Il chinino di stato
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 14/09/1909
Il chinino di stato
«Corriere della Sera», 14 e 28[1] settembre 1909
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 762-768
I
Sorta fra diffidenze non lievi ed osteggiata da alcuni interessi che si reputavano lesi, l’azienda del chinino di stato si è in pochi anni magnificamente affermata. L’ultima relazione, da poco pubblicata, sull’esercizio finanziario 1907-908 è tutta una dimostrazione di splendidi risultati raggiunti. In quell’anno i redditi dell’azienda salirono a 2.011.101 lire, quasi in tutto dati dalla vendita del chinino. Le spese ammontarono a lire 1.606.110 (di cui 1.414.387 lire per acquisto dei sali e loro lavorazione, 80.673 lire spese d’ufficio, di personale e di trasporti, 110.936 lire aggio sulle vendite, e 113 lire registri e stampati), da cui debbono detrarsi 295.070 lire spese per aumento delle dotazioni dell’azienda, che andarono a crescere il patrimonio, risultando l’effettivo costo industriale dei prodotti venduti in 1.311.039 lire. Il beneficio netto risulta quindi in ben 700.062 lire, che unite alle 462.890 di utile del 1906-907, alle 293.295 del 1905-906, alle 183.382 del 1904-905, alle 183.038 del 1903-904 ed alle 34.270 del 1902-903 (quale crescendo di utili!) andarono a favore del fondo destinato a combattere le cause della malaria. Questo fondo, che al 30 giugno del 1908 saliva così alla bella cifra di 1.856.940 lire, era già stato utilizzato per 661.359 lire in varie maniere di sussidi a comuni e ad istituzioni di beneficenza, risultando a quella data una rimanenza disponibile di 1.195.580 lire.
La vendita complessiva di prodotti chinacei fu nell’esercizio 1907-908 di kg 24.351 di cui, venduti a prezzo ordinario per il pubblico kg 7.590, a prezzo di favore per la gratuita somministrazione kg 14.104, ceduti a titolo di sussidio kg 2.444 e venduti per l’esportazione kg 212. Né l’incremento delle vendite governative sembra sia stato di danno all’industria privata; poiché questa nel 1898 e 1899, prima dell’istituzione dell’azienda, importava dall’estero da 15 a 16.000 chilogrammi all’anno di sali di chinina; e nel 1907 e 1908 le importazioni dall’estero salirono in tutto a 36 ed a 78.000 kg, da cui detraendo i 22 e i 61.000 kg acquistati dallo stato, rimangono pur sempre da 14 a 17.000 kg a disposizione dell’industria privata, suppergiù la stessa quantità importata nel 1898 e nel 1899. Segno questo che l’azienda di stato si è creata, con la propaganda indefessa e col buon mercato una clientela propria, che disgraziatamente dovrà ancora aumentare, essendo ben 2.700 in 8 provincie i comuni italiani che hanno zone malariche.
A capo delle province consumatrici sta quella di Roma con un consumo medio per abitante di grammi 4,02. Occorre notare però che in queste cifre sono comprese le quantità vendute all’amministrazione ferroviaria, la quale, da Roma, irradia in tutta Italia il chinino acquistato per il consumo del personale dipendente. Pur deducendo i 1.605 kg venduti alle ferrovie, rimane per la provincia di Roma un consumo medio per abitante di grammi 2,78, superato solo dai grammi della provincia di Foggia. Seguono Sassari con 2,38, Trapani con 1,87, Girgenti con 1,76, Catanzaro con 1,70, Potenza con 1,63, Cagliari con 1,61, Rovigo con 1,51, Siracusa con 1,42, Pavia con 1,36, Grosseto con 1,32, Caltanissetta con 1,31, Lecce con 1,14, Venezia con 1,12 e Mantova con 1 grammo. Tutte le altre province hanno un consumo inferiore ad 1 grammo, sino a Massa Carrara che dà un consumo di soli 7 milligrammi a testa. Il consumo è aumentato in 33 province; prima di tutte quella di Catanzaro con 831 milligrammi per abitante in più; rimase invariato in una e diminuì lievemente nelle altre 35. La diminuzione più forte si è verificata in provincia di Grosseto, da 1,80 ad 1,32 grammi a testa; diminuzione però lietissima perché si deve attribuire alla diminuita intensità del morbo. I casi di malaria curati nell’ospedale di Grosseto da 1696 nel 1900 diminuirono infatti a 1.219 nel 1901, a 904 nel 1902, a 643 nel 1905, a 217 nel 1906 ed a 168 nel 1907.
