La formazione di un monopolio
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/12/1899
La formazione di un monopolio
«Critica Sociale», 1 dicembre 1899, pp. 312-314
Ora che la guerra anglo-boera ha attirato l’attenzione del pubblico sull’Africa meridionale, a me è venuto in mente di narrare ai lettori della Critica Sociale la storia di uno dei più curiosi fenomeni economici dell’ultimo quarto di secolo: la storia delle miniere di diamante del Capo e del loro progressivo accentramento in una sola grande intrapresa monopolistica, dominatrice della produzione e del mercato mondiale.
Chi voglia immaginarsi nettamente la forma delle miniere diamantifere del Capo, deve figurarsi il cratere spento di un vulcano, riempito di una terra gialla alla superficie, azzurro-verdastra poi, la quale, a guisa di un enorme cilindro, si sprofonda indefinitamente nel suolo. In questa terra sono disseminati i diamanti; ed i limiti del cratere e della terra gialla ed azzurra segnano anche i limiti della miniera.
Subito dopo la scoperta (1869) i minatori accorsi da tutte le parti del mondo si precipitarono sull’affioramento protuberante della terra gialla. Ora, quando in un paese deserto, dove non esiste nessun Governo regolare, accorrono i minatori attratti dalla fama della scoperta di un nuovo Eldorado, avviene un fatto curioso: la costituzione di una società economica egualitaria dove nessun uomo è il salariato di un altro, dove nessuno può possedere più di un determinato tratto di terreno. Chi giunge prima deve contentarsi di un claim (tratto di terreno supposto mineralizzato) uguale a quello di coloro che giungono poi. Il claim deve essere lavorato ogni giorno; e chi per più di uno o pochi giorni abbandonasse il lavoro senza giustificato motivo, perde ogni diritto; il suo claim può essere occupato da altri. La giustizia è sommaria; le sentenze sono rese dai liberi minatori adunati in assemblea ed il colpevole viene senz’altro appiccato ad un ramo dell’albero più vicino, ovvero, nei casi leggeri, è condannato all’esilio, il che significa spesso la morte nel deserto sconfinato.
Così avvenne a Kimberley quando si scopersero le miniere di diamanti. Ogni cercatore non poté occupare più di un claim quadrato di 31 piedi (m. 9,45) di lato, circa 100 metri quadrati. La miniera prese l’aspetto di un ampio scacchiere diviso ad angoli retti in piccolissimi appezzamenti, su cui ogni minatore, munito di un piccone e di un apparecchio di lavatura, lavorava e godeva da solo i frutti del proprio lavoro.
Come nelle alluvioni aurifere, il lavoro non poteva essere interrotto nemmeno per malattia. Il claim rimasto sette giorni senza lavoro poteva essere occupato (jump) dal primo venuto. I claims furono divisi ben presto in quarti, in ottavi, in sedicesimi, i quali si estendevano per 6 metri quadrati circa. Nel 1871 i proprietari erano più di 1800 nella sola miniera di Kimberley. L’aspetto di tutti questi minatori, lavoranti disuniti sul proprio appezzamento, ansiosi di sbarazzarsi a vicenda dei detriti della lavature scaricandoli sul pezzo del vicino, era sommamente curioso. La questione dei detriti delle lavature assunse ben presto una grande importanza. I minatori d’accordo dovettero stabilire una servitù di passaggio che permettesse a quei che stavano nel centro di trasportare fuori del campo le proprie materie ingombranti. Si riservò una strada di m. 4,70 ogni due file parallele di claims; siccome si era persuasi che la miniera fosse alluvionale e si dovesse esaurire in breve, si promise ai proprietari del tratto confiscato a scopo di strada di restituirlo appena si fosse giunti alla fine delle terre diamantifere.
