Opera Omnia Luigi Einaudi

16 febbraio–16maggio 1922 – Sulla proroga dei contratti di locazione

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 16/02/1922

16 febbraio–16maggio 1922 – Sulla proroga dei contratti di locazione

Atti Parlamentari – Senato del Regno – Discussioni

Interventi e Relazioni parlamentari, a cura di Stefania Martinotti Dorigo, Vol. I, Senato del Regno (1919-1922), Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1980, pp. 475-611 e 619-624

 

 

 

16 febbraio

 

 

Discussione del disegno di legge relativo alla conversione in legge del R. decreto 8 novembre 1921, n. 1.561, contenente disposizioni sulla proroga dei contratti di locazione di appartamenti o case di abitazione

 

 

L’on. Bergamasco prende la parola per primo, dichiarando di accettare, a nome del governo, che la discussione verta sul testo dei disegni di legge emendato dall’Ufficio centrale. Il sen. Da Como presenta quindi un ordine del giorno, sul quale L. EINAUDI interviene, in qualità di relatore dell’Ufficio centrale:

 

 

L’Ufficio centrale è stato unanime nell’apprezzare e nel plaudire al pensiero del senatore Da Como, e siccome è perfettamente d’accordo in questo pensiero, non avrebbe nessuna difficoltà per conto suo ad accettare l’ordine del giorno. Naturalmente ove il senatore Da Como lo converta in una raccomandazione, anche l’Ufficio centrale farà propria questa raccomandazione.

 

 

L’ordine del giorno è quindi accolto anche dal governo e convertito in raccomandazione. Non intervenendo nessun altro, la discussione generale è chiusa e il Senato passa all’esame per articoli del provvedimento. E data lettura all’articolo 1, a proposito del quale L. Einaudi prende la parola:

 

 

L’Ufficio centrale si era preoccupato di una osservazione venuta da parecchi senatori, che cioè le norme contenute nel disegno modificato dall’Ufficio centrale potessero far decadere tutte quelle altre norme che il Senato aveva già approvate in occasione della discussione del decreto 18 aprile 1920 e che non sono testualmente ripetute in questo articolo, e aveva proposto un articolo aggiuntivo 10 il quale diceva: «Restando ferme tutte le disposizioni del Regio decreto legge 18 aprile 1920, n. 477, nel testo approvato dal Senato in quanto non siano modificate dalla presente legge».

 

 

È sorto però nello stesso Ufficio centrale il dubbio intorno alla convenienza di mantenere questa formula così proposta, perché essa poteva prestare il fianco a qualche critica dal punto di vista della tecnica giuridica, inquantoché non si può realmente scrivere in una legge un riferimento a un testo approvato dal Senato che non costituisce legge.

 

 

L’Ufficio centrale a questo articolo aggiuntivo 10 sostituirebbe un inciso nell’articolo primo dopo le parole «a datare dall’1 luglio 1921». Dopo queste parole si scriverebbero queste altre: «Ferme restando le disposizioni contenute nei provvedimenti legislativi precedenti definitivamente approvati dal Parlamento, le quali non siano modificate dalla presente legge».

 

 

Così resta fermo il concetto che le disposizioni contenute in provvedimenti legislativi nella forma definitivamente approvata dal Parlamento, in quanto non contrastino con la presente legge, restino in vigore. Questa è la proposta che presenta l’Ufficio centrale.

 

 