La cifra, piccola in se stessa, di kg 212 venduti per l’esportazione, mette in luce la tendenza nuova e confortante dell’azienda governativa a diventare esportatrice. Già le aziende del sale e dei tabacchi hanno iniziato la conquista dei mercati esteri. Ora è la volta dell’azienda del chinino. I risultati veramente notevoli, ottenuti in Italia coll’applicazione della legislazione sulla malaria e sul chinino di stato, hanno avuto anche all’estero un’eco che non ha mancato di apportare buoni frutti. Altri paesi funestati dal morbo palustre, ove sino ad oggi nella lotta antimalarica non era direttamente intervenuto lo stato, con un’azione di profilassi chininica, hanno plaudito all’iniziativa italiana, studiandone il funzionamento e ripromettendosi di imitarne l’esempio. Così, per prima, la Grecia, modellata un’apposita legge su quella italiana ed ottenutane l’approvazione dal parlamento, richiese al governo italiano ed ottenne di potere acquistare in Italia i prodotti di chinino necessari all’applicazione di quella legge. E per questo primo anno si è avuta una richiesta di 6.000 kg ceduti ad un prezzo specialissimo. Anche l’isola di Creta ha preannunciato l’approvazione, per parte del suo parlamento, di una legge antimalarica per la cui attuazione ha già chiesto i nostri prodotti di chinino. È un nuovo campo di diffusione che s’apre al chinino governativo, ed è altresì una novella conferma della bontà dei nostri prodotti.
Di fronte ai quali magnifici risultati sembra inspiegabile il recente voto del consiglio superiore di sanità pubblica perché sia avocato allo stato il monopolio del chinino. Noi non sappiamo quali siano i motivi, punto chiariti nei giornali, che riportarono quel voto e le discussioni relative; e supponiamo trattarsi di una delle solite proposte della amministrazione (a cagion di lode è doveroso notare che il voto non è partito dalla direzione delle privative, ma da quella della sanità pubblica), la quale non sa persuadersi che altri possa fare qualche cosa contemporaneamente. allo stato, e non contenta di fare il bene, vorrebbe avere il monopolio del bene. In verità la proposta di monopolio è pericolosa nell’interesse medesimo del fine sociale che si vuole ottenere. Se tanti progressi ha compiuto la vendita del chinino di stato fatta in concorrenza coi privati, non dobbiamo rallegrarcene e sentirci stimolati a fare sempre meglio, senza bisogno di ricorrere al monopolio? La vendita dà utili larghi, rapidamente crescenti e tali da bastare ai fini altissimi della lotta antimalarica. La concorrenza dei privati è pungolo all’azienda governativa che, per non essere sopraffatta, cerca di raddoppiare di zelo. Qual danno che stato e privati si facciano concorrenza nel vendere un prodotto così utile? Il monopolio addormenterebbe, è da temere fortemente, le energie governative e finirebbe di trasformare l’azienda in un congegno fiscale, il quale non tornerebbe a favore del tesoro, ma del fondo per la lotta antimalarica. Non vi sarebbe a fare alcuna meraviglia se questo fondo, ora già largo, crescendo ancora non andasse più devoluto ai fini suoi propri ma servisse ad ospitare una crescente schiera di nuovi funzionari: gli specialisti della malaria. È il destino proprio dei fondi autonomi, che hanno entrate obbligatorie, non dovute allo sforzo continuo di lavoro utile. Troppo istruttiva è l’esperienza in tal campo per non dovere far l’augurio che l’azienda del chinino di stato consegua altre vittorie mercé le forti iniziative sue e non sia costretta ad intorpidirsi all’ombra del monopolio.
II
Dall’ing. Solmann Bertolio, professore del Politecnico di Milano, riceviamo la seguente lettera:
Signor direttore,
In un articolo, comparso giorni sono sopra questo periodico, si facevano larghi elogi allo svolgersi dell’azienda, così chiamata dall’articolista, del chinino dello stato. Questo prodotto è troppo importante per l’economia nazionale, per non considerarlo un po’ da vicino, e per non esaminare i risultati dell’azienda che lo fornisce.
Questi, a mio parere, sono tutt’altro che largamente encomiabili, poiché l’azienda non è ai suoi primi passi, ma conta già più anni di vita. Nello scorso anno, attingo i dati dal sopraricordato articolo, la produzione dei sali di chinina dello stato fu di 24.351 kg e diede oltre 700.000 lire di utile. Non v’ha chi non veda:
- che la produzione, ossia il consumo, del chinino è ben esiguo di fronte all’enorme importanza che, disgraziatamente, da noi ha il problema malarico;
- che gli utili conseguiti dall’azienda del chinino di stato, sono fuori di ogni proporzione, per rispetto all’esigua produzione ottenuta. Con una spesa, infatti, di lire 1.414.387 si realizzarono 700.063 lire di beneficio!
Quale la conseguenza? Che il chinino è ancora enormememte caro e quindi se ne consuma poco, troppo poco. Se la fabbricazione del chinino dello stato è considerata come azienda commerciale, essa è indubbiamente fiorente, come poche lo sono. Ma non per merito suo, ché la legge contro la malaria impone agli enti, ai comuni, agli imprenditori, agli industriali, agli agricoltori delle regioni malariche, di acquistare e di somministrare gratuitamente ai propri dipendenti il chinino dello stato. Ogni altro chinino, agli effetti della legge, non ha valore. È quindi una industria, quella del chinino dello stato, ben protetta; che economicamente non può non essere prospera. Ma alla prosperità dell’azienda del chinino dello stato, non può aver mirato il legislatore, che sarebbe in antitesi collo scopo della legge.
