quando ha chiesto il brevetto, e non si può consentire nessuna proroga, perché prorogare quel periodo significa portar via, confiscare senza nessuna indennità un diritto che è già entrato nel patrimonio della collettività fin dal momento che l’invenzione, con la registrazione dell’attestato, era divenuta nota. Se così non fosse, perché caratteristica essenziale per la validità della privativa sarebbe quella che la descrizione di essa sia tale che chiunque possa applicarla senza bisogno di altre spiegazioni? Diritto di chi? Ho detto poco fa del signor nessuno e del signor tutti. Ma chi è questo signor nessuno che ha già fatto entrare nel suo patrimonio il diritto di usare delle invenzioni scadute? Costui è quegli che rappresenta l’avvenire, è colui che consente alla collettività di muoversi e di agire, costui è quegli il quale ha il diritto di appropriarsi di un’invenzione scaduta per attuarla senza il consenso di nessuno, neppure di un qualsiasi ufficiale dei brevetti; costui ha il diritto, anche se non ha fatto nulla, di usarla se così crede, semplicemente perché egli ritiene, a torto o a ragione, di essere in grado di usarla meglio di coloro che ne hanno usufruito prima di lui. Noi abbiamo l’obbligo di tutelare non coloro i quali questa invenzione hanno già utilizzato, ma coloro che non l’hanno ancora utilizzata, coloro cioè dai quali dipende la nostra speranza che si trovi una nuova via per far fruttare meglio quell’invenzione.
Togliere il diritto all’uso libero del brevetto prima del periodo stabilito dalla legge in 15 anni è ignorare il diritto di proprietà, ma negare l’uso di questo brevetto ad altri dopo i 15 anni è ugualmente negare un uguale diritto di proprietà già acquisito.
La proroga dei tre anni per le invenzioni industriali, che si propone con il presente disegno di legge, è tale cosa che ad essa può veramente applicarsi il motto di Proudhon: «La propriétè c’est le vol». La proprietà non è un furto, ma colui il quale, avendo un diritto di proprietà, se ne vede privato senza alcuna indennità, ha veramente il diritto di dire che a lui è stata rubata la cosa sua e che egli aveva per sé ogni ragione di dimostrare di essere in grado di fare meglio degli altri.
Forse muta il giudizio se invece del comma secondo, il quale regola la materia delle proroghe, passiamo ad esaminare il comma primo, il quale prolunga di tre anni la durata dei brevetti per l’avvenire, cioè la durata da assegnare ai «nuovi brevetti», ai nuovi attestati di invenzione industriale? Nel passare da 15 a 18 anni per i nuovi attestati, siamo di fronte ad una materia vergine; qui il legislatore ha veramente diritto di fare quello che ritiene opportuno nell’interesse della nazione, qui non si può fare nessuna obiezione di principio. Il legislatore ha ragione di legiferare ex novo per l’avvenire, per gli attestati nuovi di invenzione; e perciò di accrescere il periodo di durata dai 15 ai 18 anni. Però le ragioni le quali devono essere addotte per il prolungamento della durata dai 15 ai 18 anni devono essere ragioni serie e gravi. Non si modifica una legislazione che ha per sé la durata di più di 100 anni, senza ragioni a lungo meditate.
Queste ragioni quali sono? Ho letto i documenti parlamentari, distribuiti in occasione dei presenti disegni di legge, e di ragioni sostanziali ne ho trovate due. Così si fa, dice la prima motivazione, in molti paesi; e si aggiunge che principalmente i paesi più progrediti dal punto di vista industriale sono quelli i quali hanno il periodo di durata delle invenzioni industriali più lungo, dai 17/18 anni fino ai 20 anni; e si ricordano in proposito l’Inghilterra, la Germania, gli Stati Uniti, il Belgio, che tutti riconosciamo essere paesi industriali di grandissimo rilievo. Si afferma quindi che, se noi vogliamo metterci alla pari dei paesi industrialmente più progrediti, dobbiamo imitarli nella materia oggi qui discussa.
Confesso di avere sempre avuto poca, anzi scarsissima estimazione di quella disciplina che corre sotto il nome di diritto comparato o legislazione comparata. Ammiro molto e stimo e ritengo siano degni di lode coloro i quali studiano un certo istituto nel proprio o in altro paese, anche lontano dal nostro.Èsempre utile conoscere ciò che gli altri fanno e conoscere le ragioni per le quali questi altri paesi, lontani da noi, operano diversamente da come operiamo noi. Lo studio è importante e degno di essere perseguito essendo bene conoscere le ragioni per le quali uomini diversamente situati operano diversamente da noi. Però, quel trascorrere che si fa negli scritti di legislazione comparata dalla Terra del Fuoco alla Groenlandia, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Turchia all’Italia, dalla Polinesia al Brasile, è sempre cosa la quale mi ha lasciato molto, molto, non dico incerto, ma poco soddisfatto; si da indurmi a fare poco conto di quegli uomini i quali si dedicano al curioso genere di esercitazioni scolastiche di mettere fianco a fianco le più diverse norme di diritto su una data materia.
