Questioni del giorno. Francesco Ferrara
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/02/1900
«La Riforma Sociale», febbraio 1900, pp. 156-158
Il 23 gennaio scorso moriva a Venezia, nell’età di novant’anni, Francesco Ferrara. I redattori dei giornali andarono a consultare il solito dizionario biografico degli uomini parlamentari e scrissero che era morto un patriotta, senatore, ex Ministro ed ex professore di Economia Politica. Il pubblico immaginò trattarsi di uno dei tanti senatori vecchi decimati dall’influenza e non se ne curò. Ai suoi funerali intervenne pochissima gente. Due giorni dopo moriva la vecchia consorte del Ferrara ed i giornali commiserarono nuovamente il dolore di colei che non avea potuto sopravvivere alla perdita dell’adorato consorte. E tutto finì lì. Eppure era morto uno dei più grandi uomini del risorgimento italiano.
Grande come patriotta, come uomo d’azione, come professore, come giornalista e come scienziato. Patriotta e uomo d’azione osò indirizzare nel 1847 al Borbone di Napoli – egli siciliano e direttore dell’Ufficio governativo di statistica di Palermo – una lettera famosa nella quale predicava al re tiranno che il popolo si sarebbe levato in massa, si sarebbe fatto decimare dalla mitraglia, avrebbe reciso teste sovrane e rovesciate le più solide dinastie. Membro del Parlamento siciliano nel 1848, esule alla metà dell’anno a Torino, militò strenuamente nelle file del partito liberale, ed alla sua ispirazione si debbono molte riforme del Cavour.
Giornalista potente, diresse a Palermo, durante la breve epoca di libertà, l’Indipendenza e la Lega, scrisse a Torino nel Risorgimento, fondò la Croce di Savoia e l’Economista soppressi dalle persecuzioni di Cavour, Rattazzi e Lanza, divenutigli nemici a causa della sua parola libera e franca.
Uomo politico, sfidò a Palermo nel 1861, come direttore dei dazi indiretti, la mafia, con coraggio che fu giudicato grande, e sfidò la impopolarità sostenendo, insieme col Sella, l’imposta sul macinato. Ministro delle finanze, per breve ora, nel 1867, si mantenne fedele alle sue idee.
Professore, entusiasmò a Torino dalla cattedra di Economia Politica un uditorio immenso pendente dalle labbra del maestro; e tanto viva fu la fiamma di libertà da lui accesa nel cuore dei giovani che, dietro parere del Consiglio della Facoltà giuridica, egli fu sospeso nel 1858 dall’insegnamento sotto pretesto di favorire la diffusione di idee sovversive colle sue «improvvide lezioni». Insegnò poi a Pisa e finalmente a Venezia, dove rimase dal 1867 alla sua morte come direttore della scuola superiore di commercio.
Ma oramai egli era morto da lunghi anni alla vita. Molti giovani studiosi di economia politica avranno meravigliato leggendo soltanto ora sui giornali la notizia della morte del grande economista italiano che venne poco dopo Say e Ricardo e Senior e fu contemporaneo di Stuart Mill e di Bastiat. Perché il Ferrara fu, oltreché fervente patriotta, giornalista potente e uomo d’azione, altresì un pensatore sovrano. La sua figura di Economista torreggia nel suolo nostro in Italia e non teme confronto in Europa. Le sue Prefazioni alle due prime serie della Biblioteca dell’Economista (creazione preziosa e geniale che gli stranieri ci invidiano) rimangono monumento perenne della vigoria straordinaria del suo genio, della sua logica ferrea e dell’entusiasmo arrecato da lui nell’opera scientifica. Egli sintetizzò mirabilmente il lavoro degli economisti venuti prima di lui e colla sua teoria del costo di riproduzione precorse l’opera delle scuole economiche odierne. Non solo egli precorse col costo di riproduzione, colla teoria dei surrogati e coll’analisi finissima dell’economia individuale l’odierna economia pura, ma diede altri contributi preziosi alla scienza.
In un’epoca nella quale ancora non si parlava di scuola storica egli comprese l’importanza della storia e della descrizione dei fatti economici accogliendo nella seconda serie della Biblioteca dell’Economista le migliori opere di storia economica e di economia descrittiva ed indicando ai tedeschi, che in seguito pretesero rifare l’Economia colla storia, il modo vero di trattare i fatti economici passati e contemporanei nelle sue prefazioni, fra cui basterà ricordare quelle sulla Moneta e sulle Dogane. Le prefazioni sull’agricoltura, sulle mercedi e sulle crisi economiche dimostrano quanto fosse grande la sua padronanza delle parti più speciali della scienza e come in tutto egli sapesse porre i germi di nuove dottrine e di pensieri geniali. Così fu anche nella Statistica risolutore perfetto di questioni teoriche e pratiche (cfr. Saggi di Statistica negli «Annali di Statistica» pubblicati dal Ministero di agricoltura, industria e commercio).
Con maggior calma scriveremo più largamente della vita e delle opere di colui che fu il massimo economista italiano. I brevi cenni ora dati non sono altro se non un tributo di cordoglio e di ammirazione verso Colui che è morto. Questo medesimo tributo vorremmo fosse dato con coscienza da tutti coloro che in Italia amano la scienza economica e la causa della libertà.
Purtroppo molti fra i giovani, che studiano o si illudono di studiare le scienze economiche e sociali, non hanno mai letto le Prefazioni di Ferrara. Essi credono d’avere scoperto il mondo soltanto perché hanno letto Marx o qualcuno dei suoi sunteggiatori o corifei. Ed invece hanno avvolto il loro cervello in una densa nebbia che soltanto a gran fatica i più forti potranno togliere. Leggano questi giovani le Prefazioni del Ferrara che l’Unione Tipografico- Editrice ha riunito insieme in volumi separati. Essi si accorgeranno allora come l’Economia Politica non sia punto una scienza borghese, arida e bottegaia, ma come l’amore dei miseri e la fede nella libertà e nel benessere di tutti gli umani abbia sempre inspirato le concezioni degli economisti. Colui che oggi piangiamo morto non fu soltanto un grande pensatore; fu anche uno strenuo lottatore per la causa della libertà, che è la causa del benessere materiale e della elevazione morale ed intellettuale degli uomini. Leggano i giovani gli scritti del Ferrara ed essi sentiranno germogliare nel loro animo, stanco di battaglie socialiste, nuovi ideali di studio e di azione. Sarebbe tempo che le idee, seminate dal Ferrara con prodigalità sovrana, fruttassero all’Italia nostra quel rinnovamento civile ed economico che la generazione passata non seppe compiere.