L’emigrazione all’estero di un celebre codice e la tutela del patrimonio bibliografico
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 23/05/1911
L’emigrazione all’estero di un celebre codice e la tutela del patrimonio bibliografico
«Corriere della sera », 23 maggio 1911
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.IlI, Einaudi, Torino, 1960, pp. 337-339
L’incidente avvenuto alla camera tra l’on. Rava e l’on. Cornaggia nella seduta del 18 merita una spiegazione. Il «Corriere» già ebbe a dare, a suo tempo, una breve notizia della comunicazione fatta dal prof. Federico Patetta alla Accademia delle scienze di Torino nella seduta del 12 marzo 1911. Si tratta in verità di un caso gravissimo e che dimostra a quali gravi pericoli sia sottoposto il ricco patrimonio bibliografico di codici e di stampe che è disperso in tanti archivi pubblici e privati d’Italia.
Quando nel 1847 Gustavo Haenel, erudito noto e ricordato con lode per il merito indiscutibile di pregiate edizioni di testi antichi, seppe che nell’archivio capitolare udinese esisteva ancora una copia della Lex Romana Raetica Curiensis fu preso dalla voglia di possederla. E ne aveva ben ragione. Il manoscritto, unico al mondo, risale al secolo nono; e la sua importanza per la storia del diritto è dimostrata dal fatto che da sessanta anni in qua gli storici ne fanno oggetto di discussioni lunghe ed accanite, la cui definitiva soluzione sarebbe per la scienza certo interessantissima. Recatosi ad Udine, l’Haenel vi fece, per nostra disgrazia, la conoscenza dell’archivista canonico Giovanni Francesco Banchieri, che egli seppe adulare e incensare chiamandolo persino «vir multis titulis insignis, nec minus humanitate quam ingenii acumine doctrinaeque ubertate conspicuus».Seppe lo Haenel far tanto da farsi imprestare dall’archivista canonico e dai suoi colleghi il preziosissimo codice. Da Lipsia il codice una prima volta ritornò ad Udine, certo perché la trama ordita riuscisse meglio. Ma nel 1867 l’Haenel senz’altro, profittando della caduta della dominazione austriaca, gelosa custode delle ricchezze artistiche e bibliografiche dei suoi domini, propose al canonico Banchieri di vendergli il manoscritto. Non seppe respingere l’offerta l’archivista, dichiarando anzi che a suo parere il codice sarebbe stato meglio conservato in una pubblica biblioteca estera che non nell’archivio della chiesa di Udine. Fissato il prezzo a 200 talleri, ossia a 700 lire (oggi il prezzo venale sarebbe di gran lunga maggiore) la corrispondenza si trascinò per le difficoltà di fare emigrare nascostamente il codice all’estero. È del 24 ottobre 1869 la lettera seguente indirizzata dall’Haenel al canonico udinese, che il Patetta poté, insieme con altre, scovrire e comprare da un antiquario. Essa è la prova sicura che i due complici erano pienamente consapevoli non solo di aver fatto un contratto giuridicamente nullo, ma anche di aver commesso un’azione riprovevole e che poteva avere, almeno per il venditore, conseguenze assai gravi.
Ecco la traduzione della lettera rivelatrice del complotto:
Passo dunque all’altro argomento della tua lettera, che mi tiene in ansia. Poiché ti confesso in verità di non sapere proprio in che modo si possa agevolmente condurre a termine la faccenda che fra noi si tratta; essendo impedito dalla vecchiaia e dall’inverno di venir di persona a conferirne teco, e non avendo persona a cui commetterla. Così stando le cose, stimo non potersi altrimenti conchiudere l’affare, se non si mandi un uomo sicuro e per quel che si attiene ai doganieri molto accorto – la forza dell’oro espugna anche le fortezze meglio guernite – a mie spese, purché queste non eccedano la somma di quindici talleri prussiani, a Gorizia o Trieste; affinché consegni all’ufficio postale la cosa, che noi sappiamo, involta in un involucro di tela o di carta cerata, col mio indirizzo e con l’indicazione del prezzo, e al tempo stesso procuri di farsi dare indietro dall’amministrazione postale una carta, ove si dichiari che la cosa le fu consegnata. Mi farai cosa grata se mi scriverai, se questa combinazione, che a mio parere è semplicissima, ti vada a genio, perché ove a te non piacesse, io mi metto in cerca di un qualche mercante di Lipsia, avente rapporti di commercio con i setaioli udinesi, del quale ci si possa fidare.
Il codice emigrò così all’estero e per un po’ di tempo l’Haenel ebbe il pudore di citarlo ancora come Codex Archivii Ecclesiae Metropolitanae Utinensis e di profondersi in ringraziamenti al Banchieri per avergliene concesso il prestito.
Morendo, egli però lo legò, insieme con gli altri suoi codici, alcuni dei quali pure compendio di furti, alla biblioteca universitaria di Lipsia, coll’obbligo di non poterli concedere a prestito; e nel 1888 prende il nome di Codex bibliothecae Universitatis Lipsiensis.
Ora che il furto è documentato nelle sue fasi successive dai documenti scoperti dal Patetta, che cosa si deve fare? L’Accademia delle scienze di Torino nell’adunanza del 23 aprile, su ampia relazione del suo presidente, on. Paolo Boselli, fece voti affinché il governo italiano procedesse alle pratiche di ricupero del manoscritto rubato. E sarebbe certo desiderabilissimo che il governo sassone e la biblioteca universitaria di Lipsia spontaneamente imitassero l’atto nobile del Morgan rispetto al famoso piviale d’Ascoli. Propose altresì l’accademia torinese che il governo, ammaestrato da questi e simiglianti casi occorsi in passato, provvedesse energicamente per il futuro; e prendesse provvedimenti, anche con nuove norme legislative, atti a tutelare il nostro patrimonio bibliografico così come si tutela il patrimonio artistico. Bene farà il ministro Finocchiaro ad ordinare agli economi dei benefici vacanti una severa vigilanza sui tesori delle chiese e degli archivi ecclesiastici. Ma facoltà consimili di vigilanza dovrebbero essere attribuite altresì ai bibliotecari e a corpi scientifici incaricandoli di redigere inventari e di vegliare alla conservazione del nostro prezioso patrimonio bibliografico.