Gli otto vizi dei calmieri in Germania e l’insuccesso del collettivismo di guerra
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 16/06/1917
Gli otto vizi dei calmieri in Germania e l’insuccesso del collettivismo di guerra
«Minerva», 16 giugno 1917, pp. 481-482
Da un interessante rapporto ufficiale sulla politica dei consumi in Germania, che mi auguro possa essere presto reso di pubblica ragione, traggo un interessante elenco degli otto vizi che la pratica ha rivelato nella applicazione dei calmieri in quei paesi tedeschi, i quali, a sentir taluno, dovrebbero essere lo specchio e la fonte di ogni sapienza economica.
- Il prezzo massimo dovrebbe essere fissato a norma del costo di produzione della merce. Anche la buona gente, la quale vuole lapidare gli speculatori, riconosce che non è possibile costringere i produttori a vendere ad un prezzo inferiore alla spesa che hanno sostenuto nel produrre la merce. Ma la ricerca del «costo di produzione» è la ricerca dell’araba fenice, pone un problema simile quello della quadratura del circolo. Diceva già Camillo di Cavour alla Camera Subalpina il 15 aprile 1851: «Io confesso che, se dovessi discutere con un comitato di fabbricanti di panni o di filatori di cotoni intorno al costo di un metro di panno o di un chilogramma di cotone, io potrei essere facilissimamente indotto in errore, mentre egli è possibile, con delle cifre che non sono mai assolutamente accertate, quando si abbia l’arte di rannodarle in uno o in altro modo, egli è, dico, possibile di arrivare a risultati molto dissimili.
A questo proposito credo di poter asserire che non vi sono due stabilimenti nello Stato nei quali tutti gli elementi di cui si compongono le spese di produzione siano perfettamente identici, mentre nell’uno la forza motrice costerà di più, nell’altro sarà il combustibile che arriverà a maggior prezzo, in un terzo poi si pagherà più cara la mano d’opera. Ora, se i fabbricanti adunati in comitato per somministrare gli elementi per stabilire il costo di produzione riuniscono in una sola lista tutte le circostanze le più sfavorevoli di tutte le fabbriche dello Stato, essi perverranno facilmente a stabilire una cifra complessiva, la quale, tuttoché composta di elementi non affatto inesatti, non rappresenterà però la verità».
Pare che la scienza economica tedesca fosse giunta a precisare quel concetto del costo di produzione che alla lucida mente del conte di Cavour sembrava così impreciso e malfido; ma l’esperienza ha dimostrato che, con sopportazione dei padreterni d’ogni paese, i vecchi economisti ragionavan col buon senso quando dicevano che i calmieri potevano essere soltanto inutili o dannosi. Inutili, quando fissavano il prezzo al disopra del costo massimo di produzione del produttore meno abile, ma pur necessario a provvedere il mercato. Dannosi, quando il prezzo era fissato al disotto, perché facevano scomparire la merce dal mercato.
- Il calmiere, moderando i prezzi, stimola o mantiene elevato il consumo, precisamente nel momento in che gioverebbe restringerlo. Gli economisti tedeschi, i quali s’erano persuasi di aver inventato una economia storica diversa da quella classica inglese, forse avevano nei loro libri dimostrato che la vecchia norma per cui il consumo cresce quando cala il prezzo e viceversa era una regola antiquata. Ma i fatti si sono incaricati di dar ragione alla norma antica ed appunto perché antica sempre vera: non solo i consumatori mangiavano in anticipazione quelle merci che loro farebbero adesso molto comodo; ma i produttori, i quali, se avessero potuto vendere le loro derrate a prezzo alto, ne avrebbero spinta la produzione al massimo, preferivano consumarle essi medesimi o farle consumare alle loro bestie da lavoro e da ingrasso. Il che si vide anche in Italia, dove non pochi contadini e birocciai trovarono conveniente dare da mangiare farina e pane a buoi ed a cavalli, piuttosto che fieno. E chi può dire che essi abbiano ragionato male, quando il calmiere fissa il prezzo del frumento a un prezzo inferiore al prezzo di mercato del fieno?
- Poiché il calmiere non può applicarsi a tutti i prodotti, industriali ed agricoltori trovano conveniente di abbandonare la produzione dei prodotti vincolati a massimi di prezzo, per dedicarsi ai prodotti liberi, di cui il prezzo può salire. Perché non produrre avena e orzo piuttosto ché frumento e segala, se coi primi si guadagna di più? Il cattedratico grida che questa è un’ignominia; ma non è dessa dovuta alla superbia di chi pretende sostituire i suoi ordini poco intelligenti al movente dell’interesse pecuniario?
- Il prezzo di calmiere non può variare a seconda della qualità della merce. Ed ecco arrivare sul mercato solo la qualità peggiore: uova marce invece di uova fresche. Perché il produttore dovrebbe vendere le uova buone, quando il prezzo d’autorità ne è identico a quello delle uova cattive?
- Il prezzo massimo è quello a cui il produttore può vendere la merce? Che giova ciò al consumatore, a cui la merce arriva aumentata di tutte le provvigioni degli intermediari? Si fissa invece il prezzo massimo pel consumatore? Se esso non è bastevole, il compratore non riesce ad ottenere la merce. Si fissano amendue? Ed accadrà facilmente che la differenza tra essi sia fissata in modo da non lasciare margine a qualche categoria di intermediari. E allora la macchina dello scambio si fracassa e la merce non cammina più. Del che in Italia pare si siano avuti ridevoli esempi per il burro, l’olio e il formaggio e per altre derrate ancora.
- I calmieri sono generali per tutto il paese o particolari a città e province? Nel primo caso sono approvvigionate le zone in cui il costo di produrre e trasportare la merce al mercato è inferiore al prezzo di calmiere; nel secondo le merci affluiscono alle zone a prezzo massimo più elevato o a prezzo libero. E in amendue i casi vi sono province le quali rimangono a bocca asciutta.
VII. Chi controlla l’applicazione dei prezzi massimi? Quanti agenti e come occhiuti sarebbero necessari per impedire al consumatore di pagar sottomano un sopraprezzo pur di procurarsi la merce! Anche nella Germania rispettosa dell’autorità, i processi per violazione di calmiere sono frequenti e i giornali riboccano di lagnanze contro i violatori della legge.
- Di qui dipende che le autorità sono costrette non solo a fissare i massimi, ma a requisire e a razionare. Ma anche qui le complicazioni crescono e la macchina da mettere in moto stride e cigola spaventosamente. Il Governo può requisire e razionare; può mandare in carcere il contadino che nasconde le derrate alimentari; può apprestarsi a mandare, come farà nell’agosto 1917, i soldati a trebbiare i cereali sottraendo questi alla disponibilità degli agricoltori: ma non può costringere questi a lavorare con alacrità e amore. Ed ecco profilarsi lo spettro della fame, che visitò la Francia nei terribili inverni del 1794 e 1795, in conseguenza delle norme di maximum, di requisizioni e di ghigliottina, immaginate dalla Convenzione per far nascere l’abbondanza.
Dopo queste belle esperienze, vi ha ancora gente la quale afferma che la guerra è stata la bancarotta della scienza economica liberale e il trionfo dell’interventismo statale! Quos Deus vult perdere, prius dementat. Se una cosa la guerra ha provato, si è che val più un solo contadino mosso dall’interesse privato, che un esercito di professori e di burocrati e di «organizzazioni», a far nascere una spiga di grano. E se Dio vuole, gli uomini vivono di pane e non di chiacchiere.