Le previsioni di prossimo esaurimento furono smentite dai fatti. Nel 1873 i claims erano già scavati a 30 metri di profondità; le 10 o 12 strade parallele erano cadute, e la miniera aveva preso l’aspetto di un vero cratere di vulcano. I claims, separatamente lavorati da migliaia di minatori a livelli diversi, formavano un bizzarro miscuglio di terrazzi, torri, muraglie, in mezzo a cui si agitava febbrilmente una popolazione di 12 mila lavoratori. La lavorazione si compieva coi mezzi più rudimentali. La terra diamantifera si abbatteva col piccone; il trasporto dal fondo della miniera alla superficie del suolo si faceva prima su carrette e poi, quando le strade caddero, a dorso d’uomo. Mancava l’acqua in guisa assoluta, ma per fortuna la terra gialla della superficie si riduceva subito in sabbia finissima, cosicché la ricerca del diamante consisteva in una semplice crivellatura a mano fatta ai confini della miniera. I detriti si accumulano tutt’intorno alla miniera sulla parete verticale di terreno sterile, detto reef, e formavano dei mucchi alti 7 o 8 metri.
Nel 1873 le condizioni territoriali, che avevano permessa la costituzione egualitaria della proprietà ed avevano fatto nascere la figura del minatore isolato, erano scomparse e già si faceva sentire urgente il bisogno di forti capitali. Al terreno giallo (blue yellow) friabilissimo, si sostituì improvvisamente il terreno azzurro (blue ground) duro e lento a disgregarsi. Fu necessario abbatterlo colla dinamite e depositarlo per lungo tempo sui floors, ampi spazi di terreno situati al di fuori della miniera, affinché l’azione lenta del tempo lo riducesse in polvere. Il trasporto a spalla e su carrette essendo diventato impossibile per l’approfondimento della miniera, fu necessario impiegare mezzi meccanici di estrazione. Si costruì sulla parete sterile un’impalcatura con tre o quattro piattaforme sovrapposte. Da ogni piattaforma partivano dei fili di ferro che giungevano ai vari claims della miniera; la terra diamantifera era fatta salire in otri di pelle rotolanti su questi fili per mezzo di puleggie mosse da negri. La miniera prese l’aspetto di un enorme buco, tutto coperto da una gigantesca tela di ragno, formata da pochi fili metallici che servivano ad elevare gli otri, pieni di pochi litri di terra diamantifera.
I minatori, che popolavano un claim od una frazione di claim, non potevano far fronte a queste spese. Il Kimberley Mining Board dovette autorizzare la riunione di dieci claims ed il loro possesso da parte di una sola persona. A poco a poco i più fortunati fra i minatori, che avevano saputo accumulare un certo capitale cogli scavi superficiali, riuscirono a riunire parecchi claims; coll’accrescersi dell’ampiezza delle singole imprese si cominciò a sostituire la puleggia a mano coi maneggi a cavallo; i recipienti diventarono di metallo e crebbero di dimensioni, si da contenere alcuni piedi cubici di terreno. S’introdusse anche il primo metodo regolare di estrazione meccanica col tram piano inclinato.
La necessità dei capitali diventò più sentita quando i minatori si avvidero che la terra azzurra, non solo doveva essere lasciata decomporre lentamente sui floors, ma che era possibile crivellarla allo stato asciutto come si crivellava la terra gialla. Si dovettero inventare ed impiegare le prime macchine da lavaggio, mosse a mano. Per trovare l’acqua si scavarono numerosi pozzi sui floors; e la necessità di scavare i pozzi ad una certa distanza gli uni dagli altri, fece sì che si dovessero ampliare i floors, e ne determinò l’allontanamento sempre maggiore della miniera. A sua volta questo allontanamento costrinse a sostituire le carrette colle tranvie a cavallo pel trasporto del minerale dalla miniera al floor. D’altra parte, la parete verticale sterile non resistette a lungo alla pressione dell’impalcatura e dei detriti che si accumulavano su di essa; numerose cadute di sterile nel vuoto, che diventava sempre più profondo, della miniera, fecero sospendere i lavori e furono l’indizio primo della necessità di sostituire, ai lavori fatti disordinatamente all’aperto, la coltivazione metodica per mezzo di gallerie sotterranee. Dovette costituirsi un Mining Board per trasportare lo sterile che le cadute incessanti della parete accumulavano sui claims. Sotto la pressione della crescente difficoltà dei lavori, la scomparsa dei coltivatori indipendenti si compie rapidamente. Solo le grandi Compagnie potevano ormai possedere i capitali necessari alla lavorazione sistematica delle miniere. Alla fine del 1880 alcune Compagnie possedevano non meno di 20 claims ed il numero dei proprietari a Kimberley non superava i 100. In confronto dei 1800 liberi minatori del 1871 il concentramento aveva compiuto progressi notevolissimi.