È tanto difficile conoscere ciò che accade nel nostro paese, che riesce quasi impossibile trarre da esperienze accumulate qua e là, riscontrate in questo o in quel paese, insegnamenti su quello che noi dobbiamo fare. Coloro i quali sono, ad esempio, desiderosi di cercare nuove imposte per soddisfare ai nuovi bisogni, trovano facilissimo di andare alla ricerca delle novità in materia di imposte nei paesi più diversi e dicono: là c’è questa imposta, perché non anche da noi? Là i contribuenti sono bravi e pagano al 100%; perché noi non siamo altrettanto bravi? Non bisognerà forse cambiare un po’ il tipo dell’imposta, mutare le norme tributarie, per indurre o costringere, eventualmente con un po’ di galera, gli uomini ad essere onesti? Sono diffidentissimo, in questa materia, perché ogni istituto giuridico, ogni istituto tributario è il frutto di una esperienza antica e di premesse che sono diverse fra loro; gli istituti giuridici o tributari forestieri sono il frutto di precedenti diversi dai nostri.Ègià difficile far marciare bene le cose nostre, seguendo i nostri precedenti, e indagando le ragioni per cui non marciano bene: certamente non vi è nessuna speranza che le cose possano marciare meglio soltanto perché si va alla ricerca di novità nei paesi più disparati.
L’argomento di ciò che si fa altrove mi pare perciò non abbia alcuna sostanza di verità. Una sostanza può averla invece il secondo argomento.
Il secondo argomento che ho visto addurre in favore del prolungamento degli attestati di invenzione nuova dai 15 ai 18 anni, è quello del più lungo periodo di ammortamento che si richiederebbe oggi, in confronto alle invenzioni dell’ieri, in confronto al regime attuale, essendo più complicati i meccanismi, più costose le applicazioni delle nuove invenzioni che l’incremento continuo del progressi industriale moltiplica ed accelera.
Si dice che i nuovi metodi richiedono un più lungo periodo di preparazione, per cui non bastano 15, ma occorrono 18 anni per l’ammortamento degli enormi investimenti richiesti dalle esigenze dell’industria moderna.
Anche qui si tratta di un’asserzione, ma non ho letto alcuna illustrazione probante la quale dimostri veramente l’esistenza della necessità di prolungare il periodo di ammortamento. Se anzi io dovessi usare il criterio del buon senso, direi che forse i tempi moderni, nei quali le innovazioni si susseguono con trasformazioni e rivoluzioni industriali incessanti, debbano imporre non già un prolungamento, ma una riduzione del periodo di ammortamento. Se le invenzioni sono così rapide, mutando rapidamente strumenti e procedimenti, colui che ha in mano un brevetto di invenzione, per un’invenzione che era nuova in un dato momento, deve sforzarsi di ammortizzare i sacrifici sostenuti, i capitali investiti non in un periodo più lungo, ma in un periodo più breve, a pena di perdere capitali e sacrifici. In verità questa è l’esperienza attuale.
Gli industriali i quali sono in prima linea nell’applicazione dei moderni sistemi industriali, si sforzano di ammortizzare il capitale che hanno investito non in un tempo più lungo, ma in un breve periodo; Così può essere dedotto dalle istanze che, nei diversi paesi, vengono fatte dagli industriali quando non si tratta più di chiedere il prolungamento degli attestati di invenzione, ma di chiedere invece alle amministrazioni finanziarie che sia consentito loro di ammortizzare i capitali investiti in quel dato periodo di tempo, nel quale dal prodotto lordo viene dedotto l’importo che rappresenta la somma destinata a ricostituire il capitale investito. Quando gli industriali si fanno avanti in figura di contribuenti, essi chiedono e chiedono giustamente che i periodi di ammortamento fissati nei regolamenti e nelle circolari, e che talvolta furono fissati in passato in un numero di anni ragguardevoli, siano ridotti; che invece che in 20 anni sia consentito di ammortizzare gli impianti in 15 o in 10 od anche in un numero minore di anni.Èun’istanza che io vedo fatta ovunque dagli industriali, quando si presentano al pubblico e al legislatore in veste di contribuenti. Gli stessi industriali, o taluni di essi, quando chiedono invece l’attestato, chiedono invece che quel periodo sia prolungato.
La verità forse parla più per bocca dei contribuenti che dei titolari di attestati di privativa. Come contribuenti, essi temono di perdere i loro capitali, temono di avere investito in modo tale che la finanza non conceda una quota di ammortamento sufficiente ed ammortizzare in un tempo di poca durata l’impianto formato con tanta spesa.
