22 dicembre 1945 – Disposizioni in materia di imposte dirette
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 22/12/1945
22 dicembre 1945 – Disposizioni in materia di imposte dirette
Consulta Nazionale – Resoconti
Interventi e Relazioni parlamentari, a cura di Stefania Martinotti Dorigo, Vol. II, Dalla Consulta nazionale al Senato della Repubblica (1945-1958), Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1982, pp. 63-67
È all’esame della Commissione Finanze e Tesoro lo schema di provvedimento legislativo «Modificazioni al decreto legislativo luogotenenziale 19 ottobre 1944, n. 384, portante disposizioni in materia di imposte dirette» (stampato n. 36). Questo provvedimento propone di equiparare il trattamento dei lavoratori dipendenti da privati a quello dei dipendenti statali, in fatto di imposta complementare, introducendo un’eguale tassazione (nella misura dell’1,50 per cento) fino al limite di L. 180.000 di reddito; propone inoltre la soppressione dell’addizionale alla complementare, che era rimasta in vigore dopo la soppressione della tassa sui celibi.
La discussione ha inizio con interventi di Zoli, in sostituzione del relatore Gabriele, Siglienti, Fré e Vanoni; prende quindi la parola L. Einaudi a proposito dell’art. 1 del provvedimento:
A questa deviazione del concetto dell’imposta complementare ci si può rassegnare soltanto in considerazione del fatto che adesso la sua struttura medesima è diventata precaria. Ci sono aliquote che non hanno più nessuna corrispondenza con quello che si può immaginare sia il compito di una imposta complementare sul reddito. È noto quali fossero i minimi esenti, dai quali si partiva per calcolare l’imposta complementare sul reddito. Il progetto Sonnino, il progetto Giolitti, partono tutti da cifre che si aggirano sulle 5.000 lire annue di reddito; anche quando, nel 1923, fu istituita l’imposta complementare, il minimo imponibile era di 6.000 lire, ma fu poi aumentato per altre circostanze, perché c’era un’altra quota di 3.000 lire che praticamente portava il minimo stesso a 9.000 lire. Che significano queste cifre, se le riportiamo ai redditi attuali? In rapporto alle 5.000 lire del 1914 si dovrebbe arrivare almeno ad un milione di lire attuali per avere un’analoga capacità di acquisto. Oggi invece ci troviamo di fronte a minimi imponibili di 24.000 lire, che sono addirittura irrisori. Sono, queste, stravaganze, alle quali non si crederebbe, se non avessimo la testa allucinata dalle grosse cifre, che non hanno alcun significato. Quindi possiamo rassegnarci a dire che anche per i redditi di 180 o di 220.000 lire si può accettare la tassazione dell’1,50 per cento, perché in realtà si tratta di redditi che rispetto alla complementare non dovrebbero pagare niente. Dobbiamo aspettare il momento in cui si possano ragionevolmente ricostruire le tabelle. La mancanza di buon senso che tutto ciò produce spinge alla violazione della legge. Un tale che ha 600.000 lire di reddito (su per giù le 6.000 lire di un tempo) deve pagare un sesto del suo reddito oltre a tutte le imposte reali. Se quel contribuente viola la legge fa male, ma è umano.
Intervengono ancora i consultori Restagno, Zoli, Fré, Scoca, Fazzi, Siglienti e Manes, quindi la discussione viene rinviata.