Aiutare i fratelli!
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/02/1919
Aiutare i fratelli!
«Energie Nove», 1-28 febbraio 1919, pp. 97-99
Ora che la guerra è finita e la concorrenza estera ricomincerà a farsi sentire timidamente dapprima e via via poscia con maggiore intensità, è facile prevedere che alle grida ripetute nei giornali intorno alla necessità ed all’urgenza di importare, di importare largamente dall’estero alimenti, combustibili, materie prime, torneranno a subentrare voci le quali reclameranno la chiusura delle frontiere alle merci straniere concorrenti combattenti reduci, impedire la disoccupazione. Che patriotta è costui che per una piccola differenza di prezzo o una forse immaginaria eccellenza di qualità preferisce il produttore straniero al vicino connazionale? La sua condotta non è paragonabile forse a quella di colui che, noverando in casa un fratello esperto ingegnere od abile sarto, si facesse fare progetti ed abiti da un qualunque estraneo? La voce del sangue, il dovere non comandano invece di dar guadagno, prima che ad altri, a chi è congiunto, amico o compatriota?
Tale, in breve, l’argomento sentimentale della preferenza da darsi ai prodotti nazionali sui forestieri, anche a costo di qualche piccolo sacrificio personale. È sempre utile esaminarne criticamente il valore, poiché esso è atto ad esercitare una grande influenza nel determinare la legislazione doganale e tributaria del paese e per riflesso le condizioni di vita della popolazione. Se quell’argomento dovesse avere soltanto virtù di persuasione, potrebbe fruttare danni o vantaggi; ma sarebbero ad ogni modo procacciati volontariamente da chi lo ritenne valido e si decise ad agire in base ad esso. Ben più grave è invece il caso, quando l’argomento è usato per imporre altrui, colla forza della legge, una data linea di condotta. Non bastano più le considerazioni sentimentali; fa d’uopo od almeno io ritengo faccia d’uopo dimostrare che con quella condotta forzata si reca un vantaggio economico a qualcuno, superiore al danno cagionato ad altri; o che, se il danno economico prevale nel vantaggio pure economico, esso è controbilanciato o sorpassato da qualche vantaggio politico o militare o di altra indole.
Sembra difficile dimostrare che il consumatore abbia un vantaggio economico nel comprare, a parità di qualità, a più caro prezzo un prodotto nazionale invece di un prodotto estero. Se questo è scadente od è più caro, ragion vuole si compri quello italiano, Ma a parità di qualità è difficile persuadere Tizio a pagare 150 l’aratro nazionale mentre potrebbe acquistare l’aratro estero a 100 lire. Le 50 lire risparmiate in questa seconda alternativa sono un fatto indiscutibile. È, economicamente, meglio per Tizio possedere un aratro e 50 lire, piuttostoché l’aratro soltanto.
Passiamo dall’altra parte: il produttore di aratri. Sarebbe il fratello che deve essere aiutato dal contadino, anche a costo di spendere 50, o 20, o 10 lire di più. Il punto è alquanto più complicato.
Parlasi di fratelli. Ma, di solito, chi aiuta è il fratello più avanti negli anni, il quale si è fatto già una posizione od ha una sostanza. Difficilmente sarebbe approvato il consiglio dato al fratello minore, esordiente o di mezzi modesti, d’impiegare i suoi primi o scarsi guadagni nell’andare a comprare il cappello di lusso nella bottega del fratello piuttostoché il cappello ordinario in quella popolare di un altro negoziante. Lo stesso fratello, se ragionevole, lo redarguirebbe per la sua condotta imprevidente. Non diversi sono i rapporti tra contadino e fabbricante di aratri. Nove volte su dieci il più bisognoso dei due è il contadino. In un paese di piccola proprietà, come l’Italia, è probabilissimo che il contadino sia di fortuna più ristretta del fabbricante di aratri; sicché poco si vede la ragione morale di fargli cavare di tasca 50 lire in aiuto del fratello più dovizioso.
