Risparmiamo ora per l’avvenire
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1920
Risparmiamo ora per l’avvenire
Comitato torinese di preparazione (Commissione per il risparmio operaio), Tip. Artale, Torino, 1916
Prediche, Laterza, Bari, 1920, pp. 93-107
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I. – Operai e contadini di Russia e Francia
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Nei paesi alleati con l’Italia per la rivendicazione dei diritti delle nazioni e per la difesa della civiltà , la partecipazione delle classi operaie alla causa comune è grande e incoraggiante. Forse il più alto esempio ci è dato dalla Russia, dove le mogli e i figli degli operai e dei contadini benedicono ogni giorno l’atto coraggioso del governo che, all’indomani della guerra, abolì senz’altro la vendita delle bevande alcooliche, sopportando una perdita di circa due miliardi di lire, ma recando alle masse il beneficio inestimabile della salute, della forza, del rinascimento economico. Da quel giorno le centinaia di milioni al mese, che prima operai e contadini recavano alle rivendite dei veleni alcoolici, sono portate alle casse di risparmio; e così la popolazione cresce in ricchezza e in volontà e capacità di lavoro.
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In Francia buona parte delle decine di miliardi fruttati dalla vendita dei titoli del prestito della vittoria, delle obbligazioni e dei buoni del tesoro proviene dalle calze di lana in cui i contadini depositano i loro risparmi e dai contribuenti delle masse operaie. Non vi è famiglia francese la quale non possedesse prima la sua cartella della città di Parigi e del credito fondiario; e nessuna vi è la quale non abbia contribuito alle spese, della guerra con l’acquisto di qualche obbligazione dei prestiti nazionali, accumulando frattanto un utile fondo di previdenza per l’avvenire.
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II. – Il risparmio delle masse d’Inghilterra
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In Inghilterra si durò una fatica più lunga a persuadere le masse della necessità del risparmio; anche perché il governo non metteva in vendita titoli adatti alle piccole borse.
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Negli ultimi mesi però si è fatta della buona strada. Costituito un Comitato nazionale per il risparmio in tempo di guerra, questo indisse una settimana per il risparmio in guerra, che durò dal 17 al 22 luglio; durante la quale fu svolta una mirabile campagna di comizi e di propaganda scritta.
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In quella settimana furono venduti 2.906.000 certificati di risparmio di guerra. Nella settimana successiva furono venduti 3.039.363 certificati al 23 settembre i certificati venduti ammontavano alla bella cifra di 27.050.000 lire sterline, corrispondenti a circa 682 milioni di lire italiane.
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I certificati sono di 15 scellini e 6 pence l’uno: corrispondono circa a 20 lire italiane. Fruttano un interesse medio del 5 per cento; sono rimborsabili alla fine della guerra, e hanno questa caratteristica che l’interesse per sogni cento lire cresce quanto più il compratore li tiene a lungo.
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III. – Operai e contadini in Italia
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E in Italia? Non si può negare che le classi operaie e contadine abbiano dato un contributo alle spese della guerra, facendo depositi sui libretti delle casse postali ed ordinarie di risparmio. Se i depositi sui libretti in complesso si sono mantenuti al livello antico, nonostante il ritiro di parecchie centinaia di milioni da parte delle classi medie, le quali acquistarono obbligazioni dei prestiti nazionali, il merito è indubbiamente dovuto ai risparmi dei contadini e degli operai.
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È qualche cosa. Ma ciò non basta. In confronto ai 7 miliardi circa che le classi dei capitalisti, degli industriali, dei commercianti, degli impiegati, dei professionisti hanno imprestato all’erario italiano dal giorno dello scoppio della guerra europea fino alla fine del settembre 1916, le alcune centinaia di milioni depositate alle casse di risparmio dagli operai e dai contadini sono insufficienti.
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IV. – Il magnifico sforzo della borghesia italiana
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Bisogna ricordare che, se una parte dei proprietari di terreni, degli industriali e dei commercianti guadagna più di prima in conseguenza della guerra, costoro hanno dovuto, nell’interesse generale medesimo, investire i loro sopraprofitti, decurtati dalle imposte, negli ampliamenti e macchinari, richiesti dalle esigenze dell’esercito; e quindi di altrettanto risultarono minori le disponibilità per le sottoscrizioni dirette ai prestiti pubblici.
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Sicché furono tanto più encomiabili le società anonime e gli industriali, che diedero il buon esempio di larghe sottoscrizioni.
