Medice, cura te ipsum
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 20/09/1917
Medice, cura te ipsum
«L’Unità», 20 settembre 1917
La confusione delle idee indistinte, mal certe e mal digerite, epperciò ritenute nuove, nella testa dell’estensore del programma dell’Associazione delle Società industriali italiane, è tale da renderlo persino incapace di riesporre l’antichissimo argomento della protezione alle industrie giovani – che è l’unico argomento sensato contenuto nel programma relativamente a cose doganali – in modo accettabile.
Quando si dice che d’ora innanzi la politica doganale del paese deve inspirarsi alla «necessità di difendere e fortificare le industrie nazionali, finché queste non saranno in grado di sostenere la concorrenza estera», si dimostra forse di essere «avversi ad ogni preconcetto» di liberismo «ad oltranza» o di protezionismo «sistematico»; ma si dà certamente una formulazione spropositata ad una regola da più di cent’anni esposta e dimostrata nei trattati della scienza economica. Poiché questa sempre disse che una limitata e temporanea protezione poteva essere consigliabile per talune industrie nel periodo della loro giovinezza; il che può essere utile quando le industrie così protette siano alcune poche, realmente capaci di avvenire e realmente assoggettate a costi differenziali transeunti nel primo periodo della loro vita.
Ma quando si richiede la protezione per le industrie italiane in genere, quasi che tutte o quasi tutte ne avessero bisogno per sostenere la concorrenza estera, si chiede il nulla; perché la protezione data a tutte od alla più parte delle industrie è protezione data a nessuna; perché il rialzo reciproco dei costi neutralizza il cosidetto beneficio della protezione, perché è assurdo pensare che le difficoltà esistono per tutte e che tutte abbiano l’attitudine a vigoreggiare da sole in avvenire.
Tutto ciò è elementare, è risaputo dagli studenti che si contentano del diciotto agli esami di economia politica; ma è ignorato da coloro che meritamente, ripeto, rappresentano la grande industria italiana.
Quando costoro si persuaderanno che il loro disprezzo per le vecchie formule, i vecchi dogmi, i preconcetti scolastici e le loro pretese di esporre nuovi metodi, nuove finalità, rinnovate concessioni fanno loro grandissimo torto?
Tutti noi ci auguriamo che gli industriali italiani siano rispettati, ascoltati; e chi scrive da ormai un quarto di secolo combatte in questo senso ed ha preso infinite volte le difese delle classi imprenditrici, laboriose ed attive contro la sicumera e la prepotenza burocratica e politicante.
Ma cascano le braccia quando nell’atto in cui le classi imprenditrici affermano di volere apertamente organizzarsi per difendere i propri interessi ed i propri ideali, fanno ciò vestendosi della pelle dell’asino e recitando insulsaggini e spropositi.
Bene a ragione l’Associazione propugna il perfezionamento tecnico e la elevazione morale ed intellettuale del lavoratore, mercé le scuole professionali. Applichino i suoi dirigenti a se medesimi il concetto che la elevazione intellettuale si consegue soltanto mercé la scuola; e come nessuno di loro si azzarderebbe a parlare ed a fare della chimica o della fisica senza averne studiati i principi teorici e le regole applicate, così modestamente si convincano che non basta aver fabbricato e venduto con successo, non basta aver fatto onore al paese come essi hanno fatto, per parlare senza errori di cose economiche.
Se gl’industriali consentissero a studiare prima di discorrere, si avvedrebbero che i «preconcetti» del «liberismo ad oltranza» stanno soltanto nella loro immaginazione; non certo negli scritti degli economisti. Nei quali potrebbero leggere discussioni intorno ai casi in cui la protezione doganale può essere consigliabile, assai più larghe e profonde di quanto oggi neppure sospettino; imparerebbero a non difendere la protezione con argomenti a primo tratto invalidi ed in casi assolutamente inaccettabili; e porterebbero la discussione su quei punti soltanto sui quali una discussione può essere utile ed in cui si può venire a conclusioni accettabili a tutte le persone di buona fede. Facendo come oggi fanno, trattando con disprezzo una scienza che ha dietro di sé una grande tradizione e che è tutta composta di osservazioni di fatti e di esperienze del passato, essi fanno delle correnti protezioniste italiane una cosa volgare, di arraffa arraffa, di sfruttamento indecoroso della pace e della guerra, essi rinfocolano gli odi di classe, inaspriscono il dissidio tra agricoltura ed industria, tra nord e sud e preparano a se stessi ed al paese assai brutti giorni.