La crisi agraria nell’Inghilterra (parte IV)
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/03/1896
La crisi agraria nell’Inghilterra (parte IV)
«Giornale degli economisti», marzo 1896, pp. 209-234
In estratto congiunto: Bologna, Tip. Alfonso Garagnani e figli, 1896
I contratti agrari
La legislazione regolatrice delle relazioni fra il proprietario e gli affittavoli riveste una grande importanza rispetto al migliore e più adatto sfruttamento della terra; e diversamente benefica o dannosa può essere la sua influenza secondo i caratteri di reciproca benevolenza che avvincono il coltivatore al proprietario o i sentimenti di repulsione e di odio che lo fanno riguardare solo come sfruttatore ed oppressore.
Così in Irlanda malgrado viga un sistema in alcune parti di possesso da parte del fittaiuolo
della terra che da secoli esso coltiva, esso è inquinato dalla piaga dell’assenteismo dei proprietari, sulla quale assidendosi, la classe dei middlemen riesce ad estorcere al povero contadino collo stimolo della concorrenza, dei fitti sproporzionati al reddito offerto dalla terra. Nell’Inghilterra il sistema di sfruttamento del suolo riposa su tre cardini essenziali: il proprietario (land lord) che fornisce la terra ed esegue tutte le migliorie permanenti, le costruzioni, i drenaggi ecc.; il fittaiuolo, di solito un ricco capitalista, il quale esercita l’agricoltura come altri eserciterebbe una industria qualunque, adoperando tutti quegli accorgimenti che la scienza e la pratica gli suggeriscono per elevare al massimo la produzione del suo fondo[1]; ed il lavoratore, il quale a differenza del continente europeo, non è per nulla interessato al buon andamento della azienda, ed in molti casi non è neppure domiciliato sui fondi dove egli lavora.
Si è instaurato così nell’Inghilterra un sistema paragonabile a quello che trova la sua più alta e grandiosa espressione nella industria moderna colla divisione del lavoro fra il capitalista possessore del danaro necessario a far prosperare un’impresa, l’industriale che per mezzo del denaro fornito dal capitalista assume su di sé tutti i rischi della industria, e l’operaio il quale riceve uno salario fisso in guiderdone della operosità sua, senza avere alcuna altra partecipazione ai benefici della industria se non quella che egli può pretendere per il libero gioco della offerta e della domanda sul mercato del lavoro. Il sistema in generale ha prodotto buoni risultati paragonato con quello di tutti gli altri paesi esso, osserva bene il Caird,[2] dà i prodotti migliori, abbisogna del minor numero dei lavoranti, e della minore estensione di terreno.
Perché però possa raggiungere il massimo grado di perfezione, è necessario si dia un affidamento sicuro all’affittavolo di ritrarre dalla terra tutti intieri i frutti dei capitali che egli vi immette; senza di che la terra difficilmente riesce ad allettare abbastanza i capitali ad essere generosi. Fino dal 1875 fu sanzionato un Agricultural Holding Act il quale intendeva appunto ad accordare ai fittavoli un compenso per le migliorie introdotte nei fondi.
Le prescrizioni della legge non erano però obbligatorie, lasciandosi libere le parti di rinunciare espressamente alle garanzie da esso sancite. Le più importanti innovazioni da esso introdotte consistono nella adozione del sistema di licenziarsi un anno invece che sei mesi prima della scadenza dell’affitto, e la classificazione delle migliorie in tre classi a seconda del carattere più o meno duraturo che esse rivestivano.
Un ulteriore progresso fu segnato dalla legge del 25 agosto 1883, la quale definì con maggiore accuratezza i diritti del fittavolo e del padrone per le migliorie od i danni recati al fondo, e rese obbligatorie per tutti le sue prescrizioni. Malgrado ciò i lamenti sono continui contro le disposizioni di questa legge; ed è quasi opinione universale che essa richiede miglioramenti molteplici perché possa soddisfare in tutto ai desideri dei coltivatori. Oltre a volersi comprendere maggior numero di migliorie fra quelle che danno diritto al fittaiuolo di pretendere dal proprietario un corrispondente compenso, altre modificazioni sono reclamate a grandi grida dagli agricoltori.
