Il nuovo ente centrale dei consumi
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 19/07/1917
Il nuovo ente centrale dei consumi
«Corriere della Sera», 19 luglio 1917
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. IV, Einaudi, Torino, 1961, pp. 562-568
Da quel che si può rilevare da una specie di comunicato ufficioso comparso sul «Bollettino dei consumi», organo del commissariato per gli approvvigionamenti ed i consumi alimentari, il nuovo ente autonomo generale dei consumi vorrebbe essere «un vasto e potente organismo composto di forze locali, di energie cooperative ed anche del libero commercio disciplinato in consorzi, al quale sarebbe demandata la funzione di approvvigionare il paese comprando le merci all’atto di produzione e distribuendole poi fra i centri di consumo».
Vi sarebbe una specie di divisione di lavoro tra il commissariato dei consumi, governato dall’on. Canepa ed il nuovo ente o federazione degli enti autonomi dei consumi a capo di cui «sarà chiamata un’altissima competenza commerciale». Il commissariato si riserverebbe per la propria azione diretta i cereali di cui lo stato ha il monopolio. La federazione sarebbe l’organo di acquisto e di distribuzione di tutto il resto e ad essa sarebbe conferita la facoltà di requisizione e su di essa il commissariato eserciterebbe il controllo lasciandole l’amministrazione commerciale.
Quale lo scopo della creazione? «Prevenire gli eccessi della speculazione senza i danni inerenti alla farragine di una pesante macchina burocratica, ma anzi con i vantaggi di un ordinamento autonomo, espresso dalle forze vive del paese e reggentesi con forze commerciali».
A questi chiarimenti ufficiosi l’on. Canepa nel suo discorso pronunciato il primo luglio dinanzi all’assemblea degli enti dei consumi locali e delle cooperative di consumo italiane aggiunse:
- essere necessario anzi obbligatorio che tutti i cittadini capaci concorrano all’amministrazione degli enti dei consumi;
- doversi obbligare lo stato, gli enti pubblici dei consumi, le grandi cooperative, gli istituti di emissione, gli altri istituti di credito, fra cui specialmente le casse di risparmio, a fornir i mezzi pecuniari d’azione al nuovo ente centrale dei consumi;
- essere necessario dare all’ente il diritto di requisizione sia per impedire la speculazione, sia per disciplinare, a quanto pare, il commercio, «afflitto adesso da una molteplicità superflua di ingranaggi e di ruote intermedie, che è la causa principale per cui il prezzo delle merci pagato dal compratore è di troppo più alto di quello pagato al produttore».
Rispondendo il 7 luglio alle interpellanze degli on. De Capitani, Dugoni e Federzoni, il commissario ai consumi dichiarò che lo scopo essenziale dell’ente è di costituire una federazione degli enti autonomi dei consumi, i quali esistono già e talvolta avrebbero convenienza a fare i loro acquisti all’ingrosso per mezzo d’un ufficio comune. Non avere egli mai voluto creare un monopolio che paralizzasse il libero commercio, proposito, che sarebbe follia pur l’enunciare; ma essere necessario disciplinare il commercio stesso, quando intenda sottrarsi alla disciplina nazionale che in questi momenti è il supremo dovere di ogni italiano.
Allo scopo di evitare una diretta concorrenza sia alle cooperative che ai privati commercianti, sembra che l’ente non debba fondare spacci suoi ma soltanto acquistare per conto degli enti locali autonomi quelle merci che sia opportuno acquistare all’ingrosso, conservarle e distribuirle. L’ente farà la distribuzione delle merci anche ai consorzi di commercianti, alle stesse condizioni che alle cooperative, come si fa già dal commissariato ai consumi per l’olio d’oliva. Per evitare favoritismi, la maggioranza del consiglio d’amministrazione spetterà allo stato, agli enti autonomi dei consumi, ad altri istituti pubblici del genere, emananti dalle provincie, dai comuni, dalle casse di risparmio, dagli istituti di beneficenza e simili. Le cooperative ed i consorzi di piccoli commercianti potranno avere parte nell’amministrazione dell’ente, in proporzione alla loro importanza; ma sempre a titolo di minoranza.
