La riforma tributaria locale
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 31/05/1898
La riforma tributaria locale
«La Stampa», 31 maggio 1898
In Italia le riforme tributarie troppo spesso sono state compiute sotto lo stimolo della necessità; considerazioni di bilancio, tumulti di gente affamata hanno contribuito a far sì che si procedesse a nuove imposizioni od a sgravi di imposte senza nessun concetto direttivo, senza alcuna norma costante, dimodoché il sistema tributario italiano consiste ora in un ammasso incoerente e bizzarro di norme fiscali oppressive e vessatorie. Negli inizi mancava in parte la preparazione scientifica, che è sempre stata l’antesignana di tutte le riforme veramente feconde e razionali. Ma oramai i libri e gli studi sull’argomento si sono talmente moltiplicati che il legislatore può far tesoro di un’ampia messe di fatti accertati, di dottrine sicure e tali da guidarlo nella sua opera di ricostruzione.
Di una di queste opere intendo dare oggi un breve cenno: il prof. Carlo A. Conigliani, dell’Università di Modena, ben noto ai lettori della Riforma Sociale, ha pubblicato col titolo La riforma dei tributi locali (Modena, Società tipografica, 1898) uno studio che forma certamente il più ampio, sistematico e completo contributo alla risoluzione dell’arduo problema che si sia pubblicato negli ultimi anni.
Dopo un accurato esame sulle vicende economiche e tributarie dei Comuni, il Conigliani riesce alla conclusione che dalle riforme oramai divenute inevitabili dovrà risultare:
1) Un’autonomia perfetta del sistema tributario locale, e quindi l’abbandono dei freni preventivi sanciti per legge, così ad impedire ai Comuni di abusare delle fonti d’imposta comuni anche allo Stato, come a porre ostacoli empirici allo sviluppo delle spese comunali;
2) Un’elasticità perfetta di proventi locali, e specialmente pei Comuni urbani maggiori, l’adozione di un sistema di tributi di larga produttività a cui la legge, pur determinandone le forme ed i caratteri essenziali, non opponga limiti quantitativi empirici ed aprioristici;
3) Una giusta distribuzione dei carichi locali per guisa che colpiscano e in equa misura e con percussione immediata tutte le classi sociali.
In qual modo raggiungere l’intento?
Respinto il concetto di coloro che alle sole imposte personali sul reddito ed alle sole imposte reali sulle fonti di produzione ed ai soli dazi di consumo vorrebbero ricorrere per il fabbisogno dei Comuni, l’autore ritiene che una riforma possibile ed equa deve fare uso di tutte tre le forme d’entrata; siccome però la forma della ricchezza che più si giova della attività giuridica e sociale dei Comuni è la ricchezza immobiliare od investita nelle industrie e nei commerci, così il sistema tributario dei Comuni deve avere a base un complesso di imposte reali sul prodotto netto delle fonti economiche; non si colpisce cioè l’individuo in quanto gode di una entrata determinata (imposta personale), ma la fonte della produzione: case, fondo, azienda industriale e commerciale. Colpendo la fonte della produzione si deve solo tener di mira il prodotto netto, deduzione fatta di tutte le spese e per conseguenza anche delle spese di direzione del proprietario; ma non si possono dedurre i debiti, perché si considerano il proprietario debitore ed il creditore come amendue partecipanti al prodotto netto tassato.
Tre sono le imposte reali da applicarsi:
1) Imposta sui fabbricati e sui terreni urbani edilizi, esclusi quelli destinati a scopo d’industria o di commercio, colpiti già da un’altra imposta;
2) Imposta sui terreni coltivati ed atti alla coltivazione;
3) Imposta sulle industrie e sui commerci localizzabili, compreso anche il reddito dei relativi fabbricati.
I prodotti netti si dovranno constatare con valutazioni periodiche per opera di Commissioni locali provinciali, e su di essi dovrà distribuirsi in ragione proporzionale e con esenzione completa degli imponibili piccolissimi, un contingente complessivo, riportandolo fra le tre specie di fonti produttive in guisa da attuare una razionale diversificazione del carico.
Il contingente complessivo non si distribuirà colla medesima aliquota su tutte tre le fonti tributarie, ma l’aliquota sarà maggiore (ad es. del 10%) sui fabbricati il cui reddito è più sicuro ed importa minori fatiche, media (7,5%) sui terreni soggetti a crisi ed a vicende atmosferiche svariate, e minima (ad es. 5%) sulle industrie e sui commerci che danno un reddito altamente aleatorio e con facilità sfuggente alle imposte.