Rava: «Volevo in primo luogo osservare la novità di forma di questo emendamento dell’Ufficio centrale e pregare l’onorevole relatore di chiarirla meglio per non creare complicazioni. L’onorevole relatore lo ha già fatto, e non avrei quindi altro da dire, se non volessi fare una viva raccomandazione; prego anzi gli onorevoli colleghi di darmi aiuto in questo assunto. Con questo articolo richiamiamo in vigore tutte le disposizioni precedenti sulla materia dei fitti ossia una serie di decreti-legge, modificati successivamente da altri decreti-legge che cambiano di mano in mano alcune norme dei primi, e modificano date e scadenze e cifre, creando una complicazione tale che oramai, meno qualche eccezione specialissima, come può essere l’on. Einaudi e i suoi colleghi dell’Ufficio centrale, oso affermare che non vi è giurista, non vi è magistrato in Italia, non vi è cittadino che abbia piena conoscenza e certezza di tale legislazione. (Approvazioni). Se gli onorevoli colleghi dell’Ufficio centrale si rivolgeranno ad esempio ad un magistrato per sapere il valore di un articolo sentiranno un’opinione, se invece si rivolgeranno al commissario degli alloggi, sentiranno un’opinione affatto contraria alla prima. Nessuno sa più veramente quale sia il valore giuridico e la consistenza o il testo definitivo di queste norme, né può abbracciare il complesso di esse: poiché lo stesso guardasigilli segue questa abitudine di decreti successivi che non dettano mai norme giuridiche chiare e precise, ma si richiama, variandoli, ad articoli di decreti precedenti che ne richiamano altri più anziani modificati, aggiunti, cambiati, trasformati, rifatti. (Viveapprovazioni). Non si vede più la linea logica, non lo «stato attuale» della norma giuridica. E nessun si raccapezza. Prego quindi l’onorevole rappresentante del guardasigilli, l’amico Bergamasco, e l’onorevole relatore che è giurista è finanziere ed è addentro nella vita moderna e nella cultura antica di ricordare il savio consiglio di Aristotile il quale diceva, nel grave libro della Politica, che le leggi debbono essere come le scarpe, cioè si devono adattare non a chi le fa, ma a chi le porta, e mettere quindi un articolo che dia mandato al potere esecutivo di fare punto e di pubblicare un testo unico di queste leggi e una tabella delle scadenze varie legali dei fitti. Secondo la misura, resterà magari qualche incongruenza, qualche difetto; ma sapremo almeno qual è la legge, che regola una materia che interessa tutti i cittadini, anzi che li agita e li mette in contrasti, e li minaccia e li turba, poiché ripeto, non vi è nessuno oggi il quale in coscienza possa dire di conoscere esattamente le norme precise, attuali di tutta questa congerie di provvedimenti. (Approvazioni)».

 

 

L. EINAUDI:

 

 

Sono perfettamente d’accordo con l’on. Rava in quanto egli ha detto: ma mi permetto di fare questo rilievo: che il Senato aveva inteso, con la lunga discussione fatta l’anno scorso a proposito del decreto-legge 18 aprile 1920, di costituire precisamente questo testo unico. E, se non fosse intervenuto l’ulteriore Regio decreto 8 novembre 1921 e quel decreto-legge fosse andato innanzi all’altro ramo del Parlamento, questo testo unico l’avremmo già avuto. Confesso anche che l’Ufficio centrale si era trovato perfino di fronte al dubbio se non convenisse senz’altro proporre di respingere questo decreto-legge 8 novembre 1921, inquantoché l’intera materia in esso contemplata si trovava già codificata nel testo approvato dal Senato, il quale anzi contemplava la materia, non solo fino al 30 giugno 1923, ma fino al 30 giugno 1924 e legiferava non solo rispetto alle prime tre categorie di appartamenti, ma rispetto a tutte e quattro le categorie. Tuttavia l’Ufficio centrale si è trovato poi di fronte ad uno stato di necessità, inquantoché non essendo stato presentato in tempo e discusso dall’altro ramo del Parlamento il decreto 18 aprile 1920 con le modifiche apportatevi dal Senato, ci si trovava di fronte alla scadenza dei termini; onde il governo in quelle more, essendo mancata la discussione, ha ritenuto opportuno di presentare il Regio decreto 8 novembre 1921. La necessità di questo Regio decreto, dato che la discussione non era avvenuta, non poteva essere disconosciuta, e allora l’Ufficio centrale ha cercato di rimediare all’inconveniente proponendo che invece degli articoli così come erano contenuti nel decreto legge 8 novembre 1921, fossero ripetuti tali e quali gli articoli da 1 a 8 che erano già stati approvati dal Senato in occasione della discussione del decreto 18 aprile 1920. È certamente poco elegante, come ho già detto nella relazione, questa iteratio a poca distanza di tempo dal momento in cui furono votate una prima volta le stesse disposizioni; ma almeno così si chiarisce il dubbio che era stato sollevato dal senatore Rava in quanto che, con l’approvazione del testo così come è proposto dall’Ufficio centrale, non si innova nulla a ciò che era stato stabilito dal Senato e che potrà – ove sia approvato dal Parlamento – costituire un vero testo unico. (Benissimo).