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Non bisogna neppure dimenticare che una parte delle classi alte e medie non vide affatto aumentare, anzi vide diminuire i propri redditi; e si possono citare i proprietari di case, che il legislatore costringe a moratorie di vario genere; gli impiegati pubblici, il cui stipendio fu diminuito per maggiori ritenute di imposta; i capitalisti, i quali non ricevono dai propri titoli di rendita e dai mutui conchiusi prima della guerra alcun reddito in più; moltissimi professionisti, richiamati sotto le armi o danneggiati nella propria clientela. Eppure una notevole parte di costoro vide che era suo interesse restringere al minimo le opere non strettamente necessarie, e mettere da parte qualche somma per l’avvenire incerto del dopo guerra. Tutti insieme contribuirono al successo dei 7 miliardi di somme mutuate allo Stato in appena 26 mesi: successo di cui l’Italia a buon diritto va orgogliosa.
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V. – I mezzi di risparmio dei lavoratori
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A ben considerare, gli operai e i contadini hanno forse più di una notevole parte delle classi medie, i mezzi di risparmiare. Mentre gli stipendi e i guadagni degli impiegati, di moltissimi professionisti, di molte famiglie di redditieri sono rimasti immutati, e quindi in realtà sono diminuiti a causa del rincaro della vita, è ben noto che i salari degli operai nelle zone industriali e commerciali dell’Italia sono notevolmente aumentati. Infatti è cresciuto il salario ad ora ed a cottimo; è salito il numero dei giorni lavorativi durante, l’anno; sono accresciute le ore straordinarie pagate a tariffe speciali. Da altra parte s’occupano molti più membri della famiglia, giovani, donne e anziani; e così non diminuisce, in grazia all’esonero concesso agli occupati nelle industrie di guerra, il numero dei lavoratori. Per tutto questo, non è esagerato affermare che il guadagno complessivo di molte famiglie operaie è aumentato di gran lunga più di quanto non sia cresciuto il prezzo delle derrate alimentari. Notisi che il costo di talune spese necessarie, come l’affitto di casa, non è aumentato, salvo in quei casi in cui la famiglia abbia volontariamente cercato un appartamento migliore.
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Lo stesso dicasi dei contadini, i quali vendono uve, bestiame, uova, pollame, frutta a prezzi notevolmente più alti; e hanno per conseguenza un margine di risparmio (pur tenendo conto del rincaro dei vestiti; delle scarpe e dei pochi alimenti da essi acquistati al mercato) assai più ampio di prima.
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VI. – Gli operai hanno bisogno di risparmiare
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Il bisogno di risparmiare è sentito dal contadino, la cui classe è delle più risparmiatrici del nostro paese. Forse non è altrettanto sentito dall’operaio; e ne fanno prova gli aumenti cospicui nei consumi non necessari di bevande alcooliche, di dolci, cioccolata, biscotti, intorno a cui le fabbriche produttrici potrebbero fornire particolari calzanti. Ne è prova l’aumento impressionante del consumo dello zucchero indigeno ed importato che supera già di un terzo, nel periodo di due mesi, quello previsto, che era già superiore di altrettanto a quello dello scorso anno.
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Eppure l’operaio, assai più del contadino, avrebbe ragione di preoccuparsi dell’avvenire. Al contadino non sarà per mancare il piccolo fondo, né i mezzi di sostentarsi coi frutti di esso o col prodotto della mano d’opera sempre ricercatissima nelle campagne. La sorte invece delle industrie e dei commerci, a guerra finita, è incerta. Non è probabile che l’attività industriale nel suo complesso debba notevolmente diminuire; ma dovrà certo essere organizzata diversamente. Alla crisi di passaggio dallo stato di pace allo stato di guerra, verificatasi nell’agosto 1914, farà riscontro una crisi inversa, di passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace. Molte industrie, oggi fiorentissime, dovranno cessare o trasformarsi. Milioni di lavoratori, oggi sotto le bandiere, ritorneranno a prendere i posti abbandonati; e non vi sarà sempre la possibilità di occupare altresì coloro che oggi in via transitoria li hanno surrogati. Gli alti prezzi delle munizioni, degli indumenti, di tutto ciò che può servire per la guerra, non potranno durare e verrà meno perciò negli industriali la possibilità di pagare gli alti salari d’oggi.
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VII. – Premuniamoci contro la crisi del dopo-guerra
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Alla crisi del dopo guerra bisogna trovarsi preparati. L’operaio, il quale considera come permanenti gli eccezionali guadagni del momento presente e tutti li spende, dà prova di imprevidenza. Costituirsi una riserva per, l’avvenire è per lui una stretta necessità , e non solo un affare di convenienza. Tanto meglio se la crisi di riassestamento, inevitabile dopo la guerra, potrà essere superata senza che egli debba intaccare il piccolo risparmio formato nell’ora dei larghi guadagni. Sarà sempre una riserva preziosa nei casi di malattia, di bisogni straordinari; sarà , un esempio eloquente del modo con cui si formano tanto i risparmi quanto i capitali; sarà un’occasione per apprezzare equamente il modo con cui le grandi conquiste materiali della civiltà si sono potute ottenere in passato.
