Accentramento amministrativo e socialisti di stato
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 28/11/1913
Accentramento amministrativo e socialisti di stato
«L’Unità», 28 novembre 1913
I due articoli pubblicati da «Agricola» sull’Unità del 3 e del 10 ottobre sulla influenza malefica esercitata sui costumi elettorali e sul funzionamento giornaliero dell’istituto parlamentare dall’accentramento amministrativo, cioè dall’ingerenza della burocrazia statale asservita ai burocratici e ai politicanti di Roma in tutta la vita amministrativa locale e in una infinita quantità di affari privati, meriterebbero di essere seguiti da parecchi altri su lo stesso argomento. Perché questo della riforma della amministrazione statale e locale è uno dei problemi più gravi della vita italiana.
Nell’esame di esso apparirebbe sempre più grande il dissidio, che divide noi «unitari» da moltissimi socialisti ufficiali e non ufficiali: da quelli, cioè, che in fondo più che «socialisti democratici» non sono che veri e propri «socialisti di stato», cioè conservatori con velleità più o meno democratiche.
Costoro, confondendo la socializzazione con la statizzazione e la burocrazia con la democrazia, si immaginano che sia socialismo ogni maggiore accaparramento di funzioni economiche e amministrative per opera della burocrazia statale. E sono sempre pronti ad aumentare i congegni e le complicazioni dell’accentramento amministrativo e a intensificarne i risultati disastrosi.
Naturalmente, quando il sistema, di cui sono ammiratori e propugnatori, stride di più, allora anch’essi si mettono a urlare. Ma non potendo e non volendo colpire il male alla sua origine, sono costretti a ricercarlo altrove e quindi a non poterne additare il rimedio.
Una pagina dell’on. Turati.
Caratteristica è, a questo riguardo, la opinione dell’on. Turati. Il quale ha fatto nella Critica sociale del 10 febbraio passato una descrizione della nostra degenerazione amministrativa e parlamentare, di grande efficacia, a cui nulla c’è da aggiungere o da sottrarre.
«Certo è – egli scrive – che giammai come oggi fu comune il lamento e la constatazione dell’opera di corruzione esercitata – sia pure non, il più sovente, per calcolo turpe o fine di lucro – da ingerenze parlamentari, e di uomini pubblici e di affaristi di alto bordo, e sinanco di Ministri e di Sottosegretarii di Stato, nel senso di agevolare favoritismi, di deprecare doverose misure di rigore, e insomma di esautorare chi dovrebbe avere la responsabilità concreta della direzione dei servizii, con sovvertimento profondo della giustizia e della disciplina.
«Il concetto, ad esempio, che nulla possa ottenersi dal Governo, e dai suoi numerosi organismi esecutivi, senza autorevoli raccomandazioni, e che tutto possa ottenersi mercé di queste – sia pure concetto esagerato dalla credulità degli ignoranti e dalla speculazione dei ciarlatani – si è andato, anziché affievolendo, anzi avvalorando, è ciò non può essere senza cagione; e pone i parlamentari, anche i più onesti e i più rigidi, in una condizione praticamente difficilissima, dacché, per effetto di esso, il diniego di sollecitare cosa anche legittima in sé nell’interesse privato assume sempre apparenza, spesso sostanza, di vero diniego di giustizia, quando la raccomandazione è implorata sopratutto come difesa, tendente a ricondurre l’equilibrio delle influenze.
«D’altro canto, non è chi non intenda come la più onesta e misurata delle raccomandazioni, nell’intenzione di colui che la fa, non dipende affatto da lui che non vada oltre il segno della giustizia, dato un ambiente morale, pel quale l’Amministrazione coglie a volo ogni occasione di tentar di guadagnare ed avvincere ai padroni del momento l’uomo politico o l’uomo influente che ad essa si rivolge, e tanto più quanto ne è maggiore il valore e meno sospettata la probità. Noi potremmo, a questo proposito, citare, dalla nostra personale esperienza, aneddoti straordinariamente eloquenti e sintomatici, come indice dell’atmosfera morale dei Ministeri. Anche quando avvenga a un deputato, poniamo, non sospetto di facile coscienza, di reclamare al Governo contro cosa che gli sembri un abuso o una scorrettezza, o di fare ad esso presente la eventuale convenienza di un provvedimento, subordinatamente alla verificata sussistenza di determinate circostanze delle quali lo scrivente ebbe notizia dagli interessati e che egli, come si affretta a premettere, non può controllare; la risposta del Ministero, o sia per concedere o sia per negare, ha sempre il medesimo tono, che non è di chi abbia esaminato se un abuso esisteva da correggere, o se quelle date circostanze sussistevano o no che avrebbero giustificato il provvedimento; ma è sempre e soltanto espressione di compiacimento, oppure di rammarico, per avere o non avere potuto corrispondere, con un atto di favore speciale, alle vive premure del richiedente: un frasario decisamente offensivo per colui al quale è diretto, e tale da giustificare una vivace reazione, se per lo più non si preferisse attribuirlo, meglio che a un pensiero specifico e calcolato, al meccanicismo di un gergo stereotipato, che per altro non è perciò meno la rivelazione di una vera amoralità amministrativa, tanto più grave e profonda, quanto più inavvertita».