Ma siccome il reddito delle imposte reali sulle fonti di produzione non basterebbe a far fronte al fabbisogno, bisogna ricorrere in guisa complementare al dazio consumo ed alle imposte dirette personali sul reddito.
Nei Comuni rurali e nei centri minori la tassazione indiretta su uno o su pochi generi di consumo generale deve essere migliorata e ridotta al minimo mediante un uso più energico delle imposte reali. Nei centri urbani bisogna riformare il dazio, per guisa che assuma caratteri più liberali e ragionevoli di tassazione indiretta sui consumi di lusso, esentando i consumi necessari, come le farine, e limitandosi per legge, obbligatoriamente in misura assai lieve, pei consumi generali e via via più larga quanto più limitata è l’estensione dei consumi. Nei Comuni maggiori, dove esistono grandi fortune mobiliari e dove si godono in gran parte i redditi delle campagne, il fabbisogno potrà essere coperto, quando si sia già dato il necessario sviluppo alle imposte reali sulle fonti visibili di produzione, da una imposta personale sul reddito. Il reddito dovrà essere denunciato dal contribuente e controllato dalle Autorità fiscali con tutti quei mezzi che sono a loro disposizione, principalissimo fra cui l’esame dei canoni di affitto delle abitazioni; la tassa di famiglia viene così corretta coll’applicazione del criterio del valore locativo non come base dell’imponibile, ma come mezzo di controllo.
Dal rapido e monco esame fatto si vede che le proposte del prof. Conigliani non sono radicalmente innovatrici; ma, come tutte le riforme veramente scientifiche, si propongono di trasformare gradatamente l’attuale sistema tributario in uno più razionale e di lasciare aperta la via ad ulteriori perfezionamenti.
Conservate dunque le attuali sovrimposte fondiarie e sui fabbricati, ma notevolmente migliorate colla revisione periodica del reddito e completate con una sovrimposta sulla ricchezza mobiliare che ora sfugge quasi del tutto ai carichi locali, pur traendo grandissimo beneficio dalle spese comunali; conservato il dazio consumo, ma ridotto ai consumi di lusso e graduato per modo da rassomigliare ad una imposta progressiva sulla spesa; trasformate le attuali tasse di famiglia e sul valore locativo in una imposta generale sul reddito, ristretta per ora ad una funzione complementare, ma destinata nel futuro ad una importanza sempre più assorbente.
Estesa finalmente l’applicazione del concetto dei contributi di miglioria, con cui si fa sopportare la spesa delle opere pubbliche a coloro che ne rimangono beneficati, accolto in parte il concetto di assorbire a favore dei Comuni l’incremento non guadagnato della rendita del nudo terreno nelle grandi città, si sono così gettate le basi scientificamente sicure e pratiche di una grandiosa e benefica trasformazione nel sistema tributario locale.
E queste riforme riusciranno benefiche alle classi diseredate dalla fortuna, perché ne allevieranno gradatamente e fortemente il gravissimo carico tributario e nello stesso tempo inciteranno le classi ricche e dirigenti ad una più esatta comprensione dei loro doveri sociali, e, facendo su di loro gravare il peso massimo delle imposte, ne acuiranno il sentimento della responsabilità politica.
Esse, fatte esperte del danno diretto ed indiretto che su di loro si riversa quando all’eccesso od alla improduttività siano portate le spese pubbliche, sapranno guarantirsi contro l’una e l’altra di quelle perniciose malattie della vita politica odierna; e questa, ricondotta entro i suoi giusti confini ed alla sua missione benefica sull’ambiente sociale ed economico, varrà a rinforzare a sua volta nell’animo del singolo cittadino la coscienza dei suoi doveri tributari e lo guarirà da quella obbrobriosa infezione morale che oggi fa sembrar lecito anche agli onesti il furto perpetrato conto la collettività.
In questo modo, conchiude il Conigliani il suo saggio meritevole di profonda attenzione da tutti quelli che si interessano alle riforme tributarie e sovratutto dagli uomini di Stato «attraverso alle lotte economiche più feroci, alle diuturne violazioni del principio dell’umana fratellanza, che riempiono oggi gli animi di pessimismo, un’era nuova si prepara che nel rispetto sincero alla solidarietà sociale avrà appunto il suo carattere e la sua gloria e che porterà anche negli ordinamenti politici e tributarii quello spirito di giustizia che oggi è oscurato dal riflesso di tanti ingiusti contrasti della vita sociale.»