Non chiedo perciò che il periodo sia abbreviato, dico soltanto che non c’è nessuna dimostrazione la quale metta in evidenza che un periodo più lungo di quello di 15 anni sia necessario per poter ammortizzare un impianto.
L’impianto moderno deve far fronte al rischio che esso si logori fisicamente più in fretta di quello fiscalmente previsto; e non soltanto il tempo tecnico del logorio è più breve, né è più breve anche il tempo economico. Ogni invenzione nuova è seguita e minacciata continuamente da invenzioni che la seguono, la imitano e la sopravanzano. L’industriale, quindi, il quale ha applicato un’invenzione oggi nuova, se vuole salvare il proprio capitale e vuole fare così anche gli interessi del pubblico, deve sempre sforzarsi di ammortizzare il suo investimento nel periodo più breve possibile, prima che arrivi il concorrente, il quale usi l’invenzione più recente e perfezionata atta a ridurre al nulla il valore del suo impianto.
Se la necessità di adattarsi continuamente e quasi con ansia ai nuovi processi tecnici che inventori ed industriali continuamente creano, vuole dire qualcosa, vuol dire invito a coloro i quali hanno fatto l’impianto ad ammortizzarlo nel più breve tempo possibile. E se questo è, perché mai il legislatore deve consentire che essi lo ammortizzino in un periodo più lungo?
L’opera nostra, ove il disegno di legge venga approvato con il prolungamento dal 15 ai 18 anni, è di impedimento, di rallentamento, è premio dato a coloro i quali non sanno ammortizzare in un periodo breve, ossia non sanno fare quello che è necessario essi facciano nei tempi moderni.Èquindi un dare un premio a coloro i quali sono in ritardo in confronto a ciò che è imposto dalle condizioni dell’economia moderna.
Continuamente, ogni giorno, si vedono inviti da parte di politici e di pubblicisti ad investire, a migliorare, e si danno buoni consigli, e si dice che in questo modo, investendo, destinando i risparmi all’industria e all’agricoltura, si fa il vantaggio universale. Sono proposizioni vere, ma sono proposizioni le quali sono testimonio solo delle buone intenzioni, di cui è lastricato il pavimento dell’inferno. Non si incita ad investire, e ad investire bene, con i soli buoni consigli; e nemmeno si incita col dare premi a coloro che investono. Pericoloso è dare dei premi, perché nessuno sa se i premi vanno a coloro i quali hanno investito in maniera veramente utile alla collettività, o non invece a coloro i quali hanno investito in qualche maniera politicamente vantaggiosa. Un premio è forse qualcosa che danneggia più che avvantaggi.
L’unico stimolo veramente efficace per spingere gli investimenti verso tipi i quali siano utili alla collettività è quello di non apportare nessun impedimento a coloro che investono a loro rischio e pericolo, e lasciare sempre dinanzi ai loro occhi lo spettacolo del fallimento che li attende se essi non hanno investito bene, se non hanno ridotto i costi. Le prediche sulla necessità di ridurre i costi sono prediche inutili, se non si dà la sanzione, che è unica ed efficace, per coloro i quali investono male.
Coloro i quali investono male devono sapere fin dal principio che nessuna mano politica si porgerà per sorreggerli nel momento del pericolo. Se essi devono andare a fondo, vadano a fondo, e la collettività se ne gioverà.
Chi sono coloro i quali noi abbiamo il dovere di incoraggiare? Non sono quelli che sono già a posto, non sono quelli che esercitano già l’industria. Coloro che noi dobbiamo incoraggiare sono gli uomini non ancora nati: non ancora nati, qualche volta fisicamente, ma certo non ancora nati economicamente. Sono coloro i quali hanno l’audacia di fare cose diverse da quelle che si facevano prima ed arrischiano intelligenza e risparmio per conseguire nuovi risultati.Èl’uomo nuovo che cerca ancora la sua via che noi dobbiamo incoraggiare, non l’uomo che è già a posto e che ha la ragione di conservare il posto, se a conservarlo si sforza ad ogni costo. Nelle discussioni e nei rendiconti parlamentari, sui grossi interessi i quali sono in gioco in punto ai quesiti posti dal presente disegno di legge, ho visto fatto il nome di imprese le quali traggono o trarrebbero giovamento da un prolungamento del periodo di privativa. Chi siano costoro a me non importa. Ne ricorderò uno solo, perché il nome di questa grande intrapresa, forse la maggiore del mondo oggi esistente nel suo campo, è un nome che per me è oggetto di venerazione: il nome dell’impresa Dupont de Nemours. Ho venerazione per quel nome perché il fondatore, verso il 1805/1810, di quell’impresa, che piccolissima allora, oggi è diventata colossale, era il figlio di uno dei maggiori economisti francesi del secolo XVIII. Dupont de Nemours (14), fu il fisiocrate che tutti gli economisti conoscono ed apprezzano, i cui libri sono stati tradotti in italiano nella nostra «Biblioteca dell’economista», ed ancor oggi sono studiati dai cultori della scienza economica. Segretario dell’Assemblea dei notabili, membro dell’Assemblea nazionale francese, dovette fuggire negli anni del Terrore fuori di Francia e si rifugiò negli Stati Uniti. Qui il figlio iniziò la piccola azienda che divenne quel colosso che noi conosciamo. Ma il colosso che è nato dal figlio dell’economista ed è ancora della sua famiglia, lo apprezzo solo se esso sia costretto ogni giorno a dimostrare la validità della sua opera, l’utilità della sua persistenza. I tribunali americani hanno portato i loro occhi sulla grande impresa dei Dupont de Nemours ed hanno pronunciato nei suoi riguardi giudizi che non voglio dire se siano più o meno meritati ma che furono certamente tali da costringerla a modificare i suoi metodi e così facendo operarono ad indurre quell’impresa a perfezionarsi sempre di più. Noi non dobbiamo trattare, se esiste, la eventuale filiale italiana della Dupont de Nemours con minor rigore di quanto per la società madre si faccia nel suo paese d’origine.
