Opera Omnia Luigi Einaudi

Il Piano Marshall indispensabile al risanamento dell’economia italiana

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 16/04/1948

Il Piano Marshall indispensabile al risanamento dell’economia italiana

«Il Tempo», 16 aprile 1948

 

 

 

L’on. Luigi Einaudi, vice-presidente del Consiglio e ministro del bilancio, è giunto ieri a Milano, di ritorno da una seduta della Banca dei regolamenti internazionali, a Basilea. Stamane egli partirà in automobile per Torino, ove alle 17,30 parlerà al Teatro Carignano. Ieri sera l’on. Einaudi ci ha concesso la seguente intervista precisando che le idee esposte sono condivise dal suo partito.

 

 

– Può chiarirci che sia il Piano Marshall, sul quale l’opinione pubblica non ha certo idee molto chiare dopo le interpretazioni ed i commenti più opposti ad esso serbati?

 

 

– Il Piano Marshall forse può essere paragonato a una medaglia a due facce. La prima è quella del dono: gli Stati Uniti, durante l’anno 1948, daranno all’Italia circa 700 milioni di dollari corrispondenti, al cambio corrente, a circa 400 miliardi di lire. Nel momento attuale, questo dono è necessario. Mentre, avanti la prima guerra mondiale sovrattutto, e poi anche avanti la seconda, la bilancia dei pagamenti italiani si chiudeva in pareggio (e prima del 1914 si chiudeva in avanzo) le cose sono ora profondamente cambiate dopo la guerra. Sino al 1914 l’Italia ha avuto una bilancia di pagamenti internazionali in attivo. Uno dei fatti più interessanti della storia economica italiana è stato infatti che dal 1860 sino al 1914 l’Italia, che quasi non aveva precedentemente riserve auree presso i suoi istituti di emissione, era riuscita ad ammassarne una superiore a un miliardo di lire – vecchie – e a rimborsare praticamente tutti i debiti contratti all’estero per le guerre d’indipendenza e per la costituzione della sua attrezzatura economica (ferrovie, porti, bonifiche, industrie). Nell’intervallo fra le due grandi guerre la posizione era leggermente peggiorata, ma sino al 1939 la bilancia dei pagamenti internazionali si poteva dire ancora in pareggio. Parecchi fattori contribuivano a questo fatto: le rimesse degli emigranti italiani all’estero, le spese dei turisti stranieri in Italia, i noli della marina mercantile italiana ecc. La seconda guerra ha mutato profondamente questo stato di cose: diminuiti per la distruzione della flotta mercantile, i noli; ridotte moltissimo le rimesse degli emigranti; scemate le spese dei turisti; scomparso praticamente il mercato tedesco che assorbiva la maggior parte dell’esportazione ortofrutticola italiana, la bilancia dei pagamenti internazionali si può dire sia in avanzo all’incirca di quella somma di quattrocento miliardi di lire che costituisce l’ammontare del dono che il Piano Marshall promette all’Italia per l’anno in corso. I doni americani consistono, come è noto, nella fornitura gratuita di frumento, carbone, combustibili liquidi e di quelle altre materie prime di cui l’Italia ha bisogno e che non può pagare col prodotto delle sue esportazioni. Non credo vi possano essere dubbi sull’utilità di tutto questo per l’Italia. Se gli Stati Uniti non facessero questo regalo noi non avremmo frumento abbastanza per alimentare la popolazione italiana e non avremmo i mezzi per procurarci il carbone e i combustibili liquidi necessari all’alimentazione delle nostre industrie. Le conseguenze dirette della mancanza di questo dono sarebbero: deficienza di nutrizione per la popolazione italiana e incremento notevolissimo della disoccupazione.

 

 

– E l’altra faccia della medaglia cui lei ha paragonato il Piano Marshall?

 

 

– È quella dell’uso imposto al Tesoro italiano per il ricavato della vendita dei prodotti ricevuti. Gli Stati Uniti infatti ne chiedono il pagamento.

 

 

– Ma se il Tesoro italiano deve pagarlo, non si tratta più di un dono.

 

 

– È sempre un dono. Gli Stati Uniti pretendono che il Tesoro italiano, ricevendo 400 miliardi di lire di frumento, carbone, combustibili e materie prime, ne versi l’intero ammontare – e intiero vuol dire il prezzo completo che si dovrebbe pagare per acquistare queste materie prime negli Stati Uniti o altrove – in un “fondo-lire” presso la Banca d’Italia. Che cioè il Tesoro paghi a sé stesso cosicché l’Italia misuri interamente la portata di questo dono e possa attraverso il Parlamento e gli altri organi incaricati di deliberare in materia, decidere il migliore impiego del denaro accumulato.

 

 

– Gli Stati Uniti non mettono nessuna condizione a questo uso?

 

 

– Sì, una sola: che gli italiani facciano l’uso che reputeranno migliore di questa somma a proprio beneficio, purché non la usino per tappare i buchi del bilancio corrente dello Stato.

 

 

– È ragionevole questa condizione?

 

 

– Essa è tale che se non ci fosse gli italiani dovrebbero metterla da se stessi. Se quella somma fosse impiegata a colmare il disavanzo ordinario del bilancio dello Stato essa incoraggerebbe la perpetuazione di tale disavanzo e nel 1952, quando il Piano Marshall avrà termine, l’Italia si troverebbe nella stessa situazione di ora col bilancio in disavanzo e senza aver nulla ricostruito.

 

 

– Quale uso quindi l’Italia dovrà fare del denaro del fondo-lire?