 

 

Mi sembra quindi, on. Rava, che il suo desiderio in questa maniera sia già stato preveduto ed esaudito dall’Ufficio centrale. Si può fare qualche obiezione formale per quanto riguarda questa iteratio, ma sostanzialmente il risultato della promulgazione di un testo unico viene in questa maniera ottenuto. Con la breve aggiunta, che, come dianzi ha detto, si farebbe all’art. 1, si chiarirebbe ancor meglio la organicità dei principi contenuti nelle disposizioni approvate dal Senato in rapporto al decreto del 18 aprile 1920.

 

 

Rava: «Ringrazio delle spiegazioni l’onorevole relatore, ma mi rimane un dubbio: come resteranno in vigore le disposizioni approvate dal Senato e non dalla Camera? Perché esse non sono ancora materia legislativa, e l’emendamento dell’Ufficio centrale dice appunto che resteranno in vigore “tutte le disposizioni legislative”…»

 

 

A questo punto il presidente Tittoni rivela che la Commissione ha proposto di aggiungere anche le parole «definitivamente approvate dal Parlamento»; l’on. Rava riprende: «Mi scusi l’Ufficio centrale se io insisto tanto su questo argomento; ma mi pare che la soluzione non sia molto chiara, ed è materia che interessa tutti. L’Ufficio centrale vorrebbe che, approvato il testo unico dal Senato ed eventualmente anche dalla Camera dei deputati, sparissero tutte le altre disposizioni?».

 

 

L. EINAUDI conferma:

 

 

Sì è così.

 

 

Il sen. Mortara propone quindi di aggiornare la discussione e il Senato accetta a maggioranza, malgrado il parere contrario dell’Ufficio centrale.

 

 

 

 

18 marzo

 

 

Il Senato passa all’esame per articoli della proposta di legge. Viene data lettura dell’art. 1; quindi L. EINAUDI prende la parola per primo, a nome dell’Ufficio centrale:

 

 

A questo articolo primo l’Ufficio centrale aveva proposto l’aggiunta di un inciso subito dopo le parole: «A datare dall’1 luglio 1921…» inciso che aveva per iscopo di chiarire che tutte queste disposizioni non variavano nulla nel precedente decreto 18 aprile 1920, il testo del quale era stato approvato dal Senato.

 

 

L’inciso sarebbe questo: «ferme restando le disposizioni contenute nei provvedimenti legislativi precedenti definitivamente approvati, le quali non siano modificate dalla presente legge».

 

 

L’emendamento dell’Ufficio centrale è accolto dal Senato e l’art. 1, così modificato, viene messo ai voti e approvato. Seguono la lettura e l’approvazione, senza discussione, degli art. 2 e 3. È quindi data lettura dell’art. 4, sul quale interviene l’on. Mazza, proponendo un emendamento; L. EINAUDI replica, in qualità di relatore dell’Ufficio centrale:

 

 

L’Ufficio centrale non può accogliere il comma aggiunto proposto dal senatore Mazza. Tutti gli sforzi dell’Ufficio centrale erano stati rivolti a non variare nulla su ciò che era stato stabilito dal Senato in merito al decreto 18 aprile 1920. In questo decreto, nella forma già votata dal Senato, c’è un articolo 22 il quale ha cercato di disciplinare tutte le varie fattispecie in materia. L’articolo 22 dice così: «Ferme restando le disposizioni dell’articolo precedente per il tempo anteriore alla loro scadenza, le disposizioni della presente legge si applicano ai contratti in corso per il tempo successivo alla loro scadenza». Dunque esse si applicano non al tempo anteriore, ma al tempo successivo.

 

 

L’articolo 22 aggiunge poi ancora: «quando si tratta di rinnovazione di locazioni, ecc. la pigione col nuovo contratto potrà essere ridotta entro i confini stabiliti dalla presente legge».

 

 

Insomma, la materia che il senatore Mazza vorrebbe regolare con il suo comma aggiunto, è già stata disciplinata, in una forma un po’ diversa, nell’articolo 22 del testo votato dal Senato. Non credo che in occasione del presente disegno di legge il quale ha carattere puramente transitorio, sia il caso di ritornare sulla già fatta discussione ed innovare sul voto già espresso dal Senato.

 

 

Perciò l’Ufficio centrale è d’opinione che si debba mantenere fermo questo testo nella forma quale era già stata votata dal Senato: e dichiaro che l’Ufficio centrale non accetta il comma proposto dal senatore Mazza.