Né il processo di accentramento si ferma qui; le cause territoriali e tecniche, che rendono necessario l’impiego di forti capitali e la lavorazione in grande, si accentuano ognora di più. Gli anni dal 1880 al 1885 sono caratterizzati appunto dal moltiplicarsi continuo delle fusioni e dalla sostituzione completa di grandi Compagnie ai proprietari singoli. Nel gennaio 1880 fu creata la Compagnie Francaise des Mines de diamant du Cap per amalgamare parecchie grandi proprietà della miniera di Kimberley. Questa Compagnia possedeva più del quarto dei claims registrati dalla miniera e suo scopo era di amalgamare a poco a poco tutta la miniera di Kimberley e formare una Compagnia unica di lavorazione. Gli altri proprietari, che lottavano da parecchi anni con poco successo contro le difficoltà crescenti della lavorazione, si aggrupparono allora fra di loro e formarono un certo numero di Società fra cui la miniera era divisa: principali fra di esse la Central Company, la British Company ed il Gruppo Barnato. Nel 1881 le Società anonime erano in numero di 15 con un capitale di 75 milioni. Ai lavori all’aperto succedettero i lavori sotterranei; le due principali Compagnie, la Centrale e la Francese, con grande alacrità costruirono, all’infuori della miniera, dei pozzi profondi, donde poi con gallerie si procedette ad asportare la terra diamantifera.
Le esagerate speranze riposte nella capacità delle Compagnie a superare gli ostacoli frapposti dall’approfondirsi dei lavori e dall’impiego di macchine costose condussero nel 1883 ad uno di quei boom che sono così frequenti nella storia delle miniere. Mentre dal 1877 al 1880 i migliori claims potevano essere comprati per 60-125 mila lire, i pochi claims liberi salirono nel 1883 ad un milione di lire. Le azioni delle Società minerarie in pochi mesi triplicarono e quadruplicarono di prezzo, portando il valore apparente della miniera al prezzo fantastico di più di 200 milioni di lire. Come al solito, i risultati non corrisposero subito alle speranze nutrite, i proventi furono dapprima nulli o negativi. La speculazione, non sostenuta da immediati dividendi, si raffreddò: il prezzo dei diamanti cadde e le azioni erano quotate nel 1885 al 30 – 50% al disotto della pari. Ciò favorì un’ulteriore concentrazione delle imprese. A Kimberley tre sole avevano una certa importanza, la Francese, la Centrale e la Standard; a De Beers una sola possedeva quasi tutta la miniera: la De Beers Mining Co. La coltivazione tendeva manifestamente a concentrarsi in poche mani.
Trasformati i coltivatori singoli in potenti Compagnie, un duplice problema rimaneva da risolvere: tecnico e commerciale. Sotto l’aspetto tecnico era evidente che ognuna delle cinque miniere non poteva essere coltivata in modo da trarre il massimo profitto se non allorquando fosse nelle mani di una sola Società inspirata ad unico principio direttivo nei lavori. Dopo l’adozione dei lavori sotterranei, la divisione di ogni miniera fra varie Società significava non solo spese generali stravaganti, ma processi continui e difficoltà incessanti per la delimitazione dei confini, lo scopo delle acque, ecc., ecc. A Kimberley e De Beers si erano costruiti sette od otto pozzi, mentre due sarebbero bastati. La sovrapposizione di gallerie appartenenti a Società diverse, l’esistenza di una mezza dozzina di sistemi di lavori differenti cagionava uno spreco di forze considerevole, al quale si poteva mettere termine solo per mezzo di un’unica direzione.