Non dobbiamo fare nulla che esima le imprese dall’assillo continuo del timore di decadere, dobbiamo fare il possibile affinché l’assillo della, l’assillo degli uomini che ancora non sono nati alla vita economica sia continuo, sia persistente e sia grave.
Si parla sempre della necessità della lotta contro i monopoli. Ritengo che forse io non sono stato l’ultimo di coloro che hanno innalzato la voce contro quelli che si chiamano i monopoli. In verità, se le parole hanno il significato che risponde alla loro lettera-e la lettera «monopolio» vuol dire «di uno solo»-non esiste nel mondo nessun monopolio vero e proprio, salvo quelli che sono stati creati dallo stato. In Italia i monopoli sono quelli del sale e tabacco, delle poste e telegrafi, della emissione dei biglietti, i quali per ragioni varie sono stati creati dalla legge dello stato. Degli altri nessuno è monopolio vero e proprio. Molti esercitano una signoria sul mercato. Non occorre avere, e nessuno l’ha, il 100% effettivo o virtuale del dominio dei prezzi; alcuni hanno il 50%-può bastare anche meno, per esempio il 20%-per esercitare, in casi determinati, signoria sul mercato.
Chiamo signoria quel che si usa dire monopolio poiché credo che la parola corrisponda meglio alla realtà. I legislatori, gli uomini di governo hanno il diritto e l’obbligo di fare quello che possono per ridurre l’impero delle signorie di mercato.
La lotta contro la signoria sui mercato presenta diversi aspetti: vi sono parecchi metodi per condurla; vi sono dei metodi difficili e metodi che sono a disposizione dei legislatori senza troppa difficoltà. Coloro che parlano di lotta contro i monopoli, io dico contro le signorie economiche, preferiscono sovente intrattenersi sui metodi più difficili che si chiamano controllo da parte dello stato, si chiamano leggi proibitive, giudizi di tribunali contro i signori del mercato, contro i cosiddetti monopolisti.
Anche questi metodi sono meritevoli di essere perseguiti. Non facciamoci tuttavia illusioni; neppure nei paesi dove quei metodi sono pienamente usati e sono usati da più di mezzo secolo, neppure negli Stati Uniti quei metodi hanno condotto risultati importanti e compiutamente soddisfacenti. Hanno ottenuto qualche risultato, ma non quello che i creatori si ripromettevano. Tuttavia quei metodi meritano di essere perseguiti, anche se sappiamo bene che essi richiedono un’attrezzatura che non so se noi possediamo, ma che abbiamo il dovere di creare un po’ per volta, mettendo a capo di essa uomini adatti, purtroppo tanto rari da trovare.
Vi sono però alcuni metodi contro le signorie di mercato i quali non sono così difficili da attuare: vi sono alcuni metodi che sono a nostra disposizione non senza difficoltà, ma senza che queste siano insuperabili.
Vi è, ad esempio, quello della pubblicità dei rendiconti delle società anonime e in accomandita per azioni, la pubblicità minutissima di tutte le voci del loro bilancio, con una descrizione esatta di tutte le singole voci patrimoniali, con una definizione chiara e precisa delle singole partite di entrata e di uscita, che non è impossibile ad attuare. In qualche paese sono già stati ottenuti ragguardevoli risultati. Dopo la grande crisi del 1928/32 negli Stati Uniti, si introdussero metodi di pubblicità per le imprese i cui titoli sono ammessi alle pubbliche quotazioni; metodi che tutti oggi unanimemente riconoscono avere ottenuto risultati non spregevoli.