 

 

Il sen. Mazza ritira il proprio emendamento e l’articolo, nella stesura proposta dall’Ufficio centrale, viene messo ai voti e approvato. Sono quindi letti e approvati, senza discussione, gli articoli restanti, dal 5 al 9; il disegno di legge è così rinviato alla votazione a scrutinio segreto. Il Senato rinvia quindi, dietro richiesta del ministro Luigi Rossi, la discussione del disegno di legge n. 203 cit., relativo alle locazioni di negozi, uffici e locali industriali, che figurava all’ordine del giorno.

 

 

 

16 maggio

 

 

Seguito della discussione, interrotta il 18 marzo; sono inoltre all’esame del Senato altri due progetti di legge di argomento affine, uno concernente gli affitti dei locali di uso commerciale e l’altro relativo alla proroga dei contratti di locazione di case ed appartamenti.

 

 

Interviene per primo l’on. Bosco Lucarelli; prende quindi la parola L. EINAUDI, in qualità di relatore dell’Ufficio centrale:

 

 

Devo dare una spiegazione a complemento di quella che ha già dato l’onorevole sottosegretario. L’Ufficio centrale aveva tolto le parole «qualunque sia la data della stipulazione di esso», perché si era preoccupato di non inserire nel testo nessuna dizione che fosse in contrasto con il testo che era stato già precedentemente votato dal Senato. Noi non ci siamo creduti autorizzati a nessuna variazione di questo genere. Ci siamo trovati innanzi ad un art. 13, diventato ora 10, del testo del decreto-legge del 13 aprile 1921, il quale era identico tanto nel testo governativo come in quello dell’Ufficio centrale. Questo art. 10 diceva: «le disposizioni della presente legge non si applicano in alcun caso ai contratti aventi una data certa anteriore all’1 novembre 1920 fra locatari e terzi». Per il momento non indaghiamo il significato di questo art. 13-10. Sta di fatto che questo articolo esisteva, e noi dovevamo rispettare il voto del Senato in materia, il quale era in contraddizione formale con l’articolo del nuovo decreto-legge 28 luglio 1921 che, badisi bene, non faceva altro che sostituire il vecchio articolo 4 di quel tal decreto.

 

 

Ci sarebbe stato un art. 4, secondo cui per tutti i contratti, qualunque fosse la data della stipulazione, si potevano adire le commissioni arbitrali, ed un art. 10 del medesimo decreto il quale diceva che non si possono adire le commissioni quando il contratto abbia una data anteriore all’1 novembre 1920.

 

 

A noi era parso impossibile consentire a questa contraddizione, in uno stesso decreto-legge, tra l’art. 4 e l’art. 10 e perciò abbiamo tolto le parole: «qualunque sia la data della stipulazione di esso».

 

 

L’onorevole sottosegretario di stato dice che togliendo queste parole e conservando l’art. 10 proposto dal governo e già votato dal Senato, nella sua attuale dizione, verrebbe a mancare lo scopo della legge, perché non ci sono dei contratti stipulati prima del novembre 1920 ed aventi la scadenza entro il 31 luglio 1922, perché praticamente nessun contratto ha una durata di soli nove mesi. Mi permetto di osservare che ci possono essere contratti che vadano al di là del 31 luglio 1922, quando la data consuetudinaria di scadenza lo porti a ottobre o a novembre, ed in tal caso un contratto, stipulato nel novembre 1920, può aver la durata di un intero anno.

 

 

Ad ogni modo l’Ufficio centrale, per bocca mia, ha dato spiegazione della sua variante, che non ha avuto altro scopo che di evitare una taccia che potesse essere fatta a noi di contraddizione tra un art. 4 e un art. 10 del medesimo decreto-legge.

 

 

Questa contraddizione ci è sembrato che non dovesse rimanere, ma l’Ufficio centrale si rimette al Senato, intorno al modo di toglierla.

 

 

Interviene a questo punto il presidente Torrigiani: «L’Ufficio centrale accetta la modificazione proposta dal governo od insiste nella sua dizione?».

 

 

L. EINAUDI risponde:

 

 

Per coerenza, di fronte al voto del Senato non possiamo far altro che mantenerla. Ci rimettiamo però al Senato che, volendo, può ritornare sulla deliberazione presa. Noi come Ufficio centrale non possiamo proporre al Senato di far questo, ma il Senato lo può sempre fare.