Se le condizioni tecniche dell’industria richiedevano la fusione di tutte le Società di ogni miniera in una sola, le condizioni del commercio diamantifero rendevano utilissima agli interessati la amalgamazione di tutte le miniere in una sola grande Compagnia. Il diamante è una sostanza il cui pregio dipende un po’ dalla sua bellezza, ma sopratutto dalla sua rarità. Per esso non è possibile affermare che il consumo cresce col diminuire il prezzo, anzi è vero l’opposto. I ricchi amano adornarsi di diamanti solo perché questi sono costosi; se venissero alla portata di tutte le borse, nessuno più ne comprerebbe. Ora la rivalità fra le Compagnie diamantifere minacciava di condurre a risultati disastrosi per gli azionisti. La media della produzione nel trentennio 1867-97 è stata all’incirca di 2 milioni di carati. Negli anni 1886-1888, quando più ferveva la lotta fra le varie Società, la produzione era aumentata enormemente: nel 1887 si era giunti a 3.646,899 carati. Ed i prezzi avevano cominciato a scendere a precipizio; da 33,40 lire per carato in media nel 1882, si era scesi a 25,47 nel 1883, 24,32 nel 1885 e 25,25 nel 1888. La corsa al ribasso si sarebbe prolungata senza via d’uscita se le Compagnie colla loro concorrenza reciproca avessero demoralizzato un mercato sensibilissimo alle minime variazioni dell’offerta.
Sorse allora un uomo, il quale comprese che, per fare scomparire le perdite ed accrescere smisuratamente i profitti delle miniere, conveniva fonderle tutte in una sola Compagnia gigantesca. L’uomo era Cecil Rhodes, il famoso Napoleone dell’Africa. Nell’assemblea del 31 marzo 1888 della Società De Beer’s, di cui egli era il direttore, il Rhodes espose il suo programma: comprare tutte le altre miniere e trasformare la De Beer’s, proprietaria di una sola miniera, nella De Beer’s Consolidated Mine, signora di tutti i diamanti del Capo.
Un anno dopo, lo scopo, nelle linee generali, era raggiunto. Sarebbe troppo lungo narrare tutte le peripezie attraverso le quali si riuscì ad unificare la produzione diamantifera: fu una guerra incruenta, in cui non mancarono le imboscate, i raggiri di Borsa e le manovre che la morale condanna come disoneste. La lotta fu viva specialmente colle due Società, la francese e la Central di Kimberley, che ottenevano profitti discreti e si apprestavano a resistere a colpi di ribasso nel prezzo dei diamanti contro le mire ambiziose ed assorbenti della De Beer’s. Rhodes le prevenne comprando tacitamente i loro titoli in Borsa e votando la fusione della Società colla De Beer’s appena ebbe un numero sufficiente di azioni per far prevalere la sua volontà nelle assemblee. L’acquisto delle altre miniere fu più facile, in quanto molte Società non distribuivano dividendi e furono ben liete di accettare le auree offerte del Rhodes. Dopo la fusione di tutte le miniere esistenti, si scoprì nel 1890 la nuova importante miniera di Wesselton; la De Beer’s s’affrettò a comprare anche questa.
Nel 1890 il processo di unificazione era compiuto; la De Beer’s avea comprato per 375.000.000 di lire, somma enorme, ma non sproporzionata ai benefizi ottenuti, il monopolio quasi assoluto di tutte le miniere del Capo. Una sola miniera importante, quella di Jagersfontein, situata nello Stato di Orange, non è stata assorbita dalla Compagnia monopolizzatrice. Ma siccome la Jagersfontein produce diamanti di qualità superiore, i quali non muovono concorrenza ai diamanti della De Beer’s, e siccome un accordo esiste fra le due Compagnie rispetto allo smercio, si può senza esitazione affermare che la De Beer’s regola a sua posta la produzione e l’offerta dei diamanti nel mondo intiero. Nove decimi della produzione diamantifera del mondo spettano alla De Beer’s. L’altro decimo è frazionato fra la Jagersfontein e le numerose miniere insignificanti estranee al monopolio.
La storia della formazione del monopolio è finita. Occorrerebbe ancora esaminarne il funzionamento e discutere l’importanza del caso del diamante rispetto alla organizzazione economica attuale. Si possono da questo caso ricavare delle induzioni rispetto al modo in che il mondo economico sarà regolato nel futuro? Cercheremo un’altra volta di risolvere, per quanto possibile, questi interessanti quesiti. E forse la presente indagine darà modo ad altri di valutare l’importanza dei numerosi casi consimili, i quali si sentono talvolta citare per provare che il mondo cammina verso una determinata meta piuttostochè verso un’altra.