Quale miglior modo di aumentare l’efficacia della lotta contro la malaria, di quello di estendere ed intensificare la distribuzione del chinino? Ed il modo migliore di estendere l’uso del chinino è di darlo a basso prezzo. L’utile vistoso, quindi, dell’azienda del chinino dello stato, è a completo detrimento della lotta antimalarica, qualunque destinazione abbiano gli utili dell’azienda stessa.
E si badi qui di non cadere in equivoco. I 24.351 kg di sali di chinina prodotti l’anno scorso, furono ottenuti con la spesa di lire 1.414.387: il chinino quindi, in media, costò lire 60 al kg. Ne furono dati gratuitamente 2.444 kg, pari quindi ad una somma di 16.640 lire in tutto. Ma la spesa di fabbricazione dei 2.444 kg di chinino dati per beneficenza, figura in bilancio, per cui essa non grava le 700.000 d’utili, che sono netti: questi utili rappresentano circa 10.000 kg di chinino sottratti alla profilassi.
Il costo medio di fabbricazione dei sali di chinina, ottenuti dalla farmacia militare di Torino, che è la fabbrica dell’azienda del chinino dello stato, è, come detto, di lire 60 al kg. Ora in commercio sono pochissimi i sali di chinina che hanno tale prezzo elevato. Il bisolfato, che costituisce quasi l’intera produzione dello stato, si compra purissimo dalla Germania a 35 lire il kg, comprese 5 lire di dogana. In Germania, quindi, al produttore, costerà circa 20 lire: da noi costa il triplo. L’anno scorso furono concessi a prezzo di favore kg 14.104 di sali di chinina: supponiamo che siano stati venduti al costo: sono 846.240 lire che i benemeriti della profilassi malarica sborsarono. Colla stessa somma, se l’azienda del chinino di stato funzionasse come una fabbrica tedesca, si sarebbe dato il triplo di chinino.
Questi 14.104 kg di chinino non portarono però all’azienda alcun beneficio. Chi adunque pagò le settecentomila lire di utili? Ahimè, l’articolo citato dice che 7.590 kg di sali di chinina furono venduti a prezzo ordinario al pubblico, disgraziato pubblico febbricitante!
La profilassi malarica richiede nel nostro paese chinino in abbondanza, e poiché la spesa relativa è accollata interamente ai disgraziati che vivono nelle regioni malariche, si cerchi almeno che la spesa ottenga il maggior effetto utile possibile. Una azienda economicamente ben condotta e moralmente intesa, nel senso che producesse a buon mercato e senza utili, avrebbe dato l’anno scorso, con le 2.011.101 lire spese, non 24.000 kg soli di chinino, ma forse 100.000 kg alle nostre popolazioni stremate dalla febbre, e per la profilassi sarebbe ancor poca cosa.
Pare, invece, che da noi non si comprenda bene la nobilissima lotta contro la malaria, flagello che insidia tanta parte del nostro paese, che demolisce le nostre popolazioni e che sembrerebbe carità patria combattere con ogni acume, da un punto di vista elevato, disinteressato, anzi profondendo magari capitali, come si fa per l’eventuale difesa da un nemico tangibile, con la differenza che, mentre queste ultime spese sono, comunque, a fondo perduto, quelle dedicate a combattere la malaria saranno poste a frutto, perché ritornerebbero al paese a mille doppi dal lavoro di una popolazione cui fu ridata la salute.
Prof. BERTOLIO
Le considerazioni svolte dal prof. Bertolio sono certo assai importanti e valgono a dimostrare che l’azienda del chinino di stato, che ha già fatto del bene, potrebbe farne assai di più. Essa ha fatto del bene, perché ben può darsi che il prezzo di costo dei sali di chinina sia per lo stato di 60 lire , mentre il prezzo dei sali di chinina in commercio è assai inferiore. Ma questi sono prezzi all’ingrosso. Per i prezzi al minuto le cose sembra volgano diversamente: poiché il chinino di stato si può acquistare ad un prezzo inferiore a quello a cui i farmacisti facevano le gare – e farebbero ancora adesso pagare senza il calmiere governativo – il chinino di fabbricazione privata. È certo eziandio che il bene potrebbe aumentare assai quando l’azienda del chinino di stato riuscisse a produrre i sali di chinina ad un costo uguale a quello dei privati, o non riuscendo a tanto, si limitasse a comprarli a basso prezzo. Per raggiungere un siffatto intento non solo è necessario che il chinino di stato non venga eretto in monopolio, come vorrebbero i medici del consiglio superiore di sanità, ma sarebbe utilissimo che al chinino di stato venissero tolte quelle prerogative di cui esso gode per la vendita nelle zone di malaria. In tal modo, assillata dalla concorrenza, l’azienda governativa dovrebbe ridurre i prezzi; e se essa non potrebbe più vantare utili cospicui, da destinare alla propaganda: farebbe l’ottima delle propagande che è, come bene nota il Bertolio, il basso prezzo.
[1] Con il titolo Intorno al chinino dello stato. [ndr]