Dopo le quali spiegazioni, vien fatto di esclamare: much ado about nothing – molto fracasso per nulla! Che bisogno v’era di convocare un’adunanza in Campidoglio per annunciare all’Italia una cosa così semplice come una federazione di enti già esistenti, i quali si mettono d’accordo per comprare all’ingrosso ciò che non sempre si trova da comprare al minuto o si paga troppo caro? Federazioni di cooperative, commerciali ed agrarie, ve ne sono parecchie, in Italia ed all’estero; funzionano eccellentemente; né si sono costituite con discorsi in Campidoglio e con l’apparenza di portare una rivoluzione nel mondo del commercio. Bastava che gli enti interessati od i principali di essi si fossero affiatati, sia pure nel salotto del commissario ai consumi, ed avessero cominciato ad agire, incaricando una persona esperta ed anche «un’altissima competenza commerciale», come preferisce dire l’on. Canepa, di fare i primi acquisti. A questi ne sarebbero seguiti altri; gli enti autonomi minori od ancora appartati avrebbero veduto la convenienza di far capo alla federazione per talune delle loro compre. Non si sarebbe avuta alcuna difficoltà per trovare il credito necessario per le operazioni di acquisto. Non v’è negoziante sì sparuto, il quale, quando sia una persona dabbene, non trovi il banchiere disposto a fargli credito. V’è dubbio che la federazione avrebbe potuto trovarsi a corto di mezzi per pagare le ordinazioni, ogni volta che essa si fosse regolata nel comprare e nel vendere, secondo le comuni e sane norme commerciali?
Contro ad una federazione di questo genere, privatamente sorta, non so quali obiezioni avrebbero potuto sorgere. La concorrenza e l’anima del commercio; e se in circostanze eccezionali, come le presenti di guerra, gli enti pubblici, dallo stato ai comuni, credono di potere, istituendo enti autonomi dei consumi e federandoli fra di loro, procacciare derrate alimentari ai consumatori ad un prezzo più basso di quello preteso dal commercio al minuto, niente di meglio. Un’azione di questo genere è preferibile a quella dei calmieri, che fanno scomparire la merce e ne deteriorano progressivamente la qualità, allo scopo di stare entro i limiti di costo prescritti dai limiti dei prezzi del calmiere.
Mettere sul mercato merce sana ad un prezzo noto, di costo per l’ente, è assai meglio che vietare di vendere all’infuori dei prezzi dettati dalla fantasia dei sindaci, dei prefetti ed anche dei commissari ai consumi.
Affinché però gli enti autonomi dei consumi e la loro federazione possano esercitare un `azione innocua ed utile debbono essere osservate talune condizioni, le quali si possono enunciare ricordando gli scopi che l’on. Canepa avrebbe prefisso al nuovo ente.
Questo dovrebbe disciplinare l’azione del libero commercio, frenare gli eccessi della speculazione e tenere a segno quegli interessi, che tentino di sottrarsi alla disciplina nazionale. Ora vi sono due maniere di disciplinare, di regolare e di frenare. L’una è quella che fin da prima della guerra era di moda tra la burocrazia dirigente italiana; l’altra che a me pare la sola feconda. La prima maniera è quella di chi considera l’azione dei privati individui, solo perché mossi dall’interesse proprio, come disordinata ed anarchica. Troppi commercianti, esclama l’on. Canepa: troppi fornai, troppi spacciatori di commestibili. In pace diceva taluno: troppi fabbricanti di cotone, di ferro, di acciaio, di zolfo; e si vollero promuovere, con aiuti pubblici o semi-pubblici, i consorzi di fabbricanti e si creò il consorzio obbligatorio dello zolfo di Sicilia, il cui risultato più cospicuo pare sia stata una riduzione grandiosa della produzione e della vendita dello zolfo. Non è questo il momento di attuare siffatte teorie, più o meno fondate. Lo stato non deve proporsi nessun intento di lotta diretta contro nessuna classe di cittadini. Epperciò va guardato con sospetto il diritto di requisizione che l’on. Canepa vorrebbe attribuito alla nuova federazione. Requisizione contro chi? Contro i produttori che non vogliono vendere? Ma è ammissibile che la facoltà di requisizione venga attribuita non allo stato, per ragioni di pubblico interesse, ma ad enti concorrenti nella vendita? Qual ragione vi è di dare all’ente nazionale un margine di profitto che il produttore intendeva tenere per sé vendendo direttamente agli enti locali, o alle cooperative od al privato commercio? Il prezzo per il consumatore definitivo è forse variato? Né è più agevole dimostrare la giustizia del diritto di requisizione concesso all’ente contro il commercio all’ingrosso od al minuto. Chi si azzarderebbe ancora a comperare, quando un ente concorrente avesse il diritto di portargli via la roba acquistata ad un prezzo forse inferiore a quello d’acquisto e non improbabilmente ad un prezzo tale da togliergli ogni margine di profitto?
