Debiti sgravi e lavoro
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/03/1901
Debiti sgravi e lavoro
«La Stampa», 1 marzo 1901
Alcuni giorni fa vi scrivevo della grande aspettativa intorno al programma finanziario del Governo e degli elementi che per la progettata abolizione del dazio di consumo nei Comuni di ultima categoria questo avrebbe potuto trovare nei lavori della Commissione dei quindici. Frattanto le discussioni continuano, e, come al solito, non mancano coloro i quali vogliono dar consigli ed indicare i mezzi che, a loro parere, sarebbero i più opportuni per la rigenerazione del bilancio e dell’economia nazionale.
Ciò che è generale in tutte le persone, ministeriali ed antiministeriali, fautori della finanza rigida ed amici della finanza larga, è la voglia di far qualcosa.
Le preferenze variano. La palma viene contesa fra il dazio sul grano, il prezzo sul sale, il dazio consumo, le quote minime. Le difficoltà maggiori non si riferiscono però alla natura dello sgravio che debba essere concesso. Su questo punto, con qualche stiracchiamento, non sarà difficile mettersi d’accordo. Il grosso delle difficoltà sta invece nei mezzi con cui provvedere al vuoto prodotto nelle casse dello Stato dagli sgravi.
Ed a questo riguardo credo opportuno tenervi parola di alcune proposte di cui molto si è discorso qui negli ultimi giorni.
Le eccedenze di bilancio
Dicono alcuni che il bilancio italiano si trova in grado in alcuni anni di presentare tali eccedenze di bilancio e diminuzioni di spese da poter consentire notevoli sgravi.
Parecchi deputati hanno presentato in tal senso un memoriale alla Commissione dei quindici, nel quale fanno rilevare come, mettendo insieme i 7 milioni annui di incremento naturale delle entrate, accertati dall’on. Rubini, i 2 milioni annui di minor spesa per i premi alla marina mercantile, secondo le intenzioni del nuovo Ministero, i 18 milioni di altre spese che diminuiscono per effetto di legge, i risparmi sulle spese per il risanamento di Napoli che non si potranno fare, e non calcolando nella parte passiva le spese della spedizione cinese che saranno rimborsate, si riesca a raggiungere in un triennio una cifra di 50 milioni, i quali equivalgono appunto al danno che risentirebbe lo Stato dalla rinuncia al canone governativo per il dazio di consumo.
In parte la dimostrazione della possibilità di compiere gli sgravi senza nuove imposte può dirsi giusta. Ma pare a taluno che non sia opportuno far troppa fidanza sul rimborso delle spese per la spedizione in Cina. Non si sa per ora quando le indennità saranno pagate dal Figlio del Sole, ed intanto alle spese si deve far fronte. Onde i canoni della finanza chiara e perspicua consiglierebbero a calcolare adesso nel passivo le spese, salvo ad annotare poi, quando verrà, l’indennità nella parte attiva.
Così pure si afferma che sia alquanto pericoloso supporre delle eccedenze di bilancio per anni che non siano quello già incominciato e quello immediatamente successivo; nè, si aggiunge, sarebbe a meravigliare che alle spese cessate per virtù di legge o non potutesi compiere venissero a sostituirsi altre spese che ora non si prevedono. Un bilancio deve presentare sempre una certa elasticità; e se è finanza inutilmente sospettosa quella che vuole avere delle eccedenze eccessive, non è consigliabile di ipotecare l’avvenire per guisa da non poter più far calcolo su eventuali accrescimenti di gettito per fronteggiare eventuali maggiori spese.
L’ammortamento dei debiti
Persuasa da codeste argomentazioni, una schiera di finanzieri che in parte si confonde ed in parte si differenzia dalla precedente, vorrebbe, per effettuare gli sgravi, ricorrere alla sospensione dell’ammortamento dei debiti redimibili.
Come è noto, lo Stato italiano ha un debito che in parte è consolidato, e su cui paga soltanto gli interessi, ed in parte è redimibile, ossi su cui lo Stato, oltre agli interessi, rimborsa ogni anno una quota del capitale, per estrazione a sorte di un certo numero di obbligazioni. Nel triennio 1898-99, 1899-900, 1900-1 le entrate effettive hanno permesso al tesoro di ammortizzare lire 49 1/3 milioni di debito ferroviario; lire 20,8 milioni di debiti redimibili, e lire 20,3 di debito fluttuante; in tutto 90,6 milioni e mezzo.
Nel quadriennio 1901-1905 il tesoro dovrebbe estinguere lire 62,2 milioni di debiti redimibili, e lire 38,4 milioni di debito ferroviario (esso pure redimibile); in tutto 105,6 milioni senza contare il debito fluttuante eventualmente rimborsato.
Ora, si afferma, non vi è nessuna necessità per lo Stato di ammortizzare il suo debito. È questa, dell’ammortamento, una operazione che lo Stato volontariamente si impone, ma a cui può rinunciare quando si proponga di raggiungere uno scopo più alto e più benefico.
Pagare i debiti è una bella cosa; ma chi consiglierebbe ad un industriale di lasciar mancare il carbone alle sue caldaie o di vendere le macchine dell’opificio per pagare un debito, per cui i creditori sarebbero disposti a concedergli una mora indefinita?