I metodi di pubblicità nei conti di esercizio o negli inventari delle società anonime ed in accomandita per azioni sono possibili anche nel nostro paese e dovrebbero portare a risultati ugualmente buoni a non troppo lunga scadenza.Èpiù difficile fare opera dannosa alla collettività, quando questa veglia con occhi d’Argo a mezzo di uomini integri e ben preparati, su quel che le imprese economiche fanno.
Vi è però un metodo, che mi pare più efficace ancora, di lotta contro le signorie di mercato, ed è quello che il legislatore, lo stato, non crei esso medesimo le ragioni della signoria, non crei esso medesimo con le protezioni doganali, con i vincoli all’importazione e alla esportazione, con i contingenti, con i vincoli valutari quello che è il terreno fecondo su cui si moltiplicano e crescono quelle signorie. Dico subito che noi abbiamo fatto importanti progressi su questa via, e per quel che riguarda in modo particolare i vincoli all’importazione e all’esportazione e i vincoli valutari la nostra posizione è una delle più progredite d’Europa. Su questa strada dobbiamo continuare a camminare cercando di eliminare più che sia possibile tutte le ragioni dei cosiddetti monopoli, quelle ragioni le quali derivano dall’espressa volontà del legislatore.
Il legislatore che ha voluto creare quelle signorie, come le ha create così le può abbattere. Tra i vari metodi intesi a creare signorie di mercato, quello dei brevetti, degli attestati di invenzione industriale, sta dinanzi a noi. Quale significato ha affermare che si vogliono combattere le signorie di mercato, se nel tempo stesso prolunghiamo la durata di quei brevetti che, col prolungarsi oltre misura nel tempo, da proprietà privata feconda si trasformano in privilegi dannosi, se noi stessi violiamo i diritti acquisiti dagli uomini nuovi diritti che, scaduto il brevetto, valgono più di quelli di coloro che sono già i beati possidenti, se noi stessi foggiamo la base sulla quale prosperano le signorie dannose di mercato? Non facciamo oggi ciò che predichiamo sempre che non deve essere fatto, non creiamo oggi quelle signorie di mercato le quali sono una delle ragioni di stasi, una delle ragioni per cui l’economia nostra la quale pure ha ottenuto risultati notevoli, non è quella che dovrebbe essere; non facciamo cosa che la sottrarrebbe in parte al pungolo continuo della concorrenza. Non aggiungiamo noi, a quelle che sono inevitabili, una condizione nuova atta a creare quella situazione di inferiorità nella concorrenza internazionale che ogni giorno deprechiamo. (Vivi applausi. Moltissime congratulazioni).
Intervengono ancora alcuni oratori, quindi la discussione è rinviata alla seduta successiva.
[1]«Art. 1: La durata dei brevetti per invenzione industriale, prevista all’articolo 4, comma terzo, del Regio decreto 29 giugno 1939, n. 1.127, è elevata ad anni 18.
La maggiore durata di anni 3 si applica anche alle domande di brevetto per invenzione industriale già depositate ed ai brevetti già concessi che, comunque, risultino in vigore l’1 agosto 1956;
art. 2: Coloro che, anteriormente l’1 agosto 1956 hanno effettuato seri e notevoli preparativi, non costituenti contraffazione, per la attuazione di invenzioni protette da brevetti che, in base alle disposizioni precedentemente in vigore, sarebbero scaduti entro il 31 dicembre 1956, possono ottenere una licenza per l’attuazione, a titolo non esclusivo, dell’invenzione.
La licenza è a titolo personale e non può essere ceduta se non congiuntamente all’azienda;
art. 3: Per avvalersi delle disposizioni del precedente articolo, gli interessati debbono, a pena di decadenza, farne dichiarazione entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge all’Ufficio centrale brevetti, presso il Ministero dell’Industria e commercio, ed al titolare del brevetto;
art. 4: Le licenze contrattuali relative a brevetti in corso, per i quali si applicano le disposizioni della presente legge, qualora siano stipulate fino alla scadenza del brevetto, continuano ad avere efficacia sino alla nuova scadenza a condizione che venga corrisposto al titolare del brevetto un compenso proporzionale a quello fissato in precedenza fra le parti. Tuttavia le parti possono chiedere all’autorità giudiziaria competente la revisione di detto compenso ove sia intervenuta una sostanziale modificazione dei presupposti di fatto. L’autorità giudiziaria giuridica secondo equità;
art. 5: Alla tabella A, allegata al Regio decreto 29 giugno 1939, n. 1.127 e successive modificazioni, sono aggiunte le seguenti voci:
1) per mantenere in vigore il brevetto
- per il sedicesimo anno ………………………………. L. 50.000
- per il diciassettesimo anno ………………………… L. 75.000
- per il diciottesimo anno …………………………….. L. 100.000
art. 6: La presente legge entra in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella «Gazzetta Ufficiale».
