Opera Omnia Luigi Einaudi

Analisi della esposizione finanziaria del ministro del Tesoro

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1945

Analisi della esposizione finanziaria del ministro del Tesoro

Roma, Istituto poligrafico dello stato, 1945

 

 

 

I dati (riportati al 10 dicembre 1944) dalla esposizione finanziaria, per l’esercizio 1944-45, compiuta dal Ministro del tesoro il 29 settembre 1944, non debbono essere assunti in blocco. Per valutarne la portata, noi dobbiamo scomporli nei loro elementi essenziali.

 

 

In primo luogo vi è il bilancio delle spese ordinarie, di quelle che possono essere dette le spese del tempo di pace. Riportiamole distinte per ministero, affinché si veda che esse riguardano tutte le branche della pubblica amministrazione (in milioni di lire):

 

 

Tesoro (1)

13.960 –

Finanze

1.162 –

Grazia e giustizia

796,6

Affari esteri

238,1

Africa italiana

80,1

Pubblica istruzione

2.513,4

Interno (2)

2.241,7

Lavori pubblici

1.469,1

Comunicazioni

251,2

Guerra

3.981,7

Marina

3.455,3

Aeronautica

2.332,1

Agricoltura e foreste

937 –

Industria, commercio e lavoro

239,9

TOTALE

33.658,2

ENTRATE

12.938,3

Disavanzo nel bilancio ordinario

20.719,9

(1) Di cui per interessi di debiti 11.991,1.

(2) Di cui per la Pubblica Sicurezza 1.123.

 

 

 

La soluzione del problema del disavanzo nel bilancio ordinario, non deve essere cercata in provvedimenti straordinari. Il disavanzo è dovuto a due cause. In primo luogo la rottura dell’unità dello stato, la quale fa gravare tutte le spese su una parte sola del territorio nazionale e riduce invece le entrate a quelle della parte meno ricca del territorio medesimo. In secondo luogo la disorganizzazione della macchina tributaria nelle attuali contingenze di guerra, la quale fa sì che il gettito delle imposte sia inferiore, anche nell’Italia liberata, a quello che sarebbe normale. La liberazione definitiva della patria e la messa in moto anche solo della ordinaria amministrazione finanziaria, bastano da sole a colmare questa parte del disavanzo. Il gettito delle imposte e tasse tendeva già, innanzi alla guerra, al limite dei 40 miliardi, e sarebbe sufficiente alle esigenze del bilancio ordinario, anche nell’ipotesi, non verosimile, che le spese militari rimangano nel dopoguerra dell’ordine dei 9.769,1 milioni di lire. Sarebbe sufficiente, si intende, fatta l’ipotesi che lo stato non assumesse nuove funzioni. Siccome l’ipotesi non corrisponde alla realtà probabile, farà d’uopo provvedere nuove entrate ai nuovi compiti. Siffatta provvista sarà compito dei giovani e dei parlamenti i quali, dopo la liberazione compiuta dell’Italia, dovranno tracciare le linee dell’ordinamento sociale ed economico del nostro paese.

 

 

Il vero problema urgente non è dunque quello del bilancio ordinario, sì invece quello delle spese dovute alle presenti circostanze belliche, o meglio, di transizione dalla guerra alla normalità. Per averne una impressione chiara, importa analizzare le cifre, distinguendo le spese in quelle che sono riproducibili, le quali cioè si perpetuerebbero di anno in anno se non fossero tagliate alla radice, e nelle altre che si presentano una tantum, perché non hanno in se ragione di ripetersi negli anni successivi. Per non ingombrare eccessivamente l’esposizione, ci si limita, per queste ultime, alle spese singolari le quali raggiungono il miliardo, raggruppando tutte le altre in una sola cifra (in milioni di lire):

 

 

Spese straordinarie non riproducibili

 

 