Ammettiamo pure l’ipotesi inversa: che l’aiuto sia dato al fratello esordiente o meno provveduto. La morale e l’economia consigliano concordemente a dare l’aiuto in modo fecondo e vantaggioso alla lunga a chi lo riceve. Deprecasi l’elemosina, perché al vantaggio momentaneo del povero congiunge l’avvilimento, l’invito all’ozio, la propaganda per l’infingardaggine ed il disamore al lavoro. Vuolsi che l’elemosina sia fatta a chi è invalido e malato, non al sano capace di lavorare. Lo stesso criterio si deve applicare all’aiuto porto al fratello industriale. Pagare 150 lire invece di 100 lire un aratro reca subito vantaggio al produttore. È ciò che si vede di Federico Bastiat. Ma vi è l’altra faccia della medaglia, quel che non si vede. Ricevere un prezzo buono è piacevole; è assai dubbio se sia salutare. Abitua alle abitudini facili, trasandate. Le invenzioni industriali, i progressi tecnici, sono quasi sempre compiuti sotto la spinta della necessità. È il prezzo basso, apparentemente non remuneratore, che aguzza l’ingegno e fa prosperare sul serio le imprese economiche. Quando i prezzi sono remuneratori, ogni poltrone può trasformarsi in fabbricante. Quanta gente di nessun conto prosperò durante la guerra, perché il governo su dapprima costretto e continuò poi a ritenersi obbligato a non lesinare sui prezzi? Ed è davvero vantaggiosa questa fortuna degli inetti? Quest’idea dell’aiutare i fratelli è forse una delle più perniciose che si possano immaginare. Dove è il limite all’aiuto? Perché si deve aiutare chi sa produrre l’aratro a 120 lire e non colui che è capace a metterlo sul mercato solo a 150 lire? E perché non giungere più in su? Non sono forse anche fratelli nostri coloro i quali lottano contro una incapacità maggiore propria a costi più alti di produzione? Ecco che l’idea dell’aiutare i fratelli equivale all’altra di aiutare coloro i quali lavorano a costi alti. Condotta più dissennata, più antieconomica, più immorale non si dà. Premiare gli infingardi a danno dei solerti, ecco il succo di questa politica.
Il vero aiuto ai fratelli nostri italiani lo daremo spalancando le porte alla concorrenza estera. Sotto il pungolo di questa, i fratelli dovranno aguzzar l’ingegno e cercar di produrre a basso costo. L’ingegno, che gli italiani hanno in abbondanza, lo impiegheranno non per sopraffarsi nelle lotte politiche e quindi strappare, colla vittoria, regali a chi non sa farsi valere, ma nell’istruirsi tecnicamente e nel diventare capaci di produrre meglio e a prezzo più basso degli stranieri. Alla lunga, l’industria fiorente e viva di vita propria sarà il frutto di tale politica corroboratrice dell’aria aperta. I migliori educatori dei figli non sono i genitori indulgenti, bensì quelli irremovibili e severi.
Economicamente, se si vuole fare il bene dei fratelli non bisogna corromperli con doni. L’aiuto reca, insieme con un vantaggio momentaneo, un danno permanente. Vi è qualche vantaggio politico o militare il quale controbilanci il danno economico? Qui l’economista si ritira e lascia la parola ai politici ed ai tecnici militari. Può darsi che in certi casi sia necessario produrre in Italia a più alto costo cose che si potrebbero comprare all’estero a migliori condizioni. Fucili, cannoni, munizioni, spesso si trovano in questa categoria. Altri prodotti, per ragioni particolari, in dati momenti possono entrare nel novero. Fa d’uopo allora aiutare il fratello nostro pagandogli 150 ciò che potremmo acquistare all’estero a 100.
L’economista osserva soltanto: sia ben chiara la ragione politica o militare del cattivo affare economico. Dinanzi alla salvezza del paese non si discute. Nonché 150, pagheremo anche 500 o 1000 il prodotto, se per essere sicuri di averlo nel momento del bisogno, fosse necessario produrlo nel paese. Ma sia chiaro che, così operando, subiamo un sacrificio. Non si intorbidi l’esatta visione del problema, tentando di farci credere che, pagando 150, noi aiutiamo la industria nazionale o facciamo cosa economicamente giovevole. Quando si adoperano questi argomenti cattivi nasce il dubbio che non sia fondata neppure la ragione politica o militare. Noi non arrechiamo vantaggio all’economia nazionale; anzi, consapevolmente impieghiamo male, ad alti costi e con scarsi rendimenti, il capitale ed il lavoro paesani. Lo facciamo perché così comanda un interesse o una necessità di difesa politica o militare; ma non giova nascondere la verità del fatto tentando di far credere ad inesistenti vantaggi morali ed economici della nostra azione. Chi vuol nascondere così la verità probabilmente vuole anche difendere una cattiva politica o procacciarle consenso facendo credere che essa costa poco od è redditizia. Noi non vogliamo saperne di questa politica volgare. Noi sappiamo che la politica buona, che procaccia benessere e potenza al paese, difficilmente costa poco,ancor più difficilmente è redditizia fin dal primo momento. Sappiamo chele cose grandi non si compiono senza sacrificio. Vogliamo sapere quale è il sacrificio per valutare esattamente le nostre forze e mirare a mete le quali siano commisurate alle nostre forze.