[2]«Art. 1: Dopo sei anni dalla data di concessione di un brevetto per invenzione industriale, chiunque vi abbia interesse può ottenere la concessione della licenza per l’utilizzazione dell’invenzione.
La licenza è accordata al richiedente che abbia capacità tecnica ed economica adeguata al programma finanziario, tecnico e commerciale esposto sulla domanda di licenza.
La concessione della licenza obbligatoria è condizionata al versamento da parte del richiedente di una cauzione adeguata all’importanza dell’invenzione ed alla capacità economica del richiedente stesso;
art. 2: La domanda si propone al presidente della Corte d’appello con ricorso contenente l’esposizione del programma finanziario, tecnico e commerciale che il richiedente intende svolgere e con uno studio riflettente l’importanza del brevetto alla luce dell’attuazione fattane e dello sfruttamento avvenuto fino al momento della domanda.
Il presidente fissa con decreto il giorno della comparizione davanti a sé del richiedente e del titolare del brevetto, nonché il termine per la notifica del ricorso e del decreto al titolare del brevetto;
art. 3: Le parti debbono comparire personalmente davanti al presidente. Se il ricorrente non si presenta, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il titolare del brevetto il presidente procede in sua assenza;
art. 4: Il presidente procura di accordare le parti. Se le parti si accordano il presidente fa redigere processo verbale dell’intervenuto accordo.
Se il titolare del brevetto non compare o l’accordo non riesce il presidente fissa con ordinanza le condizioni di concessione della licenza;
art. 5: L’ordinanza di concessione della licenza deve contenere:
- l’estensione e la durata della licenza;
- la percentuale del compenso, non inferiore allo 0,50% e non superiore al 5% da conteggiarsi sul prezzo del prodotto fabbricato e che il licenziatario deve pagare al titolare del brevetto alle scadenze annuali;
art. 6: L’ordinanza può essere impugnata con reclamo al Collegio nel termine perentorio di trenta giorni dall’atto della notifica.
Il reclamo si propone con ricorso al presidente il quale con decreto in calce al ricorso fissa la data di comparizione delle parti innanzi al Collegio.
Copia del reclamo e del decreto sono notificate all’altra parte;
art. 7: Il ricorso si propone davanti all’autorità giudiziaria del domicilio del titolare del brevetto.
Qualora il titolare del brevetto non abbia residenza, dimora o domicilio eletto nel territorio dello stato, il ricorso è proposto davanti all’autorità giudiziaria del luogo in cui il richiedente ha domicilio o residenza.
Qualora né il richiedente né il titolare abbiano nel territorio dello stato il domicilio reale o il domicilio eletto, è competente l’autorità giudiziaria di Roma.
L’indicazione di domicilio annotata nel registro dei brevetti vale come elezione di domicilio ai fini della determinazione della competenza;
art. 8: Il licenziatario deve: svolgere il programma di lavori entro i termini stabiliti, comunicare mensilmente al titolare del brevetto con lettera raccomandata lo stato di avanzamento dei lavori di attuazione, i costi analitici di produzione, i dati statistici inerenti alla produzione ed i dati contabili inerenti al fatturato, nonché permettere in qualunque momento il controllo da parte del titolare del brevetto;
art. 9: Il titolare del brevetto deve concedere a titolo gratuito, limitatamente al periodo di attuazione, la collaborazione tecnica al licenziatario del brevetto;
art. 10: Ogni triennio sia il titolare del brevetto, sia il licenziatario possono richiedere alla autorità giudiziaria che lo ha fissato, la revisione della percentuale del compenso di cui all’articolo 5. Il richiedente dovrà fornire la prova dei motivi addotti a ragione della sua richiesta. La procedura per l’esame della richiesta di revisione è quella indicata nell’articolo 7 e seguenti;
art. 11: Il licenziatario del brevetto può chiedere altri rinnovi della licenza fino a coprire la validità della durata del brevetto, sempre che abbia attuato il programma finanziario, tecnico e commerciale del periodo scaduto;
art. 12: Il licenziatario decade se:
- non attua l’invenzione entro un anno dalla data di scadenza del programma stabilito;
- sospende i lavori senza averne avuto autorizzazione o persiste nella sospensione nonostante diffida:
- non svolge esattamente il programma di produzione;
- sospende la produzione per un periodo superiore ai trenta giorni salvo casi di forza maggiore o persiste nella sospensione nonostante diffida;
- non corrisponde nei termini i diritti stabiliti a proprio carico. La decadenza comporta la perdita della cauzione;
art. 13: Il governo è autorizzato ad emanare entro il termine di 120 giorni dalla pubblicazione della presente legge, il regolamento per l’applicazione di questa legge».