Previste in bilancio

Maggiori assegnazioni a farsi entro il 30-6-1945

Ulteriori spese previste

TOTALE

Sovvenzione alle ferrovie dello stato

5.281,6

1.380

4.000

10.661,6

Assegnazioni per fronteggiare i disavanzi economici degli enti locali

1.250 –

1.250

—

2.500 –

Spese per le forze armate alleate

1.000 –

—

vari miliardi

1.000 –

Spese per l’esercito dipendenti dalla guerra

10.087 –

10.000

—

20.087 –

Spese eccezionali della marina militare dipendenti dalla guerra

3.206 –

1.000

—

4.206 –

Soccorsi giornalieri alle famiglie dei militari alle armi e spese relative

4.360 –

4.000

—

8.360 –

Rimpatrio dei prigionieri di guerra

—

—

30.000

30.000 –

Integrazione prezzo dei cereali per le campagne1942 e 1943 (su 5.000)

—

3.000

—

3.000 –

Riparazioni urgenti di danni bellici ad opere pubbliche ed a fabbricati privati

2.658,4

2.000

—

4.658,4

Varie

6.129,6

4.810

—

10.939,6

 

33.972,6

27.440

34.000

95.412,6

 

 

La prima categoria si considera non riproducibile perché dipende da una situazione transeunte: distruzione degli impianti ferroviari, utilizzazione da parte delle forze armate, tariffe insufficienti a coprire i costi, personale esuberante. L’azienda ferroviaria ha in se stessa elementi di ripresa, tali da far giudicare possibile il ritorno al pareggio, almeno a quel pareggio che si considerava tale prima del 1940, e che non teneva conto di parte degli interessi del debito ferroviario, i quali erano già posti a carico del tesoro.

 

 

Il disavanzo degli enti locali è dovuto anch’esso a cause transitorie, le quali hanno incrementato le spese e ridotte le entrate. Per quella parte che fosse permanente, ci si dovrà provvedere con la riforma dei tributi locali compiuta tenendo conto delle funzioni le quali saranno attribuite ai comuni ed alle provincie o regioni.

 

 

Le altre spese sono evidentemente transitorie. Alcune delle appostazioni, specie quelle per il risarcimento dei danni di guerra, dovranno essere largamente aumentate. In un ciclo da cinque a dieci anni, si deve prevedere una spesa di gran lunga superiore ai 95 miliardi, calcolati per l’esercizio presente e per il prossimo futuro. Qualunque esso sia, dovrà essere ripartita, secondo un piano prestabilito, su una congrua serie di anni.

 

 

Spese straordinarie riproducibili

 

 

Previste in bilancio

Maggiori assegnazioni a farsi entro il 30-6-1945

Ulteriori spese previste

TOTALE

Differenza per il prezzo politico del pane

5.000

10.000

[15.000]

30.000

Differenza di prezzo delle derrate alimentari importate dagli alleati

400

—

—

400

Differenza di prezzo di prodotti alimentari

200

—

—

200

 

5.600

10.000

[15.000]

30.600

Miglioramenti economici recentemente concessi al personale con decorrenza dal 16-8-1944

—

8.000

[8.000]

16.000

Miglioramenti ai pensionati

—

1.000

[1.000]

2.000

Spese per la pubblica sicurezza specialmente determinate dal forte aumento della razione viveri

—

500

—

500

Contributi agli enti comunali di assistenza

—

240

—

240

Aumento assegni familiari ad operai richiamati

—

200

—

200

Contributo per le pensioni operaie

—

500

—

500

 

5.600

20.440

[24.000]

50.040

 

 

Per non lasciar dubbi intorno alla composizione della categoria delle spese straordinarie riproducibili, si è preferito elencarle tutte. Si fa notare che le cifre scritte fra parentesi sono state aggiunte per tener conto della estensione del prezzo politico del pane alle provincie dell’Italia occupata dal nemico e del gravame conseguente all’estensione dei miglioramenti economici al personale della medesima parte dell’Italia.