 

 

Il testo proposto da Bosco Lucarelli viene accolto dal Senato e questa nuova stesura dell’articolo è messa ai voti e approvata. Segue la lettura dell’art. 2, a proposito del quale interviene nuovamente Bosco Lucarelli: «In questo articolo involontariamente si è incorsi in una omissione per errore materiale».

 

 

L’articolo 2 riproduce l’articolo 11 del decreto-legge 3 aprile 1921; per un errore materiale, non imputabile agli uffici di segreteria del Senato, fu saltato un comma nel testo dell’allegato alla conversione in legge di questo decreto. Il comma saltato per errore nell’allegato, come risulta dalla «Gazzetta Ufficiale» del 5 aprile 1921, n. 80 è il seguente: «Pendente il termine di cui sopra ed il giudizio avanti le commissioni arbitrali, è sospesa l’efficacia di qualsiasi provvedimento giudiziario e stragiudiziale di sfratto».

 

 

Ora questo comma è interessantissimo, perché se durante il giudizio arbitrale si potesse eseguire lo sfratto, sarebbe inutile ricorrere ad un tale giudizio. Questo comma, certamente per un errore materiale, è stato saltato nella stampa dell’allegato all’articolo che convertiva il decreto-legge in legge, per cui l’Ufficio centrale non lo ha più riprodotto.

 

 

Si tratta quindi di riparare a questo errore materiale, inserendo dopo il terzo comma questo che rileggo: «Pendente il termine di cui sopra e il giudizio avanti le commissioni arbitrali è sospesa l’efficacia di qualsiasi provvedimento giudiziario e stragiudiziale di sfratto».

 

 

L. EINAUDI riprende la parola a nome dell’Ufficio centrale:

 

 

L’Ufficio centrale è venuto a conoscenza solo recentemente di questa omissione: noi, come Ufficio centrale e come Senato, non abbiamo mai avuto notizia di questa disposizione. Nel testo che ci è stato comunicato il comma non figurava : del resto l’Ufficio centrale non ha alcuna difficoltà ad accettarlo.

 

 

L’art. 2 così emendato è messo ai voti e approvato. L’Ufficio centrale propone quindi la soppressione dell’art. 3; il ministro del Tesoro, Peano, propone invece di metterlo ai voti.

 

 

EINAUDI:

 

 

L’Ufficio centrale è disposto ad accogliere la domanda dell’onorevole ministro del Tesoro. Occorre però che da questo articolo sia tolto l’ultimo inciso «sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge».

 

 

Il Senato accoglie l’emendamento proposto da L. Einaudi e l’articolo, così modificato, è messo ai voti e approvato. La discussione per articoli di questo disegno di legge ha termine dopo la lettura e l’approvazione dell’art. 3. Il Senato passa quindi all’esame del disegno di legge n. 363 cit., relativo alle locazioni dei negozi, nella stesura proposta dall’Ufficio centrale; viene letto e approvato l’art. 1; segue la lettura dell’art. 2, per il quale l’on. Bosco Lucarelli propone di adottare la stesura del governo, anziché quella dell’Ufficio centrale; L. EINAUDI replica:

 

 

L’Ufficio centrale è dolente di dover insistere nel suo testo per l’articolo 2, in quanto che qui si tratta di una questione quasi di principio intorno alla lunghezza delle proroghe che debbono essere date per gli affitti dei negozi.

 

 

Con il sistema proposto dal governo si verrebbe a dare una prima proroga dal 31 luglio 1921 al 31 luglio 1922, poi una successiva fino al 31 luglio 1923. In questo modo non si sa dove si andrebbe a finire. Sembra a noi che questo continuo prorogare di anno in anno le date in cui devono finire gli affitti dei negozi non serva ad altro se non a ravvivare la speranza, in quelli che hanno interesse alle proroghe, che altre ne saranno date. Inoltre col sistema del governo vengono ad essere stabilite quasi obbligatoriamente delle sperequazioni tra negoziante e negoziante, inquantoché ci saranno di quelli che, potendo andare sino al 31 luglio 1923, avranno ottenuto una proroga di due anni e magari (perché bisogna guardare alle diverse date consuetudinarie) magari di piu di due anni, mentre altri, avendo avuto una scadenza posteriore ottenendo anch’essi una proroga soltanto fino al 31 luglio 1923, otterranno in definitiva una proroga di un anno solo. Quando saremo vicini al 31 luglio 1923, questi ultimi saranno autorizzati a dire: «tutti gli altri hanno avuto una proroga di un anno e mezzo, e di due anni ecc., anche noi vogliamo avere una proroga eguale» e inizieranno una agitazione e quindi si sarà forzati ad emettere un nuovo decreto-legge che conceda le proroghe richieste.