[3]Art. 1: L’articolo 52 del Regio decreto 29 giugno 1939, n. 1.127, è sostituito dal seguente:
«L’invenzione industriale che costituisce oggetto del brevetto deve essere attuata nel territorio dello stato in modo da evitare che a causa della insufficiente attuazione della stessa ovvero delle condizioni alle quali si consente o si intende consentirne l’attuazione possano essere impedite o rendersi difficili:
- 1) il soddisfacimento della domanda del prodotto brevettato od ottenuto col procedimento brevettato, ovvero
- 2) l’esportazione del prodotto brevettato od ottenuto col procedimento brevettato, ovvero
- 3) l’attuazione di altre invenzioni brevettate, di notevole importanza per l’economia del Paese, che siano subordinate alla utilizzazione di invenzioni brevettate;
- 4) l’esercizio, nel territorio dello stato, di attività economiche diverse da quelle alle quali si riferisce l’attuazione dell’invenzione quando tali attività importino l’impiego o la disposizione dei prodotti ottenuti od ottenibili con la invenzione, o la utilizzazione, anche parziale, del procedimento brevettato.
Le invenzioni riguardanti oggetti che, per la prima volta, figurano in una esposizione o fiera a carattere nazionale o internazionale, tenuta nel territorio dello stato, si considerano attuate dal giorno della presentazione al pubblico degli oggetti stessi fino al giorno della chiusura della manifestazione, purché siano stati esposti per almeno dieci giorni o, in caso di manifestazione di più breve durata, per tutto il periodo di essa»;
art. 2: L’articolo 54 del Regio decreto 29 giugno 1939, n. 1.127, è sostituito dal seguente:
«Trascorsi tre anni dalla concessione del brevetto, se l’invenzione non è stata attuata o non lo è stata nella misura o con le modalità previste all’articolo 52 ovvero se, anche successivamente, l’attuazione stessa è stata sospesa per oltre tre anni o è stata ridotta o modificata rispetto alla misura o alle modalità predette, qualunque interessato che non sia contraffattore, ha diritto ad una licenza per l’uso dell’invenzione, salvo che la mancanza o insufficienza di attuazione sia dovuta a circostanze indipendenti dalla volontà del titolare del brevetto o dei suoi aventi causa.
La mancanza di mezzi finanziari non è compresa tra le circostanze indicate nel comma precedente.
La licenza per il motivo considerato all’articolo 52, n. 3 può essere chiesta soltanto dal titolare del brevetto decorrente da data posteriore o dai suoi aventi causa. Può essere chiesta, tuttavia, dai titolare del brevetto decorrente da data anteriore o dai suoi aventi causa se la relativa invenzione presenti importanza prevalente.
Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle invenzioni brevettate appartenenti all’amministrazione militare od a quelle tenute segrete ai sensi dell’articolo 41 di questo decreto»;
art. 3: Dopo l’articolo 54 del Regio decreto 29 giugno 1939, n. 1.127, sono aggiunti i seguenti articoli: art. 54-bis: «La licenza di cui al precedente articolo non dà diritto all’uso esclusivo dell’invenzione né preclude l’attuazione dell’invenzione stessa al titolare del brevetto e ai suoi aventi causa. Se è data per il motivo indicato all’articolo 52, n. 2, la licenza dà diritto all’uso dell’invenzione limitatamente alla produzione di cose da esportare.
La licenza ha effetto per la rimanente durata del brevetto e non è trasferibile se non con il consenso del titolare del brevetto o congiuntamente alla cessione dell’azienda del licenziatario.
Il licenziatario è tenuto a pagare al titolare del brevetto, entro i primi mesi dell’anno solare, una indennità non superiore all’1 e mezzo per cento dei ricavi netti conseguiti nell’anno precedente in relazione all’utilizzazione dell’invenzione brevettata. Se l’invenzione riguarda un procedimento, la percentuale predetta non può superare lo 0,50 per cento.
Per la determinazione della misura dell’indennità deve tenersi conto delle cause giustificatrici del diritto alla licenza.
Alla licenza obbligatoria si estendono le condizioni più vantaggiose che, successivamente ad essa, il titolare del brevetto conceda ad altro licenziatario.
Se non è corrisposta l’indennità, il licenziatario decade dal suo diritto senza pregiudizio dell’obbligo di corrispondere quanto dovuto per l’attuazione già fatta»;
art. 54-ter: «La determinazione del ricavo, di cui all’articolo precedente, può essere fatta da un arbitratore designato dalle stesse parti.
In caso di mancato accordo sulla nomina dell’arbitratore, lo stesso viene nominato dal presidente del tribunale competente, ai sensi dell’articolo 75, su richiesta di una delle parti»;
art. 54-quater: «Colui che vuole ottenere la licenza di cui all’articolo 54 deve farne istanza all’Ufficio centrale brevetti, modelli e marchi, che ne dà pronta notizia mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento al titolare del brevetto ed a coloro che abbiano acquistato diritti sul brevetto in base ad atti trascritti od annotati.