Così è per il Governo. Certamente se lo Stato italiano riuscisse un po’ per volta a diminuire il pondo dei 14 miliardi di debito pubblico, sarebbesi ottenuto un magnifico risultato; ma non è consigliabile volersi ostinare a ridurre il debito capitale quando per far ciò debbasi mettere delle imposte duramente pesanti sulla povera gente, provocatrici di sommosse costose all’erario dello Stato e gravose sullo sviluppo dell’economia nazionale. Non sarebbe meglio, molti si chiedono, rimandare l’estinzione delle obbligazioni redimibili e coi risparmi in tal modo ottenuti compiere degli sgravi tributari che valgono a rialzare il benessere delle popolazioni lavoratrici ed a dare un novello slancio alle industrie ed ai commerci? Fra qualche anno l’accresciuta ricchezza nazionale farebbe crescere per modo il gettito spontaneo delle imposte che si potrebbe iniziare di nuovo l’ammortamento del debito redimibile e con ogni probabilità favoriti dal miglioramento economico generale, condurlo innanzi più rapidamente e più efficacemente che non volendo ostinarsi ora a pagare i debiti con imposte estorte sul pane e sul sale del povero.
Né manca l’esempio dell’estero a suffragio della tesi. L’Inghilterra ripetutamente nel 1829, sotto il Gabinetto Wellington, per far fronte a disavanzi di bilancio, nel 1858, sotto il Gabinetto Disraeli, per pagare le spese della guerra di Crimea, nel 1880 per le spese della guerra del Sud- Africa, negli anni ultimi 1899-1900 per la guerra del Transvaal, ha sospeso od addirittura soppresso il Sinking Fund, ossia il fondo di ammortamento del debito pubblico.
Si obbietta ai fautori della sospensione dell’ammortamento che il caso dell’Inghilterra è giuridicamente diverso da quello odierno dell’Italia, perché in Inghilterra il debito viene scemato dal Governo quando e come vuole, comprando in borsa e distruggendo titoli del suo debito; mentre da noi lo Stato si è obbligato a rimborsare le obbligazioni annualmente in una certa quantità mediante estrazione a sorte.
Si aggiunge ancora che lo Stato italiano ha già troppe volte modificato l’assetto del suo debito pubblico. Essere quindi necessario astenersi da ogni nuovo rimaneggiamento per non scuotere la fiducia dei creditori e dei capitalisti esteri, presso cui si trova buona parte del suo debito ferroviario redimibile. Questo motivo è quello che, più di tutti, potrà indurre il Ministero, da cui la questione è stata discussa, ad astenersi da ogni sospensione dell’ammortamento del debito redimibile.
Lavori pubblici e sgravi
Né la contesa è finita. Poiché havvi chi rimane scettico intorno ai beneficii che la riduzione di pochi centesimi al chilogrammo nel prezzo delle farine, del sale e degli altri generi di prima necessità apporterebbe alle classi lavoratrici; e dubita che l’abbuono di due o tre lire d’imposta fondiaria abbia a giovar molto ai piccoli proprietari rurali. L’esperienza del passato, si afferma, dimostra che le riduzioni d’imposte sui consumi sono andate sempre a vantaggio non dei consumatori, ma degli intermediarii.
Ciò che importa agli operai non è di comprare a poco prezzo le derrate, ma di guadagnar molto per poterle comprare anche quando siano care. Diasi dunque lavoro ai disoccupati delle Puglie e di Napoli: si impedisca che le forniture militari vadano all’estero; si favorisca, con opportuni incoraggiamenti, lo svolgimento dell’agricoltura e dell’industria; e non vi sarà bisogno di concedere sgravi insensibili, perché le masse lavoratrici potranno lavorare a guadagnare bene.
Io non ho bisogno di farvi notare la fallacia di questo ragionamento. è dovere del Governo di intervenire, magari con opere pubbliche non del tutto produttive, a calmare gli orrori della fame; e ad impedire che il malcontento degeneri in sommosse, le quali sarebbero ben più costose per l’erario dello Stato che non i soccorsi concessi a tempo.
Ma se, quando lo impone la ragion politica, sono accettabili le spese fatte dal Governo per distribuire lavoro agli affamati ed impedire che si trasformino in rivoltosi, è indubitato che la ragione economica consiglia a non elevare mai a canone di Governo i premi alle industrie od i lavori pubblici per crear lavoro.
Lo Stato può dar premi alle industrie o far lavori pubblici solo mediante il provento delle imposte, ossia togliendo ai contribuenti i mezzi di fornire essi lavoro ai disoccupati e presumibilmente fornirlo con migliori risultati di quelli che potrebbero ottenersi dal Governo. I lavori pubblici sono utili, in via ordinaria, solo quando il provento sperato dall’opera sia uguale o superiore al frutto che in altri impieghi di capitale si potrebbe ottenere (ad esempio: il porto di Genova); ed in via straordinaria per le ragioni politiche sopra svolte.
Non pare dunque a coloro che più hanno meditato sull’argomento che vi sia contraddizione fra la politica di lavoro e la politica degli sgravi. Questi, rendendo meno oppressivo l’ordinamento tributario e permettendo all’industria di svilupparsi, contribuiranno a diffondere lavoro fra le masse lavoratrici.
Cosicché, in ultima analisi, ritorniamo sempre al medesimo punto: Con quali mezzi gli sgravi devono essere compiuti?
È da credersi che presto saranno palesi gli intendimenti del Governo in proposito. Allora la discussione potrà essere più proficua di quanto oggi non sia, essendo basata solo sulle manifestazioni dell’opinione pubblica e sulle correnti d’idee che si vanno formando nel mondo parlamentare. Ma non era inopportuno che frattanto di queste correnti di idee vi tenessi informati.