Opera Omnia di Luigi Einaudi
A cura della Fondazione Luigi Einaudi ETS
Via della Conciliazione, 10 – Roma
www.fondazioneluigieinaudi.it
Sotto il governo fascista, i due ministeri del tesoro e delle finanze erano stati unificati in un unico ministero delle finanze. Dopo la liberazione, la divisione in due ministeri venne ripristinata; ed in generale il ministero delle finanze, il cui compito principale è quello della imposizione tributaria, venne affidato ad uomini politicamente più a sinistra dei loro colleghi del tesoro, i quali, in un paese con un bilancio cronicamente squilibrato, hanno tra i loro compiti principali quello di fare affluire allo Stato il risparmio privato per la copertura del disavanzo, e quello di resistere alle richieste di spesa che provengono dai ministeri economici, preposti a singoli settori di attività : industria e commercio, agricoltura, lavori pubblici, trasporti, comunicazioni, marina mercantile, lavoro.
Quando mi è stato fatto il grande onore di chiedermi di rievocare Luigi Einaudi nella ricorrenza dei venticinque anni della sua scomparsa ho esitato prima di rispondere per la consapevolezza dei limiti delle mie forze. Mi sono indotto ad accogliere l’invito giudicando che coloro che ebbero il privilegio di stargli accanto negli anni della ricostruzione postbellica e in quelli più lontani in cui in conversazioni discrete si ricercavano i modi con i quali avrebbe dovuto compiersi, non possono sottrarsi all’obbligo di fornire alle generazioni giovani contributi di testimonianza che possano servire di guida nello sceverare quali insegnamenti si deducano dalla esemplare coerenza della intera vita di Einaudi al servizio della scuola, del giornalismo, del Parlamento, nei posti di comando della Banca d’Italia e del Governo, al vertice dello Stato.
Non ho conosciuto personalmente Luigi Einaudi, anche se è stato “mio Governatore” dal 1946, anno del mio ingresso in Banca d’Italia, fino al maggio del 1948, anno della sua elezione a Presidente della Repubblica. Per chi come me ha trascorso in Banca d’Italia quasi mezzo secolo, Einaudi è stato, e pour cause, riferimento costante, pietra angolare. La cultura della Banca d’Italia è profondamente intrisa del pensiero einaudiano, ispirata ai suoi valori. Einaudi è il modello di servitore delle istituzioni al quale i suoi successori hanno guardato per orientare la propria azione, pur nella diversità di situazioni. Ma modello Einaudi lo fu per tutto il personale della Banca: ricordo ancora nel racconto di vecchi impiegati che lo avevano conosciuto il sentimento di ammirazione per quell’uomo sobrio e discreto, rigoroso fino alla severità ; una severità che trovava temperamento in una umanità profonda che sapeva farsi sollecitudine quasi paterna di fronte alle difficoltà dei suoi collaboratori, soprattutto di quelli in posizione e di condizione più modeste.
Luigi Einaudi considerò se stesso soprattutto e sempre un «economista», riguardando, fino alla morte, tale sua vocazione come la prima e maggiore della sua vita, cui egli riteneva suo dovere morale mantenersi devoto e coerente, anche quando gli venne affidato l’adempimento di compiti apparentemente più grandiosi o la risoluzione di problemi di natura diversa. Ma chi volesse contentarsi di definire Einaudi semplicemente un “economista”, mancherebbe – io credo – di scorgere quella che fu forse la più vera natura della sua opera e del suo insegnamento di studioso. Vi sono economisti che non si occupano, mai, altro che per implicazione e sia pure per necessaria implicazione, del governo di una società e dei suoi problemi.
Ci confrontiamo ormai quotidianamente con la crisi di quel progetto europeo che ha rappresentato la più grande invenzione politica della seconda metà del Novecento, sprigionando dinamismo e potenzialità in tale misura da imporsi come punto di riferimento, se non come modello, ben oltre i confini dell’Europa. E quella che ha finito per emergere è in effetti la crisi delle leadership politiche cui spettava dare, dall’inizio del nuovo secolo, sviluppo coerente al processo di integrazione europea. Siamo dinanzi a un’insufficienza storica, che ci rimanda, per contrasto, a quel che fu, in epoche precedenti, “una classe nettamente superiore di statisti”, ispiratori e guide delle democrazie occidentali. E citando in proposito il giudizio di Tony Judt (che in quella cerchia collocava anche Luigi Einaudi), tu hai accennato alla questione sempre aperta se furono le circostanze o la cultura dell’epoca a determinare l’ingresso nell’arena politica e l’affermazione di quelle personalità .
A cura della Fondazione Luigi Einaudi ETS
Via della Conciliazione, 10 – Roma
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