Ma allorché doveva spiegare le cause di questa progrediente putrefazione, l’on. Turati non seppe far di meglio che avvolgersi in circoli viziosi (l’esser venuto meno il controllo dei deputati d’Estrema Sinistra: che è viceversa la conseguenza dell’asservimento dei deputati dell’Estrema sinistra agli interessi particolari degli elettori, e delle collusioni determinatesi perciò fra deputati e burocrazia); oppure ricorre a spiegazioni evidentemente inadeguate al fenomeno di cui pur conosce chiaramente la estensione e la gravità.
«È impressione ormai generale – egli scrive – in chi vive sopratutto la vita della capitale, che l’antico tipo dell’impiegato italiano, magari “piemontese”, povero (e anche corto e pigro sovente) ma onesto quasi sempre, non costituisca più, come un tempo, la regola – che la unificazione o il livellamento delle varie regioni del paese, nei rapporti del costume amministrativo, sia avvenuto nel senso del costume peggiore – e che il rilassamento morale sia a dismisura aumentato coll’avvento dei governi cosidetti più “democratici”, coi quali la tradizione di decorosa rigidezza, che, a malgrado di taluni episodii di consorterie denunziate, dominava i governi della vecchia ed ispida Destra, venne definitivamente rinnegata e sepolta. La qual cosa non diciamo che debba suonare condanna per lo spirito (se esistesse) di una vera e sana democrazia, sia perché questa, sopratutto nella vita degli Uffici, non sappiamo quanto sia penetrata, sia perché alla spiegazione del fatto lamentato molte cagioni concorrono; quali sono il rapido e tumultuario sviluppo di tanti pubblici servizii, l’immigrazione nei pubblici impieghi di una folla di gente nova, venuta dallo sgretolarsi della piccola corrotta borghesia delle regioni meno industrialmente progredite, il rincaro della vita troppo lentamente seguito dai miglioramenti della carriera, ecc. ecc.».
E certo la meridionalizzazione della media e bassa burocrazia statale, accentratasi in quest’ultimo decennio, deve avere contribuito non poco alla demoralizzazione universale. Ed è divertente il vedere questa osservazione fatta da quello stesso on. Turati, che ha voluto sempre ignorare l’esistenza di un’Italia meridionale, tutto soddisfatto dei progressi della Piazza del Duomo di Milano, ed ecco che l’Italia meridionale se la trova continuamente fra i piedi nella stessa Milano, sia sotto forma di Trani e Barletta in tutte le osterie proletarie, sia sotto forma di piccoli borghesi non sempre puliti, in tutti gli uffici pubblici nei quali c’è poco da lavorare e meno da mangiare.
… e una pagina di Petruccelli della Gattina.
Ma se l’on. Turati si desse la pena di leggere il volume che Marco Minghetti stampava nel 1882 su «I partiti politici e la loro ingerenza nell’amministrazione», o se leggesse i discorsi che Silvio Spaventa fece fra il 1877 e il 1880 contro il malgoverno della Sinistra (S. Spaventa, La politica della Destra, scritti e discorsi raccolti da B. Croce, Bari, Laterza, 1910), si avvedrebbe ben presto che gli stessi guai, che egli attribuisce oggi alla burocrazia meridionalizzata, erano deplorati altamente più che trenta anni or sono.
E può risalire anche più in là. Troverà qualcosa di assai simile a quanto egli ha scritto nel 1913, nei Moribondi di Palazzo Carignano, che Petruccelli della Gattina pubblicava nel 1862, cioè quando i pubblici uffici erano ancora monopolio quasi assoluto delle «razze superiori».