 

 

Il significato delle tre tabelle, inclusa cioè quella relativa al bilancio ordinario, è chiaro:

 

 

La prima tabella ci dice, ripetesi, che il bilancio ordinario non può destare preoccupazioni soverchie. Esistono, entro i limiti del sistema tributario esistente, margini sufficienti a coprire in avvenire, come in passato, le spese ordinarie. Il miglioramento e la semplificazione del congegno esistente potranno crescere le entrate, non certo diminuirle.

 

 

Le entrate ordinarie dovranno, col ritorno di una relativa normalità, e con una coraggiosa riforma tributaria, essere fortemente aumentate. Invece di 40 miliardi dovranno essere portate gradatamente a 60 miliardi e poi a somme maggiori, che qui sarebbe prematuro definire; ma non allo scopo di far fronte alle spese della ricostruzione, che sono spese in conto capitale, bensì alle crescenti spese ordinarie correnti, e principalmente alle spese di ordine sociale (assicurazioni sociali, pensioni di vecchiaia, maternità e infanzia, istruzione gratuita nelle scuole di ogni ordine accessibile a tutti i meritevoli, ecc. ecc.).

 

 

La tabella delle spese straordinarie non riproducibili ci presenta invece un problema che èsovratutto di credito pubblico. Nessuna persona ragionevole può pretendere che le entrate ordinarie, che sono esclusivamente quelle delle imposte, debbano e possano provvedere a fronteggiare queste spese che sono oggi in massima parte di guerra e saranno domani sovratutto di ricostruzione. Le spese straordinarie sono spese in conto capitale e razionalmente vi si può e deve far fronte ricorrendo al credito. Naturalmente, per ottenere credito, bisogna meritarlo e perciò sapere e voler mettere la propria casa in ordine. La casa non è in ordine, per quanto ha tratto alle spese straordinarie di cui si discorre, quando le ferrovie, le poste e telegrafi e gli altri servizi pubblici non coprono le spese. Occorrerà provvedere a tutto ciò, restaurando gli impianti ed il materiale rotabile, riducendo il personale al numero necessario e crescendo le tariffe sino alla copertura del costo, che non sarà del resto mai il costo completo, gran parte degli interessi del debito ferroviario vecchio facendo carico al tesoro.

 

 

La casa non è in ordine, quando i bilanci degli enti locali richieggono sussidi fortissimi per far fronte alle spese più elementari. Queste debbono gravare sulle imposte locali. In avvenire lo stato potrà intervenire in aiuto dei comuni e delle regioni meno progredite, ma ciò in base ad un consapevole programma di promovimento di feconde iniziative locali. Per ora si tratta di disavanzi ordinarissimi da eliminare.

 

 

Il risparmio nazionale ed i prestiti esteri daranno certamente allo stato somme sui 30-50 miliardi di lire all’anno, purché i risparmiatori nazionali ed esteri siano persuasi che lo stato merita credito. Un piano di liquidazione delle spese di guerra e di ricostruzione (per la parte facente carico allo stato) che si fondasse su una previsione di spesa di 30-50 miliardi di lire all’anno per un decennio potrebbe essere attuato e metterebbe il paese in grado in un decennio e forse prima di prendere degno posto nella gara internazionale. Ma all’uopo condizione indispensabile è di potere fare prestiti interni ed esteri per altrettanta somma. Se prima del 1914 il risparmio nazionale era calcolato in 2 miliardi di lire vecchie, non è fuor luogo supporre che il risparmio medesimo possa, chiusa la guerra e ritornato il popolo alle opere di pace, giungere a cifre da trenta a cinquanta volte quelle che erano considerate trent’anni fa normali. Un confronto, anche prudente tra i diversi poteri di acquisto della lira consente fondatamente la posizione.

