Recensione – Giuseppe Prato, Problemi monetari e bancari nei secoli XVII e XVIII (Torino, 1916)
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/12/1916
Recensione – Giuseppe Prato, Problemi monetari e bancari nei secoli XVII e XVIII (Torino, 1916)
«Minerva», 1 dicembre 1916, pp. 1095-1096
È il terzo volume della raccolta di Documenti finanziari degli Stati della Monarchia Piemontese che per iniziativa di Luigi Luzzati si pubblica, sotto gli auspicii del Ministero del tesoro, dal Laboratorio di Economia politica «S. Cognetti De Martiis» della Università di Torino. Ma, come i due precedenti volumi, di cui il primo tratteggiava, ad opera dello scrivente, la finanza sabauda al principio del secolo XVIII, e il secondo, autore il Prato, descriveva l’economia piemontese a metà del secolo XVIII, questo terzo volume sta a sé e forma una monografia compiuta intorno all’argomento impreso a narrare. Il quale sorse nella mente dell’A. dal desiderio di mettere in luce ed illustrare alcune ignorate memorie da lui rinvenute nell’archivio di Stato di Torino intorno a materie bancarie e monetarie, scritte da funzionari e uomini di Stato piemontesi vissuti dal 1600 al 1800circa. Dall’argomento in apparenza piccolo il Prato ha saputo ricavare una monografia stupenda, la quale rivaleggia e per molti rispetti supera le scritture di storia economica più celebri comparse alla luce in Italia ed all’estero.
Ognun sa come si sia disputato intorno alla maniera migliore di scrivere la storia delle idee e delle dottrine economiche; sicché talvolta avemmo la semplice esposizione cronologica delle dottrine stesse, tal altra la sistemazione attorno a talune correnti fondamentali di pensiero, tal altra ancora una genesi delle dottrine dall’ambiente economico del tempo o dagli interessi delle classi dominanti; spesso dimenticando le regole della critica storica per creare schemi di interpretazione delle idee e dei fatti, intonati, più che a scrupolosa interpretazione del vero, a preconcetti dottrinali degli autori. In Italia, dopo una fioritura brillante di studi di storia letteraria economica, dovuta all’impulso del prof. Luigi Cossa, erasi avuta una sosta.
Oggi il Prato, che già in questo campo di studi erasi segnalato per avere posto in nuova originale luce il pensiero di Giovanni Law, intorno a cui pareva che tutto fosse stato detto (Un capitolo della vita di Giovanni Law, in Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie II, t. LXIV) e per avere scoperto un trattato inedito sulla carta moneta di Giovan Battista Vasco (La teoria e la pratica della carta – moneta prima degli assegnati rivoluzionari, in Memorie cit, serie II, t. LXV), apporta un contributo di prim’ordine al metodo e alla storia delle idee economiche. Al metodo innanzitutto; poiché egli non solo studia criticamente le dottrine dei memorialisti piemontesi da lui tratti dall’oblio degli archivi, ma quelle dottrine a) inquadra nell’ambiente economico locale in cui erano sorte, e b) riannoda alle dottrine che prima e contemporaneamente in Italia ed all’estero erano state esposte sullo stesso argomento. Leggendo le pagine del dottissimo volume si rimane stupiti nel vedere i felici riaccostamenti, le derivazioni lontane, non pensate prima e pur vere, che l’A. espone tra il pensiero dei nostri cameralisti subalpini e il pensiero di scrittori nazionali e forestieri della stessa e di precedenti epoche. Perciò il suo libro non è soltanto di storia piemontese, ma prende un posto eminente fra i trattati di storia generale della moneta e delle banche.
Quanto alla materia esposta, sarebbe ardua impresa riassumere per i lettori di Minerva la messe di notizie che il Prato espone intorno a banche e banchieri a mezzo il settecento, alle teorie dei cameralisti piemontesi intorno alla moneta, al corso forzoso, al credito industriale e agricolo, ai progetti piemontesi di banca di Stato di Law e di altri, alla libertà e al vincolismo bancario, alle anonime, ai prestiti pubblici, al credito popolare, alle casse di risparmio, alle borse, alle camere di compensazione, alle assicurazioni. Ogni istituto moderno trova il suo germe nei tentativi, nei progetti, nelle discussioni dei secoli scorsi; ed è di sommo interesse vedere come si sia giunti allo stato presente superando difficoltà e vincendo errori pertinaci e diffusissimi, e come gli errori antichi risorgano ancor oggi, specie nei momenti di commozione politica ed economica.
Come, ad esempio, non leggere con interesse le pagine nelle quali il Prato descrive il movimento di reazione verificatosi in Piemonte contro la banca straniera, quando il fallimento avvenuto nel 1751 della ditta bancaria ginevrina Moris ebbe richiamata l’attenzione pubblica sul predominio che avevano acquistato a Torino e nel Piemonte gli attivissimi banchieri ginevrini? Anche allora si discorse molto di necessità di emancipare il paese dalla soggezione bancaria estera e di creare un istituto nazionale potente, atto a fronteggiare la eccessiva influenza di Ginevra. Sorse così la Compagnia Reale del Piemonte, vissuta dal 1752 al 1792, la quale però limitò la sua azione all’industria della seta.
Chi, al pari dello scrivente, ha invocato, e precisamente sulle colonne di questa rivista, la statizzazione delle fabbriche d’armi e di munizioni, con lo spediente della compartecipazione dello Stato nel possesso delle azioni comuni delle Società semipubbliche erette all’uopo, non può non rimanere pensoso, vedendo come tentativi consimili siano già stati compiuti nel Piemonte dal secolo XVIII, e sembra con poco successo. L’esperienza di fatto è l’unica prova a cui si possono sottoporre i progetti concepiti con le migliori intenzioni; ed è degnissima di attenzione la circostanza che la Compagnia Reale per le opere e i negozi in seta vide compromesse le sue sorti dalla continua e fastidiosa ingerenza, inquinata da criteri burocratici e non industriali, dei funzionari delegati a sedere nei suoi Consigli dallo Stato azionista.
E come punge il desiderio di consigliare i numerosi inflazionisti i quali, in occasione della guerra presente, invocarono emissioni abbondanti di biglietti garantiti su ogni sorta di cose ed anche sulla terra, a leggere le pagine in cui il Prato espone i progetti, talvolta più sensati e non più ameni, messi innanzi da uomini allora reputatissimi ed a cui fortunatamente resistettero Vittorio Amedeo II, Carlo Emanuele III e Vittorio Amedeo III! Chi consiglia tuttodì la istituzione di banche specializzate per questa o quella industria, per questa o quella esportazione, farebbe bene a rileggere le critiche sagaci che a identiche proposte erano mosse, in base ad esperienze dolorose, da consiglieri esperti del Principe sabaudo. Perciò il volume del Prato non è solo un’opera insigne di scienza severa; ma merita di essere conosciuto da una cerchia più vasta di lettori; i quali non potranno non ritrarre giovamento meditando sulle applicazioni moderne, anzi attuali, ad ogni passo ricordate dall’A., di esperienze, di tentativi, di concezioni del passato. Un libro di storia viva, che illumina e chiarisce e saggia le teorie e le esperienze dell’opera presente: ecco il valore nel tempo stesso permanente ed attuale dell’opera insigne che ho avuto l’onore di annunciare ai lettori della Minerva.