 

 

L’Ufficio centrale ha voluto con la sua dizione dichiarare chiaramente che la proroga deve avere una durata identica per tutti, astrazion fatta dalla data in cui essa cominci.

 

 

La proroga deve essere per tutti di un anno; vuol dire che quelli che l’avranno avuta dall’1 luglio 1921 l’avranno soltanto fino all’1 luglio 1922; quelli che avranno avuto una scadenza posteriore, avranno anche la proroga fino ad una data posteriore. Insomma tutti avranno una proroga di un anno, e ciò è conforme al principio della legislazione sui negozi, inquantoché, originariamente, quando il governo ha proposto le proroghe per i negozi, le ha proposte perché diceva che era necessario almeno un anno affinché i negozianti potessero trovare un nuovo locale. Noi vogliamo che questo anno lo abbiano tutti e che, se già non lo hanno avuto, si concedano altre proroghe fino al suo esaurimento purché anche con queste aggiunte non si superi la durata complessiva di un anno. Ora secondo il governo non basterebbe più questa proroga di un anno; per alcuni bisognerebbe dare di più, perché essi hanno avuto la scadenza del contratto in epoca anteriore. Ma concedendo a tutti indistintamente la nuova proroga, si crea una sperequazione e si mantiene una causa di viva agitazione. L’Ufficio centrale mantiene la sua proposta, secondo la quale, perché si possa concedere la nuova proroga, ci debbono essere due condizioni: in primo luogo le nuove proroghe si diano soltanto quando, aggiunte a quelle già date, completino la durata di un anno, e in secondo luogo purché non vadano al di là del 31 luglio 1923. In questa maniera tutti sono posti nella medesima situazione di fatto, tutti avranno potuto godere della proroga di un anno; non avranno potuto godere tutti di un’identica proroga cronologica fino al 31 luglio ’23, ma l’identità nella cronologia sarebbe una ingiustizia in confronto ai singoli, perché creerebbe sperequazioni che, lo ripeto, sarebbero fomite di nuove agitazioni. Questi sono i motivi per cui l’Ufficio centrale ha ritenuto di dover apportare la variante che abbiamo detta, e che l’onorevole sottosegretario ha del resto spiegata chiaramente all’art. 22.

 

 

L’on. Bosco Lucarelli prende nuovamente la parola, a nome del governo: «Mi permetto, abusando della pazienza del Senato, di insistere ancora sul testo proposto dal governo. Anzitutto a me pare che gli inconvenienti che lamenta l’onorevole senatore Einaudi sono molto meno gravi degli inconvenienti che si verificherebbero accettando la formula dell’Ufficio centrale. Nella forma del governo abbiamo la data perentoria, fissa di scadenza. Il senatore Einaudi potrebbe obbiettare che avremo un’altra disposizione di proroga».

 

 

EINAUDI:

 

 

È un eccitamento.

 

 

L’on. Bosco Lucarelli insiste nel proporre la stesura governativa dell’articolo e L. EINAUDI torna a replicare:

 

 

L’Ufficio centrale è dolente di dover insistere nella sua dizione: ricorda una circostanza sola. Leggiamo l’art. 7 di quel decreto del 3 aprile 1921; questo articolo regola appunto la proroga e dice: «Esso non può consentirla che per un altro e ultimo anno al fine che il conduttore possa procurarsi nuovi locali per l’esercizio del negozio».

 

 

Era il legislatore stesso che diceva il motivo per cui si doveva dare la proroga e che diceva che si trattava di un ultimo anno; è per questo che l’Ufficio centrale crede che il concetto dell’anno debba essere mantenuto.

 

 

L’emendamento Bosco Lucarelli viene respinto dal Senato. L’articolo, nella stesura dell’Ufficio centrale, viene messo ai voti e approvato.

 

 

 

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