L’aumento della sovrimposta e la politica finanziaria dei comuni
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 25/03/1915
L’aumento della sovrimposta e la politica finanziaria dei comuni
«Corriere della Sera», 25 marzo 1915[1]
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. IV, Einaudi, Torino, 1961, pp. 185-191
È noto come l’amministrazione socialista milanese abbia chiuso il bilancio preventivo del 1915 con un disavanzo di 6.228.600 lire; e furono già l’altro ieri presentate al consiglio le proposte con cui la giunta intende rimediare al disavanzo, sovratutto con l’aumento di 10 centesimi nella sovrimposta comunale dei terreni e dei fabbricati. Non è forse inopportuno di discutere nuovamente, in guisa tutt’affatto generale, quali siano nel momento presente le conseguenze e l’opportunità di un aumento della sovrimposta. La discussione di un problema siffatto non può invero limitarsi ad una sola città, come se questa vivesse isolata nello spazio e nel tempo; ma deve farsi in rapporto alle condizioni concrete del momento storico ed economico e del paese nel quale quella città si trova. E poiché molti comuni in Italia sono vogliosi di aumentare le spese e quindi di crescere le imposte, non è fuor di luogo studiare quali possano essere le conseguenze, forse non immediate, ma neppure remotissime della odierna politica finanziaria dei comuni.
Comincio dallo sbarazzare il terreno da un problema particolare, rispetto a cui deve essere elogiata, senza riserve, l’opera dell’amministrazione socialista milanese. Entro i limiti in cui essa intende aumentare la sovrimposta allo scopo preciso di abolire il dazio sui materiali da costruzione, il cui gettito è previsto in lire 1.300.000 nel bilancio 1915, essa merita lode. L’imposta sui fabbricati è una cattiva imposta, sovratutto per la sua altezza e per il suo odierno assetto; ma poiché il dazio sui materiali da costruzione è un’imposta pessima, così è certo che bene operano gli attuali amministratori a sostituire l’imposta cattiva a quella pessima. L’imposta sui materiali da costruzione è pessima, perché essa costituisce un aggravio esclusivo del costo di costruzione delle case nuove; per esempio, di 1.300.000 lire del costo delle case costruite nel 1915. Il che vuol dire che i costruttori aumenteranno di altrettanta somma il costo capitale delle case costruende; e si decideranno a costruire solo quando i fitti sperati saranno maggiori – in confronto a quanto basterebbe fossero – di almeno l’8%, fra interessi, spese e imposte annue, sul maggior costo della casa. I fitti delle case costruite nel 1915 devono crescere perciò di almeno 100.000 lire all’anno, in confronto a quanto altrimenti sarebbe necessario, perché ai costruttori convenga costruire case nuove. E poiché, se crescono i fitti delle case nuove, crescono in corrispondenza i fitti delle case antiche, l’aumento dei fitti si propaga anche alle case antiche, nonostante che queste forse non abbiano pagato od abbiano pagato in misura minore il dazio sui materiali da costruzione.
È più conveniente perciò aumentare di lire 1.300.000 la sovrimposta annua sui fabbricati, poiché è certo che i fabbricati nuovi costruendi nel 1915 non costituiscono la tredicesima parte dei fabbricati già costrutti, ma una frazione assai minore; ed è certo quindi che la parte della cresciuta sovrimposta, gravante sui fabbricati nuovi, sarà di gran lunga inferiore a 100.000 lire all’anno; e quindi i fitti delle case nuove cresceranno di una somma minore di quanto sarebbero cresciuti in conseguenza del dazio sui materiali da costruzione; sicché gli inquilini saranno di gran lunga meno danneggiati dalla sovrimposta che dal dazio.
Se le conclusioni mie sono nettamente favorevoli alla abolizione del dazio sui materiali ed alla sua sostituzione con una equivalente sovrimposta, non mi pare si possa concludere con altrettanto favore quando l’aumento della sovrimposta non abbia per iscopo di sostituire il dazio sui materiali, ma sia un aumento netto di tributo.
Che effetto può avere un aumento netto della sovrimposta comunale dal 13,47 al 23,47% del reddito imponibile? Sgombrando il terreno da molte e varie complicazioni di casi, noi possiamo immaginare due situazioni edilizie perfettamente opposte. In una di esse, il mercato delle case, in relazione alla richiesta esistente nel momento ed ai prezzi che gli inquilini possono pagare, è talmente saturo di case costrutte, che non si costruiscono affatto nuove case e le case esistenti sono largamente bastevoli a far fronte ai bisogni della popolazione presente ed a quei prossimi eventuali maggiori bisogni che anche in una città stazionaria si possono verificare. In questa ipotesi, l’aumento della sovrimposta cadrà intieramente sui proprietari; e neppure un centesimo potrà essere trasferito sugli inquilini. Come potrebbero invero i proprietari aumentare i fitti in conseguenza della maggiore imposta quando gli inquilini non fanno una domanda nuova di case e quando il numero delle case esistenti rimane quello che era prima?