 

 

Riuscire o non riuscire nella grande impresa, dipende in primissimo luogo dalla soluzione che sapremo dare al problema posto dalle spese straordinarie riproducibili. A differenza di quelle non riproducibili, alle quali si può e si deve far fronte mettendo la casa in ordine (ferrovie, poste e telegrafi, servizi pubblici, bilanci locali) e ricorrendo al credito per la liquidazione delle spese di guerra e per fronteggiare quelle di ricostruzione, alle spese riproducibili non si può far fronte col ricorso al credito. Gli usurai imprestano denari ai figliuoli prodighi a babbo morto, se e perché sanno che la eredità del padre pagherà. L’Italia non ha eredità in aspettativa, su cui trarre cambiali a babbo morto. I detentori di somme liquide disponibili ed i risparmiatori sanno che lo stato spende oggi 18 miliardi di lire all’anno e domani, ad Italia riunita, spenderà 30 miliardi per vendere il pane sottocosto. Questa è una spesa a fondo perduto senza speranza alcuna di ricupero. Tutti sono pronti a riconoscere che bisogna spendere quel che si deve per chiudere la guerra il meglio che si potrà e per ricostruire l’attrezzatura economica del paese. Si sa che senza questa premessa il paese non potrà risollevarsi, e le spese fatte all’uopo si considerano fruttuose. Il paese che le fa non nuoce, ma giova al suo credito, e facilita la via ai grandi prestiti nazionali ed esteri di ricostruzione.

 

 

Ma la spesa fatta per vendere il pane ed ogni altra cosa sotto costo scredita lo stato ed impaurisce i detentori di capitali liquidi. Potremo e dovremo avocare allo stato quella parte dei detti capitali che deriva dai mali e dagli eccezionali guadagni; ma saranno sempre entrate ottenute una volta tanto, ottime per colmare una parte delle spese eccezionali della liquidazione della guerra, insufficienti e vanissime per fronteggiare spese ogni anno ripetute. Il più dei risparmi e dei fondi liquidi bisognerà ottenerlo con prestiti volontari; e questi non saranno sottoscritti se non si darà prima la dimostrazione tangibile della capacità ad eliminare le spese che non hanno alcuna contropartita ricostruttiva.

 

 

La principale, praticamente, la sola importante, è quella del prezzo politico del pane. Le altre spese tutte devono essere rivedute e contenute. Questa deve essere abolita. Nella tabella terza questa spesa fu messa al primo piano e si indicò una sottosomma di essa, per separarla dalle spese sottostanti, anch’esse riproducibili, ma di indole differente.

 

 

La perdita sul pane è la causa; le spese sottostanti, ossia quelle per miglioramenti economici agli impiegati ed ai pensionati, sono la conseguenza. Si perdono miliardi sul pane; epperciò si stampano biglietti; quindi cresce il costo della vita; dunque bisogna crescere le paghe; ed ancora cresce il disavanzo del bilancio pubblico; e di nuovo bisogna stampare biglietti. È un circolo senza fine, in fondo al quale sta l’abisso. Nell’esercizio 1944-45 il ministro del tesoro, prevede per questa parte, una spesa di 5.600+20.440, totale 26 miliardi nella sola Italia liberata. Ad Italia riunita la spesa (ossia il vuoto di cassa, colmabile unicamente con biglietti) salirà a 50 miliardi. Ma, se non si mette riparo subito al male andazzo, nel 1945-46 saranno 100 miliardi, e non finiremo l’anno, perché fatalmente si inizierà lo scivolio lungo la china, in fondo alla quale è il disastro, è l’annullamento della lira. Chi non vuole il disastro, deve volere attuare subito il rimedio.

 

 

A voler guardare al solo grano, è facile prevedere che se non si ferma il torchio dei biglietti, gli agricoltori che già oggi non sono contenti delle 1.000 lire al quintale, domani chiederanno 2.000 e poi 3.000 lire. Parlare di disavanzi di 60 e poi 90 e poi 120 miliardi per la sola perdita sul pane, non è affatto esagerato.