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VIII. – Utili rimedi al rincaro della vita
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Né è questo l’unico, sebbene importantissimo, motivo che hanno oggi di risparmiare le classi operaie. Esse, insieme con le altre classi sociali, le quali non godono della compensazione dei maggiori salari, si lamentano, e non a torto, del rincaro della vita. Ma una delle cause essenziali del rincaro non è forse il maggior consumo che oggi si fa di molte derrate e merci? Il consumo del soldato è, necessariamente, più largo di quello stesso suo quand’era a casa. E maggior consumo vuol dire richiesta più intensa ed aumento di prezzi.
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Ragion vorrebbe che il maggior consumo dell’esercito fosse controbilanciato da minor consumo della popolazione civile. Non si vuol dire con ciò che debba diminuire il consumo delle cose realmente utili al sostentamento dell’operaio, alla salute e vigoria delle classi lavoratrici. Un risparmio siffatto sarebbe irrazionale e dannoso a quella stessa produzione di merci e di munizioni, la quale è così necessaria per la fortunata condotta della guerra.
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Ma vi sono parecchi consumi, che possono essere ridotti o addirittura aboliti. I vestiti possono essere fatti durare più a lungo; si possono portare le scarpe rattoppate; e si possono consumare cibi più semplici, meno costosi e altrettanto nutrienti. Il pane bigio all’85% non è forse più saporoso e nutritivo del pane bianco e non meriterebbe di rimanere permanentemente nell’uso di tutti, ricchi e lavoratori? La carne di bue non è altrettanto buona che quella di sanato, prediletta dai torinesi? Non si potrebbe ridurre assai, senza danno alcuno delle vigorie dei lavoratori, il consumo dei dolci?
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IX – Combattiamo l’alcoolismo!
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E non sarebbe utilissimo che tutti riducessero al minimo di un bicchiere di vino per pasto il consumo delle bevande alcooliche? L’igiene se ne gioverebbe assai, perché il minor consumo potrebbe essere soddisfatto dal vino genuino, mentre oggi alla abbondante richiesta si provvede con falsificazioni. E se ne gioverebbe assai la capacità di lavoro e di guadagno delle masse nel dopoguerra.
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X – Aumentiamo la produzione della ricchezza!
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Si pensi che, fatta previsione di durata della guerra sino al 31 dicembre 1917, difficilmente l’onere degli interessi sul debito di guerra e delle pensioni ai feriti, mutilati, ed alle famiglie dei morti in guerra supererà i 2000 milioni di lire all’anno. Si rifletta che questa cifra è uguale all’incirca al settimo della produzione annua, di ricchezza di prima della guerra in Italia. E si concluda che basterebbe potere aumentare di un settimo la produzione annua perché si potesse dopo la guerra, avere il medesimo reddito netto di prima.
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Ebbene, aumentare di un settimo la produzione si può, purché si voglia. L’abolizione del consumo delle bevande alcooliche basterebbe a fare percorrere un gran tratto di via sulla strada della maggiore efficacia produttiva dei lavoratori. In quest’anno, nelle campagne, si ottenne, grazie al più intenso lavoro dei rimasti a casa, un prodotto superiore a quello degli anni precedenti. Quanta maggior ricchezza si potrebbe trarre dalla terra ove il lavoro di tutti fosse più intenso, meglio organizzato, più esperto! A tanto si giungerà col tempo: ma molto si potrebbe ottenere subito, abolendo il flagello dell’alcoolismo.
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Le conseguenze economiche della guerra per maggiori imposte, sarebbero controbilanciate da questa sola riforma, che è una riforma dipendente unicamente dalla volontà umana.
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Dunque rinunciare oggi a taluni consumi non necessari vuol dire nel tempo stesso:
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- frenare l’aumento dei prezzi;
- procurarsi i mezzi per risparmiare, e provvedere così all’eventualità della crisi del dopoguerra;
- aumentare la propria capacità di lavoro; e quindi essere in grado di trovare lavoro remunerativo anche dopo la fine della guerra;
- contribuire all’aumento della produzione nazionale, e perciò alla compensazione dei costi della guerra nazionale.
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XI – Risparmiare è un interesse personale e nazionale
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Da ciò si vede che «risparmiare» è un interesse personale, diretto delle classi lavoratrici.