Accanto a questa, si può avere una situazione del mercato edilizio perfettamente opposta, in cui la popolazione cresca di numero e di esigenze ed in cui, per soddisfare alla crescente richiesta di appartamenti, si costruiscano ogni anno case nuove. In questa situazione i costruttori tengono il coltello per il manico. Essi non hanno alcun bisogno di costruire per perdere; ché anzi costruiscono solo quando i fitti correnti nella città siano siffattamente alti da consentire loro di ottenere dall’impiego edilizio di un dato capitale almeno l’interesse corrente in impieghi di tal natura, più il rimborso delle spese, fra cui vanno annoverate le imposte. Perciò se le imposte crescono, devono necessariamente crescere i fitti. Se non crescono, i costruttori perderebbero in confronto ad altri impieghi, lucrando solo il 4%, mentre da altri impieghi si ripromettono il 5 od il 6%, e non costruirebbero più case nuove. Laonde la popolazione, la quale nel frattempo continua a crescere, dovrebbe far ressa intorno alle case vecchie e farne aumentare i fitti finché essi appaiano convenienti ai costruttori di case nuove.
Non vi è scampo: in una città progressiva, l’aumento della sovrimposta fa aumentare i fitti ed è necessario li faccia crescere, se non si vuol cadere nel malanno peggiore di una scarsità artificiale di case. Fanno eccezione a questa regola solo le case centrali, dove i fitti, già prima dell’imposta, erano spinti al massimo, perché si trattava di case privilegiate, godenti una situazione eccezionale di monopolio. Per queste case, i proprietari in generale non possono, in conseguenza di una imposta nuova, aumentare i fitti, perché già prima questi erano stati spinti al massimo, ed al di là del massimo non si può andare.
Solo per queste case vale il ragionamento della giunta, per cui l’aumento della sovrimposta non può far crescere i fitti che sono giunti fin da prima al massimo, poiché per le case nuove e per la gran maggioranza delle case esistenti, che subiscono la concorrenza delle case nuove, il massimo è dato dal costo, di cui uno degli elementi principali è l’altezza della imposta. Concludiamo dunque che l’aumento della sovrimposta:
- sarà sopportato dai proprietari in quelle città ed in quei tempi in cui la popolazione non aumenti e non si costruiscano case nuove;
- graverà sugli inquilini nelle città progressive, dove si devono costruire case nuove, salvo che per le case centrali, in cui vigevano già fitti massimi – e perciò non aumentabili – di quasi monopolio.
In quale delle due situazioni si trova oggi Milano? Tende, a quanto si può giudicare dai dati noti, verso una situazione edilizia della prima specie, in cui vi è stasi nelle costruzioni ed in cui quindi l’imposta tende a gravare sui proprietari ed a non trasferirsi sugli inquilini. Infatti il gettito del dazio sui materiali da costruzione, il quale può considerarsi come un indice dell’importanza delle nuove costruzioni ha variato nel seguente modo:
1906 | (consuntivo) | L. 2.120.711 |
1907 | » | 2.306.236 |
1908 | » | 2.628.868 |
1909 | » | 3.021.817 |
1910 | » | 2.885.871 |
1911 | » | 2.985.418 |
1912 | » | 2.482.953 |
1913 | » | 1.925.246 |
1914 | (preventivo) | 1.950.000 |
1915 | » | 1.300.000 |
I dati si riferiscono insieme alla parte chiusa ed a quella aperta del territorio comunale e non sono perfettamente comparabili per intervenute modificazioni di tariffe. Ma nel loro complesso indicano che l’attività edilizia è all’incirca la metà di quella che era nel 1909 e tende ancora a diminuire. Siamo in un periodo di stasi edilizia e di difficoltà relativa di affittare: alla fine del 1914 i locali disponibili denunciati all’ufficio municipale delle abitazioni salivano a 14.179 contro 11.049 alla fine del 1913, 13.604 alla fine del 1912 e 10.368 alla fine del 1911.
È probabile dunque che, per il momento e finché si accentuerà la stasi edilizia, l’aumento della sovrimposta tenda a rimanere a carico dei proprietari di case, senza possibilità sicura di trasferimento sugli inquilini.
Se le cose potessero durare così, l’amministrazione socialista avrebbe raggiunto il suo fine: che è quello di procacciarsi parecchi milioni di nuove entrate e di cavarli di tasca ai proprietari di case.
Ma il discorso delle conseguenze dell’aumento della sovrimposta non finisce qui. Come in tutti i fenomeni economici, le conseguenze più importanti non sono quelle immediate ed apparenti, bensì quelle successive e nascoste.
L’aumento della sovrimposta, appunto perché non potrà subito tradursi in un aumento di fitti, od almeno in un aumento sufficiente di fitti, provocherà un arresto, ancor più sensibile di quello odierno, della fabbricazione. Chi vorrà costruire case per perdere, ossia per lucrare un reddito netto minore di quello che si può ottenere da altri impieghi?