Nella istanza debbono essere specificati il fatto costitutivo del diritto alla licenza e la misura e le modalità dell’indennità offerta.
L’istanza deve essere accompagnata dalla prova del pagamento delle tasse prescritte.
Entro trenta giorni dal ricevimento della notizia della istanza, il titolare del brevetto e tutti coloro che ne hanno diritto in base ad atti trascritti od annotati possono contestare l’esistenza del diritto del richiedente ovvero dichiarare di non accettare la misura e le modalità del compenso.
L’opposizione deve essere motivata».
art. 54-quinques: «L’Ufficio dà pronta comunicazione all’istante, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, dell’opposizione prevista all’ultimo comma dell’articolo precedente e dei suoi motivi.
Entro i successivi trenta giorni dal ricevimento della raccomandata, se l’opposizione è diretta a contestare il diritto alla licenza, colui che l’ha chiesta deve chiamare in giudizio l’opponente»;
art. 54-sexies: «Se non è fatta opposizione nel termine previsto nel quarto comma dell’articolo 54-ter, o se l’opposizione non è motivata, il ministro dell’Industria e del commercio, con suo decreto, accorda la licenza.
La licenza è accordata anche nel caso in cui non sono accettate le misure e le modalità dell’indennità. Può, altresì, essere rilasciata in via provvisoria nonostante la opposizione, quando sussistano motivi di urgenza, e subordinatamente alla prestazione di idonea garanzia.
In tali casi il ministro determina la misura e le modalità dell’indennità e della garanzia su parere conforme della Commissione di cui all’articolo 71.
Il decreto del ministro è comunicato agli interessati, mediante raccomandata con avviso di ricevimento e può essere impugnato innanzi al giudice competente entro 30 giorni dalla comunicazione predetta.
In pendenza della impugnazione il licenziatario è tenuto alla osservanza delle condizioni stabilite nella licenza»;
art. 54-septies: «Se è stato contestato il diritto alla licenza, il ministro, qualora non abbia fatto uso della facoltà di cui al precedente articolo 54-sexies per il rilascio della licenza in via provvisoria, ne sospende il rilascio fino a quando l’opposizione non sia decisa con sentenza passata in giudicato, o il giudice non ne consenta provvisoriamente il rilascio.
La domanda è rigettata se non contiene l’offerta della indennità e, dove sia necessario, delle modalità del suo pagamento, ovvero se non è stata accompagnata dalla prova del pagamento delle tasse prescritte.
Se nel termine indicato dal secondo comma dell’articolo 54-quinquies l’interessato non propone l’istanza ivi prevista, il ministro ne rigetta la domanda»;
art. 4: All’articolo 55 del Regio decreto 29 giugno 1939, n. 1.127, è aggiunto il seguente numero:
«3)-per il perdurare della mancata o insufficiente attuazione dell’invenzione, ai sensi di questo decreto, trascorsi due anni dalla concessione della prima licenza obbligatoria»;
art. 5: All’articolo 66 del Regio decreto 29 giugno 1939, n. 1.127, è aggiunto il seguente comma:
«Deve essere trascritto anche il decreto che accorda la licenza obbligatoria»;
art. 6: Dopo l’articolo 77 del Regio decreto 29 giugno 1939, n. 1.127, è aggiunto il seguente articolo 77-bis; «Il titolare di una licenza, anche se a titolo non esclusivo, può esercitare ogni azione a tutela del brevetto spettante al titolare, ma deve chiamare in giudizio il titolare stesso»;
art. 7: Dopo l’articolo 78 del Regio decreto 29 giugno 1939, n. 1.127, è aggiunto il seguente articolo 78-bis:
«L’azione di accertamento del diritto alla licenza obbligatoria, l’opposizione ai provvedimenti del ministro indicati all’articolo 54 -sexies e l’azione di decadenza dal diritto alla licenza obbligatoria, si propongono innanzi al tribunale competente ai sensi dell’articolo 75. Allo stesso tribunale si può proporre istanza per la sospensione dell’efficacia della licenza provvisoria prevista nel citato articolo 54-sexies, tenute presenti le disposizioni dell’articolo 351 Codice di procedura civile.
Per la decisione di merito sul diritto alla licenza, il giudice può chiedere il parere del ministro dell’Industria e del commercio e, quando la licenza è stata domandata per un motivo indicato nell’articolo 52, n. 2), anche il parere del ministro del Commercio con l’estero»;
art. 8: Alla tabella A, allegata al Regio decreto 29 giugno 1939, n. 1.127 e successive modificazioni, sono aggiunte le seguenti voci:
- 1) per la domanda di licenza obbligatoria su brevetto principale o completivo …………………..L. 30.000
- 2) per la concessione della licenza obbligatoria ………………………….. ……… L. 50.000
La licenza obbligatoria è soggetta per ciascun anno di durata alla tassa di concessione governativa di lire 5.000».