La seconda camera. Uomini o produttori?
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 25/12/1946
La seconda camera. Uomini o produttori?
«Corriere della Sera», 25 dicembre 1946
L’ordinamento corporativo o professionale o degli interessi di una dalle due Camere del Parlamento è dunque un concetto il quale non si combatte facendo ricorso a un dogma mitico o ad una formula politica, come è la volontà o sovranità popolare. Quell’ordinamento può invece essere combattuto sul suo stesso terreno, chiedendo in che cosa esso si distingua dall’opposto principio della rappresentanza per testa di uomini. Quando si ammetta il principio che a una delle due Camere i rappresentanti siano inviati dagli elettori contati per teste si può ammettere che all’altra camera siano inviati secondo un’altra regola. Quali sono i connotati della regola detta della rappresentanza degli interessi? Due: ed il primo è che siano elettori solo coloro i quali esercitano una attività produttiva. È elettore non l’uomo per sé stesso: ma I’uomo in quanto lavora, produce, fa qualche cosa, dà opera ad una qualunque attività manuale, direttiva, intellettuale, risparmiatrice.
Il principio è evidentemente pericoloso. A volta a volta, nei diversi Paesi del mondo, si sono esclusi, su questo fondamento, non solo i condannati a pene afflittive della libertà personale, gli interdetti e gli inabilitati, i falliti, i vigilati speciali, gli ubriachi dichiarati abituali da una sentenza, i tenitori di postriboli e le loro pensionanti e simili, ma anche uomini definiti oziosi, vagabondi, appartenenti a classi dette improduttive (capitalisti, militari, sacerdoti, cultori di discipline inutili, ecc. ecc.). Su questa strada si può andare innanzi a lungo; che la distinzione fra «produttivo» ed «improduttivo» è una delle più inconsistenti tra quelle di cui gli specialisti della materia dovettero occuparsi. Cominciarono i fisiocrati a classificare tra le classi improduttive tutti coloro i quali non fossero proprietari di terre.
Adamo Smith non durò fatica a dimostrare che anche gli industriali aggiungevano valore alle derrate agrarie trasformando il frumento in farina e pane e pasta, ed i commercianti del pari aumentavano il pregio dei beni economici trasportandoli dal luogo di produzione al luogo di consumo. Rimase tuttavia, anch’egli invischiato nella teoria della improduttività, dichiarando che solo i produttori di beni materiali potevano considerarsi produttori. Non così gli insegnanti, gli esercenti professioni liberali, gli impiegati, i Sacerdoti, i quali interverrebbero soltanto a partecipare alla distribuzione del beni materiali prodotti da altri. Anni dopo, il più grande economista italiano del secolo scorso, Francesco Ferrara, pose fine alla disputa dimostrando che la distinzione fra cose materiali e cose immateriali non esisteva.
Le scoperte di forze come l’elettricità, che non si toccano e non si vedono, hanno posto una pietra tombale sulla grottesca distinzione. Ed ancora si rifletté: quale differenza vi è fra il contadino che zappa la terra ed il soldato o il carabiniere o il giudice i quali garantiscono al contadino il frutto della terra? A che cosa si ridurrebbe in breve ora la produzione se non esistesse sicurezza? Solo coloro i quali sono rimasti fermi all’età della pietra nella teoria economica sostengono ancora che i produttori di risparmi e gli imprenditori – volgarmente vilipesi con l’appellativo di capitalisti – siano gente improduttiva. Una macchina produttrice di risparmio il quale poi se impiegato si chiamerà capitale, deve esistere: e se non vi provvede lo Stato, miracolo mai veduto o dove si vede, lavorante a costi altissimi, devono provvedervi i risparmiatori, che per ciò sono collaboratori tra i più efficaci della produzione. Stringi stringi, oltre ai sullodati criminali, interdetti, prostitute ecc. a riempire la categoria degli improduttivi rimangono solo coloro che compilatori delle liste elettorali definirebbero a loro arbitrio oziosi vagabondi o spacciatori di errori. E giocoforza è ritornare alla nozione dell’elettore parificato, nudo e crudo, all’uomo, all’ uomo contato per teste.
Il secondo connotato della rappresentanza degli interessi è dato dalla classificazioni degli uomini in categorie gruppi o corporazioni. Gli uomini votano non come individui bensì come membri di una categoria o corporazione dichiarata produttiva. Si faccia astrazione da certe difficoltà particolari: dove collocheremo le casalinghe, che pure sono una delle categorie sociali le quali, anche quando non attendono ad alcuna professione esplicita, danno alla comunità sociale un contributo non inferiore a quello di qualsiasi più operosa e nobile altra categoria? Il problema sostanziale è quello dell’inquadramento. Creata la categoria. occorre inquadrare, ossia irreggimentare ed irrigidire. Non occorre ricordare le corporazioni fascistiche per dimostrare quanto fosse falsa l’operazione dell’inquadramento. L’inquadramento è innocuo se è libero; diventa pestifero quando è regolato giuridicamente come pur farebbe d’uopo ai fini di una legge elettorale.
