Per la ripresa dei traffici internazionali
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 23/08/1914
Per la ripresa dei traffici internazionali
«Corriere della Sera», 23 agosto 1914
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. IV, Einaudi, Torino, 1961, pp. 21-24
La guerra pone ogni giorno nuovi problemi che devono essere risoluti. Problemi, che non sorgevano nelle guerre d’una volta, quando il commercio internazionale aveva scarsa importanza, quando le navi andavano a vela, e quando non esistevano i complessi rapporti creditizi i quali hanno reso ogni paese dipendente dall’altro. La distruzione dei meccanismi delicatissimi creati dalla fiducia danneggia egualmente i belligeranti ed i neutrali, né risparmia i paesi aventi il dominio del mare e quelli che sono lontanissimi dal teatro della guerra.
Per fortuna i mezzi di adattamento alle mutate condizioni di cose agiscono oggi più rapidamente d’un tempo. Mentre sarebbero occorsi mesi per conoscere i provvedimenti dei paesi esteri, oggi in pochi giorni ed anzi in poche ore è agevole sostituire alle antiche spontanee norme di cooperazione internazionale nuove maniere, più imperfette e grezze, ma pur capaci di diminuire i danni dell’arresto subitaneo di ogni attività economica verificatasi allo scoppiare della guerra. Su alcuni di questi nuovi provvisori congegni non sarà inopportuno di intrattenerci, anche per vedere come essi possono gradualmente essere perfezionati.
È noto come il governo italiano abbia accolto la proposta, messa innanzi da varie parti, di assumere il rischio di guerra per le navi appartenenti alla bandiera italiana e per il carico da esse trasportato. Non so con quali modalità sia regolata la assunzione del rischio di guerra. È probabile non si seguano norme molto diverse da quelle immediatamente applicate in Inghilterra dove i premi per lo scafo e per ogni viaggio sono fissati da un comitato governativo, il quale conserva il diritto di regolare i viaggi delle navi assicurate, assumendo il governo l’80% del rischio e rimanendo il 20% a carico di associazioni mutue di assicurazione contro il rischio di guerra, che in quel paese esistevano fin da prima che la guerra scoppiasse. Quanto al carico, il governo assume il 100% del rischio, ad un premio variabile tra l’1 ed il 5% per viaggio, purché si tratti di carico viaggiante sulle navi già assicurate presso lo stato.
Siccome altri stati seguiranno il medesimo metodo, così è probabile che, ove l’Inghilterra conservi il dominio del mare, il traffico marittimo abbia ad essere ripreso a poco a poco non solo dalle bandiere neutrali, ma anche dalle bandiere dei paesi belligeranti e principalmente dalla bandiera inglese la quale fornisce la maggior parte delle navi da carico. Se la ripresa, come pare probabile, si verificherà, saranno risoluti parecchi problemi, che ora sono assai preoccupanti e che impediscono all’Italia di riprendere le relazioni commerciali con l’estero. Una di queste difficoltà è il rincaro del carbone necessario per i piroscafi non solo nei porti italiani, ma anche nei porti esteri. Ciò che il governo ed i privati stanno facendo per assicurare all’Italia il carbone necessario alle sue industrie è assai lodevole. Ma non è tutto il necessario. La catena degli affari si è rotta in parecchi punti ed occorre saldarla in tutti, affinché l’attività industriale proceda. Sta bene avere il carbone: ma occorre altresì vendere i prodotti fabbricati negli stabilimenti, a cui il carbone sarà fornito, grazie alle provvidenze adottate nei diversi stati e grazie ai nuovi adattamenti della marina mercantile allo stato di guerra. Ma per poter vendere ed incassare il prezzo, occorrono varie condizioni. Tra le molte, ricordiamone alcune più pressanti:
- occorre aver diritto di esportare. Malgrado i chiarimenti forniti dal governo, le autorità doganali pare interpretino molto estensivamente la lista delle merci soggette a divieto di esportazione. Occorre che quella lista sia riveduta, si può dire, di giorno in giorno. La difesa nazionale non sarà per nulla pregiudicata, ad esempio, se si accorderà il diritto di esportare per le merci, di cui i magazzini militari fossero ora già a sufficienza provvisti o le merci che non sarebbero prodotte se continuasse il divieto, o per cui la materia prima, oggi non esistente nel regno, venisse importata subordinatamente alla clausola di riesportazione sotto forma di prodotto finito. È probabile che, mettendovi un po’ di buona volontà, i preposti ai dicasteri della difesa e della economia nazionale troveranno modo di allargare il novero delle materie esportabili; e dal canto suo il ministero delle finanze avrà cura di temperare lo zelo, talvolta eccessivo, dei suoi funzionari;
- occorre che le navi non solo trovino il carbone a Genova, al momento della partenza, ma anche al porto di arrivo, al momento del ritorno. Chi vorrà mandare a Buenos Aires od a Montevideo una nave, se laggiù dovrà comprare il carbone a 125 lire la tonnellata? è probabile che il problema si risolverà in parte spontaneamente, perché, una volta liberate dal rischio di guerra, le navi da carico, neutre ed inglesi, avranno interesse a correre, provviste di carbone, verso gli scali dove il prezzo del carbone stesso sarà più elevato, per usufruire dei pingui profitti, in tal modo possibili. Ma non sarebbe inopportuno che il governo nostro, il quale pare abbia assicurata all’Italia la provvista di carbone di alcune miniere inglesi, ne diriga una parte ai porti esteri, dove è maggiore la frequenza delle navi italiane. Sarà inutile costituire riserve di carbone agli Stati uniti, dove esso si trova in abbondanza; ma può essere conveniente provvedere a tempo all’Argentina, al Brasile ed agli altri stati, con cui l’Italia conserva relazioni commerciali discrete. Purtroppo l’America meridionale traversa un periodo di crisi economica intensa; la quale fu aggravata dalla guerra; e non si possono quindi nutrire speranze di grossi nuovi affari con essa. Ma qualcosa si potrà pur sempre ottenere, data l’impossibilità della Germania e dell’Austria di continuare le loro esportazioni;
- occorre poter pagare all’estero e ricevere pagamenti dall’estero. È materia delicatissima, forse la più ardua di tutte. Pare che il governo inglese si sia trovato nella necessità di dare presso le banche la propria garanzia a favore di quelle ditte le quali si trovavano in bisogno di credito per la impossibilità di ricevere le rimesse dall’estero. Non oso suggerire alcuna norma in proposito, trattandosi del punto forse il più delicato del meccanismo che la guerra ha rotto. Certo è che l’argomento merita attento studio da parte dei dirigenti il nostro mercato finanziario. Non fanno difetto in Italia le banche, le quali hanno sedi all’estero; e vi sono in Italia filiali di istituti bancari stranieri.
Una intesa fra questi istituti ed i loro corrispondenti può giovare a ristabilire in parte il funzionamento del meccanismo dei cambi esteri. Non giova illudersi di poter ridare al lavoro del meccanismo la velocità che aveva prima; né credo ragionevoli ed opportune le speranze di chi crede che l’Italia possa sul serio giovarsi della sua situazione di potenza neutrale per ottenere dal commercio internazionale beni in quantità maggiore di prima. La guerra ha diminuito troppo la potenza d’acquisto anche dei paesi lontani (come potranno Argentina, Brasile, Australia, India, Asia minore, Canada ecc. ecc. comprare, se essi non possono più vendere ai paesi belligeranti e se ad essi è venuto meno il credito europeo, che nei paesi nuovi è una delle fonti principali della potenza d’acquisto?) perché ci si possa illudere di fare con essi nuovi e grandi affari. Qualcosa però può farsi coltivando la potenzialità d’acquisto tuttora esistente nei mercati esteri: ed è necessario ed utile che a tal fine convergano le forze economiche del nostro paese.