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Inoltre «risparmiare» è altresì un dovere verso la patria. Nessuna guerra si conduce con mezzi futuri. I cannoni sparano munizioni oggi prodotte; i soldati si cibano di carne e pane oggi esistenti, si vestono di panni già tessuti. Se si vuole che l’esercito abbia tutte le cose necessarie alla vittoria, fa d’uopo che tutto ciò sia oggi prodotto.
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In parte il fabbisogno per l’esercito viene dall’estero, ma è nostro interesse e dovere ridurre questa parte al minimo: sia perché i paesi alleati devono anch’essi provvedere a spese gigantesche (noi abbiamo speso sino al luglio 1916 circa 10 miliardi per la guerra; l’Inghilterra ne ha spesi 58), e le loro ricchezze, per quanto più ampie della nostra, non sono però illimitate; sia perché noi non vogliamo indebitarci neppure verso gli alleati, se non nella misura strettamente indispensabile; sia perché ogni popolo collaborante nella grande impresa di liberazione del mondo civile deve avere l’orgoglio di sostenere il peso della guerra coi sacrifici suoi e non solo coi denari degli altri; sia perché i mezzi di trasporto marittimo si fanno sempre più scarsi, costosi e difficili fino al punto da rendere probabile il razionamento dei generi importati, fra i quali, notisi bene, è compreso il grano, specie quello duro per le paste alimentari.
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Poiché le spese della guerra le dobbiamo sostenere noi nel momento presente; così non vi sono altre vie fuorché aumentare la produzione totale e restringere i consumi della popolazione civile.
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Prima, a far vivere gli italiani, bastavano quattordici miliardi circa di ricchezza nuova annualmente prodotta. Durante la guerra, la produzione nazionale, per la più intensa energia da tutti recata al lavoro, è aumentata, supponiamo, da 14 a 16 miliardi di lire. Se di questi bisogna destinarne sei all’esercito – anche tenuto conto di due o tre miliardi provenienti dall’estero – rimangono soltanto dieci miliardi disponibili per la popolazione civile.
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XII – Risparmiamo ad ogni costo!
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Altra via d’uscita non v’è. Non è possibile – salvo trascurabili eccezioni di riserve, di alimenti, di vestiti, di forniture esistenti al principio della guerra presso i fabbricanti e i negozianti – provvedere in altra maniera. Non è possibile, come taluni immaginano, consumare la ricchezza già prima della guerra consolidata e capitalizzata. Non giova e non si possono consumare le terre, le case, le fabbriche, le macchine esistenti, che formano quella che si vuol chiamare la ricchezza del paese. Anzi fa d’uopo conservarla e migliorarla, perché produca sempre di più: il solo prodotto nuovo, annuo, corrente serve ed è consumabile per le necessità della guerra.
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Ma il prodotto annuo, anche aumentato fino a sedici miliardi, è insufficiente se la popolazione civile continua a consumarne per sé come prima quattordici miliardi, oltre i sei di necessario consumo di guerra. Se si vuol durare e vincere, bisogna assolutamente ridurre i quattordici miliardi di consumo ordinario a dieci.
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Allora: dieci miliardi di consumo civile ordinario, più sei di consumo di guerra, si starà dentro i sedici miliardi disponibili.
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Sono cifre gregge, approssimative; ma danno però un’idea delle necessità imprescindibili imposte dalla guerra. Tutti devono contribuire al risultato. Sono in colpa gravissima i ricchi, i quali non sentono l’obbligo di non spendere; tanto più grave, in quanto essi dovrebbero dare l’esempio agli altri della rinuncia. Nessuna condanna dell’opinione pubblica sarà mai abbastanza severa contro questi veri traditori della patria, a cui l’alta posizione sociale impone doveri corrispondentemente elevati. A costringerli al risparmio, alla morigeratezza, il governo dovrebbe imporre in tutti quei casi in cui sia possibile, tasse enormi, proibitive contro tutti i consumi di lusso. Parecchio già si fece; ma assai di più converrebbe fare.
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Detto questo, è necessario però aggiungere che, se i ricchi devono dare il buon esempio, le speranze della nazione sono sopratutto riposte nelle masse. Sono queste che fanno numero, sono queste da cui dipende la quasi totalità dei consumi. La rinuncia e il risparmio del lavoratore, oltreché più meritori, sono di gran lunga più efficaci della rinuncia e del risparmio del ricco.