 

 

– Il popolo italiano lo deciderà, ma esso dovrà necessariamente servire a opere di ricostruzione, ripristino delle ferrovie, dei porti, continuazione delle bonifiche delle strade, potenziamento e rinnovamento degli impianti industriali.

 

 

– Sorgerà forse qualche controversia intorno a tali diversi usi?

 

 

– Qualche controversia potrà nascere, ed è perfettamente naturale che nasca. In un paese libero dove i problemi d’interesse pubblico sono e debbono essere oggetto di discussione, è naturale che si possano avere opinioni diverse su un argomento. È probabile che l’amministrazione delle Ferrovie dello Stato, che il Ministero dei Lavori Pubblici, che il Ministero dell’Agricoltura cerchino di volgere a proprio beneficio, e cioè a beneficio delle ferrovie, delle strade, dei porti, delle bonifiche, la massima parte di questo dono: ed è altrettanto naturale che l’industria affermi che una cospicua parte dei fondi debba invece essere rivolta al rinnovamento degli impianti industriali e specialmente di quelli distrutti dalla guerra o superati. Il problema potrà essere risolto, come tutti questi problemi debbono risolversi, con la formazione di una graduatoria fra i diversi fini mettendo in prima linea quelli che sono considerati i più importanti e i più urgenti.

 

 

– Chi deciderà?

 

 

– Dopo la discussione, che dovrebbe essere larga e completa, nell’opinione pubblica deciderà l’unico organo competente in materia: il Parlamento italiano.

 

 

– Lei ritiene che ai fini del riassetto dell’economia e del raggiungimento del benessere italiano, l’attuazione del Piano Marshall sia indispensabile e che senza di esso le nostre condizioni sarebbero assolutamente disastrose?

 

 

– Dato il disavanzo di cui si è detto, nella bilancia dei pagamenti, sì. E per porre veramente l’alternativa se accettare o meno gli aiuti del Piano Marshall, sarebbe necessario che qualche altro paese potesse fornirci i 400 miliardi di lire di materie prime e di combustibili che ci sono offerti gratuitamente dagli Stati Uniti. Non vedo, invece, in questo momento, che esista un qualsiasi altro paese in grado di far questo. Ma finora nessun altro paese, né tanto meno la Russia, ha mostrato di possedere risorse paragonabili a quelle degli Stati Uniti. Il trattato di commercio più importante concluso fuori dalla loro orbita è quello dell’anno scorso, fra la Russia e la Svezia. Quest’ultima si era impegnata a fornire alla Russia macchinari contro provviste di legnami e di altre materie prime: non dono, ma controprestazione. Per un certo momento parve che questo trattato di commercio fosse tale da assorbire una parte notevole della capacità di produzione della Svezia. I fatti dimostrarono invece che si trattava di una frazione trascurabile del commercio internazionale svedese. Non sembra infatti che la Svezia abbia potuto collocare in Russia più del due per cento delle sue esportazioni. Del resto il commercio internazionale della Russia è sempre stato trascurabile. Prima dell’altra guerra il commercio internazionale dell’Impero russo, che pur copriva un sesto della superficie del globo terracqueo, non giungeva neppure ad eguagliare il commercio internazionale del Belgio; e negli anni recenti non pare che il commercio internazionale della Russia sia diventato più importante. Sembra anzi che sia al di sotto del commercio del Venezuela. Non ritengo perciò che sia pratico indugiarsi, almeno per parecchi anni, sulla possibilità di procurarci da altre fonti, ad oriente del territorio italiano, quelle materie prime e quelle merci che ci sono promesse dal Piano Marshall. Rimane poi sempre una differenza fondamentale: quel poco che potremmo procurarci da altre parti occorrerebbe pagarlo con le nostre esportazioni e già ho detto prima come il nostro problema fondamentale sia il deficit della nostra bilancia dei pagamenti, deficit che in questo anno, e per parecchi anni a venire, potrà essere colmato solo con un dono, quale quello promessoci dal Piano Marshall, o con prestiti che per ora sembra nessun paese possa darci all’infuori degli Stati Uniti.

 

 

– Come mai gli Stati Uniti si dispongono a fare tanti doni e prestiti all’Europa?

 

 

– A parer mio la risposta più semplice è in una verità elementare se non tra gli uomini politici almeno tra gli economisti. Molta gente ritiene che il commercio si fondi su un lucro che qualcuno o qualche paese fa ai danni di altre persone o di altri paesi. Questa è una nozione propria delle epoche e dei popoli che vivono di rapina. Se il commercio deve durare, non può non essere fondato su un principio completamente diverso, ossia sul beneficio che da esso torna a vantaggio di tutti e due i contraenti. Gli Stati Uniti non possono sperare di incrementare produzione e traffici se si trovano di fronte a popoli poveri. Gli Stati Uniti non potranno raggiungere un maggior grado di prosperità finché l’Europa rimane in condizioni di miseria. L’arricchimento dell’Europa è condizione necessaria all’arricchimento, o all’ulteriore arricchimento, degli Stati Uniti. Non esiste contrasto di interessi fra un paese e un altro: ambedue i continenti debbono trarre la loro prosperità da una collaborazione. Vogliamo augurarci che nel 1952, quando il Piano Marshall cesserà, l’Italia e l’Europa abbiano ricostruito la loro attrezzatura economica e possano dire agli Stati Uniti: oramai possiamo fare a meno del vostro aiuto, e facendone a meno saremo in grado di collaborare con voi per la prosperità vostra e nostra, nello stesso tempo.

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