Il male derivante dall’arresto della fabbricazione sarà poco sentito fino a quando perdurerà l’attuale crisi economica, e la popolazione cittadina crescerà lentamente e, per gli scemati redditi, si stiperà in locali vieppiù angusti. Ma appena, in avvenire, le condizioni economiche cittadine migliorassero e la popolazione tornasse ad aumentare od a volere una casa più ampia, subito si manifesterebbero le conseguenze reali dell’odierno inasprimento di tributi. Di nuovo si vedrebbe sorgere ed inacerbirsi una grave sproporzione fra case nuove poste sul mercato e domanda affannosa di abitazioni; e con rapidi, successivi aumenti di fitto i proprietari ripiglierebbero i denari perduti a causa della cresciuta sovrimposta. In allora, i socialisti al potere od all’opposizione si divertiranno a gridare contro l ‘esosità dei proprietari, invocheranno i soliti calmieri e voteranno decine di milioni per costruire nuove case popolari, tardivo e debole rimedio al malanno del caro dei fitti. Ma l’osservatore memore giudicherà allora che l’aumento dei fitti fu provocato non dalla ingordigia dei proprietari, ma dalla imprevidente politica dell’amministrazione socialista che, aumentando le spese pubbliche e crescendo le sovrimposte, ha distrutto l’incitamento a costruire case nuove.
Tutt’altra dovrebbe essere la politica tributaria delle amministrazioni comunali nel momento attuale. Esse non possono prescindere da due fatti capitalissimi, che non è in potere dei comuni di mutare e di cui è loro dovere di tener conto.
In primo luogo fa d’uopo tenere conto dell’aumento delle imposte che fu deliberato dallo stato e che corrisponde a indeclinabili necessità del momento presente. Le amministrazioni socialiste possono reputare biasimevole l’attuale guerra europea, ma esse non possono fare che guerra non vi sia e non possono distruggere la necessità in cui il governo si è trovato di aumentare dal 16,50 al 18,12 % la imposta erariale sui fabbricati. È da augurare che governo e parlamento veggano presto la necessità di provvedere ad una revisione generale del reddito dei fabbricati, così da chiedere ad una migliore ripartizione dell’imposta, senza possibilità di trasferimento sui fitti l’aumento di gettito che, nel tumulto dell’ora, fu chiesto ad un aumento nel tasso dell’imposta; ma i comuni non debbono dal ritardo frapposto a consentire ad una loro giusta domanda – messa innanzi così dal sen. Greppi come dall’avv. Caldara – trarre argomento per aggiungere all’inasprimento erariale, che fu dell’1,62% sul reddito, un inasprimento municipale del 10%, che sarebbe sei volte più grave e peserebbe tanto più duramente sui fitti.
Non debbono, in secondo luogo, i comuni dimenticare che già ora si nota, e probabilmente negli anni prossimi si accentuerà, una tendenza ad un forte aumento nel saggio dell’interesse.
Con la rendita 3,50% ad 80, ossia redditizia di un 4,40% circa, e con le nuove obbligazioni di stato fruttanti il 4,70% circa, le case nuove si dovranno capitalizzare per parecchi e forse per molti anni dal 5 al 6%. Il che vuol dire che nessuno investirà denari in case nuove se non sarà sicuro di ricavarne almeno un reddito netto dal al 6%. Il che vuol dire ancora che i fitti dovranno crescere in avvenire dal 15 al 35% circa, affinché torni conveniente impiegare capitali nelle nuove case.
Vorrei che gli amministratori della cosa pubblica meditassero seriamente sulle vicende poco liete, che si prospettano nel prossimo avvenire, della provvista delle abitazioni sul mercato a causa del rialzo dell’interesse. Se non si mettono in opera per tempo rimedi efficaci, corriamo grandissimo pericolo che diventi per lunga pezza quasi impossibile trovare capitali disposti ad investirsi nell’industria edilizia: la quale inutilmente lotterà contro la concorrenza dei grandiosi prestiti pubblici, nazionali e stranieri, e delle industrie capaci di offrire cospicui interessi al risparmio. Poiché le chiacchiere a nulla valgono, poiché gli enti autonomi non fanno crescere di un soldo i capitali disponibili, non veggo in che altro modo i municipi possano ostacolare la tendenza al crescere dei fitti, fuor di un solo: astenersi dall ‘aumentare le sovrimposte e svolgere una viva incessante azione a favore di una revisione generale dei redditi edilizi, cosicché le aliquote vigenti possano essere ridotte, pure crescendo il gettito dell’imposta, con sollievo degli inquilini.
[1] Con il titolo L’aumento della sovrimposta e la politica finanziaria dei comuni nel momento presente crisi odierna del porto di Genova. [ndr]