Ecco, a titolo di curiosità, la gustosissima pagina del Petruccelli, nel testo che Giustino Fortunato ne ha or ora ripubblicato per tipi del Laterza (pag. 8 e seg.). È un deputato, che racconta le sue tribolazioni:
«Il barone Coletti, in casa del quale io passai, tredici anni fa, essendo in viaggio, una notte, si ricorda di me e mi chiede gli faccia ottenere il posto di Maggiordomo di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, il re riparatore. Il signor barone occupava lo stesso posto alla Corte del sovrano detronizzato! Gli rispondo che re Vittorio è un gran borghese, il quale non ha di queste cariche nella sua Corte. L’amico barone replica che io sono un ignorante e un ingrato…
«Il signor parroco mi chiede una sovvenzione per il campanile del villaggio, che non gli pare così finito come quello della cattedrale di Milano… Il signor mio compare mi prega di sollecitare presso i ministri alcune istanze, che egli si diede la pena d’indirizzar loro. Il mio compare fu ritenuto per ventiquattr’ore al Corpo di Guardia, nel 1848; e dal ’60 egli si reputa furiosamente martire. E poiché ha ritenuto e ritiene di avere ogni specie di capacità, ha domandato al guardasigilli un posto di consigliere alla Corte di Cassazione, al ministro dell’interno un posto di consigliere di Stato, al Ricasoli di andar prefetto, al Bastogi di essere direttore generale, al De Sanctis, infine, una cattedra universitaria per insegnarvi il dialetto del suo e mio paese, che egli ritiene sia una lingua primitiva. Rispondo al compare che le sue domande sono tutte modestissime e perfettamente legittime, ma che, per il momento, non vacano posti. Il compare replica che io non ho mente né cuore, che essendo un soddisfatto, non mi curo più de’ martiri… E non ve ne è una, una sola, che non finisca col darci l’onorevole incarico di pitoccare qualche cosa da’ signori ministri! Il deputato è il domestico, la serva de’ signori elettori…
Pure, essendovi sempre fra tante avidità qualche ragionevole doglianza, qualche torto da far riparare, terminata l’estenuante bisogna degli Uffici, eccomi in giro per i Ministeri. I colleghi, le persone indifferenti che mi veggono entrare in quelle anticamere, mi guardano in modo significativo: sono di Sinistra, e il mormorio che si leva vuol dire: non ve lo dicevo io? egli emigra!.. Il ministro, dal canto suo, mi riceve con un sorriso fine e sarcastico su le labbra. cortese, troppo cortese; mi fa degli elogi, che hanno l’aria d’un rimprovero, avendolo io il giorno prima attaccato a fondo. Egli si mostra dispostissimo a darmi soddisfazione. Non è possibile essere più amabile, più semplice, più insinuante, più adulatore. Giustifica perfino i miei attacchi dei giorni innanzi…. Un uomo forte è in guardia contro queste trappole di perfida cortesia, e non si lascia prendere all’amo. Ma gli uomini forti son essi numerosi? Ecco qui un buon borghese, piovuto diritto dal fondo dalla Calabria o della Sicilia, un povero diavolo, che ha sempre considerato un ministro come un essere sovrano. Or mettete cotesto sere negli artigli d’un ministro scaltro, del Peruzzi, per esempio.
Il ministro lo volgerà, lo rivolgerà, lo ammalierà, quel preteso deputato di estrema sinistra; e questi tornerà via dalla visita abbacinato, cangiato, mistificato, dicendo dentro di sé, in coscienza: – non son poi così tristi, questi signori! – E nulla dico come debba sentirsi rimescolato un deputato, questo povero Adamo sotto l’albero della scienza!, se ha il padre, il fratello, un parente qualsiasi cui s’interessi e il quale si trovi preso nel vischio del budget… Il ministro lo sa: anzi, egli ha la feroce voluttà di chiedergliene conto, sebbene non l’abbia mai visto, e d’informarsi se è contento del suo destino. Il malcapitato deputato della opposizione, che rumina per l’appunto un prossimo discorso contro il ministro, preferirebbe addirittura di essere al posto di San Lorenzo su la graticola… Or in tutta la Camera non sono venti deputati, i quali non abbiano, direttamente o indirettamente, per mezzo de’ loro familiari, un punto di contatto col bilancio dello Stato. Un ministro abile, che sapesse il suo Guizot a menadito, darebbe all’Europa il singolare spettacolo di un Parlamento senza opposizione, proprio come quello di Francia, ovvero sgraverebbe il bilancio di parecchi milioni, bastandogli dire: – Signor deputato, Ella è uomo indipendente, perché siede alla Sinistra; ora, poiché il pubblico malevolo potrebbe sospettare del disinteresse di Sua Signoria, io Le vengo in aiuto: Ella è funzionario, Suo padre è magistrato, Suo fratello è prefetto: io colloco tutt’e tre in disponibilità. – Eh!, credete voi che gli eroi pioverebbero su’ banchi della Sinistra, sotto la minaccia d’un discorso così eloquente?… Ebbene, né i parenti né gli amici né gli elettori si curano di tutto ciò. Essi desiderano, non uno eccettuato, un deputato libero, indipendente…. che chiegga e ottenga de’ piccoli servigi da’ ministri, e faccia tutti i loro affari! Ignorano sotto a qual fuoco incrociato, ogni giorno, essi mettono il povero deputato con le quindici o venti lettere, che gli capitano da tutti gli angoli d’Italia…».
Petruccelli della Gattina, come si vede, presentì fino dal 1862 il «Parlamento senza opposizione» dell’on. Giolitti. Se il riformismo nostrano non fosse stato ancora in mente Dei, avrebbe forse presentito anche il «Parlamento con la opposizione per burla», assai più comoda per il «ministro abile» che non sia la evidente mancanza di opposizione. E anche di questa forma ultraperfezionata di degenerazione parlamentare avrebbe indicata la vera origine nell’accentramento amministrativo, e nei legami di mutuo favoreggiamento che sul terreno dell’accentramento amministrativo non possono non svilupparsi fra ministri, burocratici, elettori e deputati…. anche socialisti.