I romantici della storia, i quali si sono foggiati l’idolo di una società corporativa dove maestri e garzoni sarebbero vissuti idillicamente concordi, sono vittime di una strana allucinazione. Si leggano i volumi recenti di Sapori sulla Firenze del ‘200 e del ‘300: si scorrano le mirabili raccolte di documenti pubblicati da lui e dai suoi amici e non si avrà davvero dinanzi agli occhi un quadro di pace e di concordia. Le corporazioni erano vive, perché in continuo movimento; armi di lotta politica ed economica. Quando giunse l’inquadramento la vita era venuta meno. Col secolo XVIII, quando le corporazioni sono regolate e l’inquadramento è perfetto, la decadenza è altresì piena e le corporazioni sono prossime alla morte. La rivoluzione francese, alla quale si rimprovera di avere, in omaggio ad una teoria, ucciso le corporazioni, spazzò via solo un cadavere ingombrante.
L’inquadramento, che è condizione necessaria di una rappresentanza parlamentare dì interessi, oggi conduce fatalmente al fine medesimo a cui è destinata la manomorta: la mano del morto afferra il vivo e lo stringe sino a condurre anch’esso a morte. Chi domina nelle categorie o corporazioni o gruppi sociali inquadrati? Chi è già arrivato o chi deve ancora arrivare? Il capo di un’impresa esistente e già forte o il giovane il quale vuole farsi strada? I rappresentanti di gruppi operai già organizzati perché lavorano in imprese esistenti o i rappresentanti non ancora noti di operai i quali dovranno essere chiamati a lavorare in una industria che appena nasce o non è ancora nata?
Sono divenuto e sono sempre stato sospettoso verso la parola «reazione». Per lo più chi l’adopera non è in grado di definire la parola e l’usa in segno di disprezzo contro chi è colpevole solo di difendere una causa diversa dalla sua. Certo è che se noi definiamo reazionaria quella norma politica la quale tutela gli arrivati contro i sopravvenienti, coloro che sono già in possesso dì una posizione economica, e sociale contro coloro che debbono ancora fare la loro strada, i monopolisti contro chi tenta di scuoterne il potere, gli occupati contro i disoccupati, i vivi contro i non ancora nati, la rappresentanza degli interessi e reazionaria.
I senatori, i quali fossero mandati in Senato dagli industriali metallurgici o meccanici o chimici o tessili, difenderebbero tesi atte a spalancare le porte del Paese ai prodotti stranieri concorrenti ovvero quelle intese a creare un mercato interno chiuso a loro favore? Troverebbero essi aiuto o contrasto nei senatori operai eletti dalla corporazione degli operai della medesima industria? I senatori eletti dagli ordini degli avvocati o dei medici o degli ingegneri si sforzerebbero a far votare leggi decise ad offrire gratuitamente a spese dello Stato a tutti i giovani meritevoli la possibilità di addestrarsi nell’arringo del foro o nell’arte difficile del medico o dell’ingegnere o non sarebbero tentati di invocare provvedimenti di restrizione all’accesso nella carriera, già affollata?
II male insidioso da cui è soprattutto travagliata la società moderna è l’irrigidimento. Più che il contrasto fra le classi, più che la lotta sociale è oggi minaccioso il tentativo visibile in ogni Paese, salvo forse sinora nelle due Americhe, di ogni classe, di ogni ceto a chiudersi in se stesso a difendere gli ammessi nel sacro recinto contro le minacce esterne. Minacce di chi? Di altri uomini, che battono alle porte e le abbatteranno se l’immiserimento progressivo di tutta la società non toglierà prima la vigoria di lottare ai reietti, ai non organizzati, ai non accorpati, ridotti all’elemosina di sussidi pubblici appena bastevoli ad un tenore di vita decrescente Vogliamo creare un Senato il quale sia il difensore degli interessi costituiti, e, si badi, costituiti ugualmente da industriali e da operai, da proprietari e da contadini? La guerra di classe che veramente minaccia il mondo non è fra ricchi e poveri, fra industriali ed operai: è fra le classi, padronale ed operaia ugualmente organizzate attraverso i parlamenti, contro coloro i quali non sono giunti in tempo ad assidersi al banchetto della vita.
Ripetendo la celebre atroce minaccia della natura contro gli ultimi giunti nella sala del banchetto della vita dove tutti i posti sono già occupati, che si legge nella seconda edizione del Saggio sulla popolazione di Malthus, i moderni corporativisti ammoniscono: «Guai a coloro i quali, non essendo membri influenti delle corporazioni, non saranno rappresentati nel Senato, dove fra gruppo e gruppo, fra industriali ed operai, si negozieranno compromessi fra interesse ed interesse, tutti particolari, senza alcuna cura per l’interesse generale! Al banchetto della vita i non organizzati, i deboli, i candidi, gli ingenui, i difensori del bene comune non troveranno luogo».
Fuori della sala, il meditante pensa che dove si intende al particolare, dove si negozia il bene particolare dell’uno contro il bene particolare dell’altro, ivi non è luce, non è volontà di bene comune: ivi la società intera si irrigidisce ed a poco a poco i banchettanti perderanno l’attitudine a muoversi ed a combattere. Ivi si verificherà nuovamente la profezia pronunciata decenni prima della rivoluzione francese da Mirabeau padre: al primo urto del nemico vivo, lo Stato, già irrigidito, rovinerà da sé a terra. Così caddero, per irrigidimento interno e non per le invasioni barbariche, gli Stati antichi. Così non dobbiamo lasciar cadere l’Italia.