 

 

Il sussidio di caro-pane che lo stato darà ai suoi impiegati e pensionati, ed i datori di lavoro ai lavoratori non è atto a produrre effetti tanto disastrosi: 1) perché esso risulterà in somma notevolmente minore, applicandosi a classi meno numerose di quelle le quali fruiscono del prezzo politico; 2) perché in parte esso andrà a carico dei margini già esistenti fra i costi di produzione ed i prezzi di tutti gli altri beni e servigi; 3) perché esso non provocherà senz’altro la stampa di nuovi biglietti, ma sarà pagato con la massa dei biglietti già emessi.

 

 

La perdita per il prezzo politico del pane è una spesa la quale deve essere considerata nell’ordine logico delle spese statali necessarie come susseguente a quelle ordinarie ed a quelle straordinarie non riproducibili.

 

 

Queste non possono non essere erogate, perché altrimenti qual cosa verrebbe meno al funzionamento della macchina statale. Ad esse si deve provvedere con le imposte o con prestiti, senza provocare quindi inflazione monetaria. Sono le ultime spese, di cui si può fare a meno, quelle che costringono a ricorrere al torchio dei biglietti. Ossia sono la perdita sul pane ed i conseguenti miglioramenti agli impiegati e pensionati che sono la conseguenza dell’inflazione monetaria.

 

 

Ci troviamo ora nuovamente dinnanzi al problema che l’Italia dovette regolare alla fine del 1920, quando il prezzo politico del pane costava 500 milioni al mese all’erario e costringeva a fabbricare altrettanti biglietti. Anche allora si paventava il finimondo. L’on. Giolitti, presidente del Consiglio e l’on. Soleri, ministro per gli approvvigionamenti, presero il toro per le corna e con lunga battaglia indussero la Camera a votare l’abolizione del prezzo politico del pane. La storia non si ripete; ma sia ricordato che la legge del 21 febbraio 1921 fu accolta in piena tranquillità dagli italiani. La fortuna arride a coloro che osano. Il governo di quel tempo osò; e il bilancio fu salvo. I fascisti dissero poi che essi avevano salvato il bilancio dello stato. Falso. Il bilancio fu consegnato il 28 ottobre 1922 dal vecchio al nuovo regime in pareggio. Restavano da liquidare solo le partite corrispondenti a quelle descritte qui sopra nella tabella delle spese non riproducibili. Queste spese non sono disavanzo del bilancio corrente. Sono oggi, come erano ieri, spese da liquidare per mezzo del credito. Sia ancor detto una volta, che il credito giustamente si ha solo da chi sa meritarlo. E sia detto esser vano chiedere crediti agli Stati Uniti ed alla Svizzera, i soli due paesi in grado di fornirli, se non metteremo prima la nostra casa in ordine.

 

 

Americani e svizzeri ci daranno tutti i crediti di cui avremo realmente bisogno se sapremo meritarceli. Essi stanno cogli occhi aperti a guardare quel che sapremo fare, e si regoleranno in rapporto alla nostra condotta. Se non sapremo iniziare noi la messa in ordine della nostra casa, non ci daranno un soldo. La sentenza è purtroppo già data: ci lasceranno bollire nel nostro brodo. Se sapremo dar prova di sanità finanziaria, verranno essi ad offrirci prestiti e faremo noi i patti.

 

 

Sovratutto coloro i quali ambiscono legare e giustamente il loro nome alla ricostruzione ed al rinnovamento dell’Italia devono dunque essere decisi fautori di una politica di risanamento del bilancio e di freno all’aumento della circolazione. Solo questa politica consentirà invero l’emissione dei colossali prestiti interni ed esteri necessari all’opera grandiosa della ricostruzione. Ogni altra politica è sinonimo di ignavia e di stasi; è aperta dichiarazione di incapacità assoluta a trarci dalla miseranda situazione odierna.

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