Il diritto di requisizione dato all’ente parmi insomma tale da disorganizzare il privato commercio, da impedire la speculazione, che non è quella cosa detestabile che molti immaginano, consistendo invece nel comprare dove vi sono i produttori desiderosi di vendere e nel vendere là dove vi sono i consumatori desiderosi di comprare. La disciplina del commercio si può ottenere in un’altra maniera, che è la sola feconda con la concorrenza. Se gli iniziatori degli enti autonomi dei consumi e della loro federazione sono davvero persuasi che il privato commercio paga prezzi troppo bassi ai produttori ed estorce prezzi troppo alti ai consumatori, facciano essi meglio. Troveranno tutti i produttori disposti a vendere loro a qualche centesimo di più tutto il disponibile; e tutti i consumatori disposti a comprare nei loro spacci a qualche centesimo od a qualche lira di meno. Il numero dei commercianti privati diminuirà; e sarà un bene la loro diminuzione, perché dovuta alla attitudine altrui di procacciare al pubblico servizi migliori ed a prezzi più convenienti.
Nel compiere quest’opera benefica di disciplina del commercio, occorre però che gli enti pubblici adoperino armi leali. Non mi sembra arma leale la requisizione; né mi sembrerebbero leali altri mezzi, come l’obbligatorietà imposta alle casse di risparmio ed agli istituti di emissione di fornire il denaro necessario al funzionamento del nuovo ente centrale dei consumi o l’esenzione dalle imposte generali, che debbono gravare su tutti i contribuenti.
Questo secondo punto non richiede chiarimenti. Le esenzioni speciali di imposta sono purtroppo uno dei flagelli del nostro sistema tributario. Concesse con leggerezza sovratutto ad istanza del ministero di agricoltura, di industria e commercio, esse sono uno degli ostacoli maggiori ad una sana riforma tributaria, che faccia pagare a tutti il dovuto tributo in proporzione dei propri mezzi; sono una causa di frodi numerosissime, arricchiscono gli immeritevoli e danneggiano tutti coloro i quali non riescono a far parte di gruppi privilegiati. La immunità dalle imposte non vuol dire che le merci vendute dall’ente privilegiato costino meno; vuol dire soltanto che possono essere fatte pagare un prezzo minore al consumatore; accollandosi la differenza di imposta non riscossa dallo stato agli altri contribuenti non privilegiati.
Se lo stato deve riscuotere 10; e se uno dei dieci contribuenti ottiene il privilegio di sottrarsi all’imposta di uno che gli spetterebbe, ciò vuol dire che gli altri nove contribuenti dovranno pagare, oltre la parte propria, anche un nono dell’imposta non pagata dal contribuente privilegiato.
Ma è altrettanto dubbio il primo vantaggio che pare si voglia attribuire all’ente nazionale dei consumi: l’obbligatorietà delle casse di risparmio e degli istituti di emissione di fornirgli i capitali necessari al suo funzionamento. A che scopo sancire questo pericoloso principio del credito obbligatorio? Chi può dubitare che l’ente, se bene amministrato, troverà tutto il credito necessario? Dovrà pagare l’interesse commerciale corrente che, dopo tutto, in questi tempi di straordinaria abbondanza di denaro, non è eccessivo, anzi è troppo basso per tutti. Si vuole forse che gli istituti di emissione e le casse di risparmio possano far credito ad un saggio ancora più basso di quello già pericolosamente insufficiente a cui fanno mutui e scontano cambiali in via ordinaria? E perché? Perché questi enti pubblici devono vedere diminuito il guadagno che essi possono fare raccogliendo ed impiegando risparmi, guadagno che per nove decimi va a favore dello stato, a rafforzamento delle loro riserve, ed a scopi di pubblica utilità, come sussidi ad ospedali, ad opere pie, a scuole? Non si vede alcuna ragione perché si debba mettere in grado l’ente nazionale di esercitare una concorrenza sleale al privato commercio a spese di altri scopi pubblici e caritativi, in questi tempi meritevoli di aiuto più largo e non certo minore di prima.
Ma forse queste sono preoccupazioni derivanti da mancanza di chiarimenti bastevoli. Forse l’ente nuovo non vuole armi di favore nella sua opera di concorrenza feconda, non vuole privilegi tributari, non vuole credito per forza. Se così è, non rimane da augurare che esso possa vivere, senza creare una nuova burocrazia e possa diventare uno dei tanti organismi commerciali, governato da uomini aventi reale competenza commerciale, non aspiranti a creare una nuova gerarchia di impiegati a stipendio fisso – i quali cooperano, facendosi reciproca concorrenza, a soddisfare i bisogni dei consumatori italiani.