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Imitiamo in ciò il nostro nemico. Per spirito di sacrificio, per sentimento del dovere e per dure necessità di cose, la popolazione civile tedesca ha compiuto e compie sacrifici quotidiani. Grazie a questi sacrifici, l’esercito in campo è alimentato, equipaggiato, e resiste agli sforzi nostri e dei nostri alleati. Se vogliamo vincere, occorre che anche la popolazione civile nostra compia qualche sacrificio. Non quanti ne devono forzatamente sopportare i tedeschi; ma quanti consigliano nel tempo stesso l’interesse, la previdenza del futuro, il dovere verso la patria.
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XIII – Vari modi per impiegare i risparmi.
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Si tratta di accantonare per l’avvenire una parte dei propri redditi dell’oggi; e accantonarli ad ottime condizioni. Il risparmiatore non ha che l’imbarazzo della scelta.
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- Vuole il risparmiatore avere disponibili i propri risparmi? Si rechi alla cassa di risparmio di Torino, la quale ha succursali in ogni quartiere della città e in molti borghi della campagna; paga l’interesse del 3,5% all’anno; accoglie somme anche minime; le restituisce a vista; e presenta le maggiori garanzie di sicurezza e di saggia amministrazione. Le somme affidatele saranno, in grandissima parte, mutuate allo Stato mercé acquisto di titoli del debito pubblico, o comunque rivolte a scopi di interesse pubblico.
- Desidera il risparmiatore un maggior frutto, ma nel tempo stesso non vuole impegnarsi per troppo lungo tempo?
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Comperi buoni ordinari del tesoro a scadenza da nove a dodici mesi, i quali rendono il 4,50 per cento. Può averli presso qualunque ufficio postale o banca o cassa di risparmio; e può sceglierli nominativo o al portatore. Alla scadenza egli riavrà la somma mutuata, e avrà insieme la bella aggiunta degli interessi.
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- Il risparmiatore preferisce, in tutto od in parte, un impiego più duraturo?
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Comperi buoni triennali o quinquennali del tesoro.
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Scadono dopo tre o cinque anni: fruttano il 5%; anzi quelli quinquennali fruttano di più, perché sono in vendita a 97 lire, e saranno rimborsabili dopo cinque anni a 100 lire, pure fruttando sempre il 5%
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- è sicuro il risparmiatore di non avere bisogno per più lungo tempo ancora delle somme disponibili?
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Acquisti obbligazioni del prestito nazionale. Oggi si possono avere a circa 96 lire da qualunque banchiere o cambista; fruttano cinque lire per almeno dieci anni; e possono essere rimborsate dopo dieci anni, non però più tardi di venticinque anni.
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Come si vede, i mezzi sicuri di impiegare fruttuosamente il risparmio non mancano. L’operaio faccia la sua scelta secondo i suoi bisogni particolari.
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Forse egli farà bene a cominciare dal deposito delle piccole somme disponibili presso le casse di risparmio. Così l’operaio è sicuro di avere sempre a sua disposizione il piccolo gruzzolo per le occorrenze imprevedibili sue e della famiglia.
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Ma quando il gruzzolo sia cresciuto ed abbia superato le 100, le 200, le 300 lire, l’operaio agirà ottimamente ad acquistare il buono del tesoro ad un anno di scadenza al portatore. Avrà un frutto maggiore, del 4,50%, trarrà maggior profitto dal risparmio e si affezionerà maggiormente al capitaletto accumulato.
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Se a poco a poco il suo piccolo fondo crescerà raggiungendo o superando le 1000 lire, egli avrà la scelta fra il buono a tre o cinque anni, di un reddito più cospicuo ancora, del 5 e del 5,35% rispettivamente e le obbligazioni del prestito nazionale 5%, le quali ai prezzi attuali fruttano più del 5,20% e danno un frutto garantito per dieci anni almeno.
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XIV. – L’educazione al risparmio è il massimo dovere nel momento presente.
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Ogni forma è buona; ma poiché l’educazione al risparmio si acquista a poco a poco, forse è bene passare di grado in grado dagli impieghi più brevi, come il libretto di cassa di risparmio, rimborsabile ad ogni momento, agli impieghi via via a più lunga scadenza e di maggior frutto. L’ideale sarebbe di riuscire un po’ per volta ed avere qualche piccola spezzatura di ciascuna specie; così da potere avere, pure ricavando frattanto il massimo frutto possibile, scadenze nei diversi successivi momenti.
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Ma, comunque si faccia, sempre si giova allo Stato ed alla causa comune.
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Anche il risparmio per un giorno solo è utile; poiché ritarda per un giorno il consumo di derrate indispensabili. Urge che tutti sentano questo che è il massimo dovere dell’italiano nel momento presente: ridurre i consumi fino a quando ciò non nuoccia alla capacità di lavoro ed alla salute della famiglia, ed aumentare così al massimo il risparmio.
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