Così l’atto del 1883 dà diritto al coltivatore uscente di ottenere un compenso per la paglia e le altre derrate consumate ma non prodotte sul fondo; ora che il prezzo del grano è sceso così basso pare a molti fittaiuoli conveniente di non venderlo ma di usarne allo scopo di ingrassare le pecore ed i vitelli; e sembra perciò conveniente di concedere ad essi un compenso per i prodotti del fondo consumati nel fondo stesso, per non costringerli ad usare un ripiego cattivo quale quello di vendere il grano prodotto da loro per comprare del grano forestiero producendo così uno spreco inutile di tempo e di denaro.
La legge oltre a ciò è così zeppa di limitazioni, complicazioni e prescrizioni opposte, che pochi affittavoli hanno creduto conveniente di usufruirne. Il solo felice risultato che essa ha prodotto consiste nell’incitamento dato ai proprietari alla conclusione di accordi coi loro fittavoli per fissare l’importo dei compensi da pagarsi per le migliorie. Dove vi si è ricorso, le spese di arbitrato hanno di solito eguagliato se non superato la somma concessa al fittavolo. Inoltre questi non ha diritto a compensi per migliorie permanenti come la conversione dei campi a grano in pascoli permanenti, la piantagione di alberi da frutta, la erezione di case, a meno che egli non ne abbia ottenuto il preventivo consenso scritto dal proprietario; e neppure per il drenaggio se egli non ne avvisò il padrone perché questi potesse, se il voleva, eseguirli a sue spese[3].Ma quello che forma oggetto delle più aspre lamentazioni da parte dei fittaiuoli la prescrizione della legge la quale pur obbligando il coltivatore ad avvisare due mesi prima del termine dell’affitto dell’ammontare della somma da lui richiesta per le migliorie, concede poi al proprietario un ulteriore termine di due mesi e mezzo per domandare il risarcimento dei danni arrecati al fondo.
In questo modo ad una domanda del fittaiuolo si viene sempre a contrapporre una soverchiante controdimanda del proprietario, e per quanto sieno fondate le ragioni del primo, raro è che attraverso ai complicati ingranaggi procedurali fissati dalla legge si riesca a restituire al fittaiuolo onesto tutto l’ammontare delle migliorie da lui immesse nella terra. Ad ovviare a questo inconveniente la Camera centrale di Agricoltura propose di modificare l’art. 7 della legge nel modo seguente:
Un affittavolo che pretende un compenso in forza di questa legge dovrà, ventotto giorni almeno prima della fine dell’affitto, dare avviso per iscritto al proprietario della intenzione sua di fare questa domanda. Il proprietario dovrà, ventotto giorni almeno prima dello spirare dell’affitto, dare avviso per iscritto al fittaiuolo della sua intenzione di chiedere il risarcimento dei danni per i guasti arrecati al fondo, pur conservando il diritto di correggere la sua domanda quattordici giorni dopo spirato l’affitto, riguardo ai guasti arrecati alle costruzioni dopo che egli avea fatta la sua domanda. Ognuna delle domande dovrà comprendere i particolari e l’ammontare della somma domandata[4].
La introduzione nella legge sugli Agricultural Holding di questa norma servirà certamente a rendere più sicura la condizione del coltivatore inglese e lo porrà in grado di reclamare alla fine del suo contratto d’affitto tutte le migliorie permanenti da lui arrecate ai fondi; ma i suoi benefici effetti parmi saranno limitati ai casi nei quali veri e propri miglioramenti sono intrapresi dai fittavoli.
E questi casi pur troppo per l’influsso potente della crisi economica vanno facendosi sempre più rari. Delle tre categorie di persone, che come dissi più sopra, sono interessate al prospero andamento di una azienda agricola, quella che dovette sopportare le perdite più gravi ed acerbe è stata la categoria dei fittavoli. I proprietari hanno dovuto rinunciare sì ad una parte dei loro fitti, ma rimane loro ancora la terra, benché la rendita che se ne ritrae sia sfrondata dalla sua parte più cospicua. I fittavoli speranzosi sempre nei primi anni che la crisi fosse passeggera e dovesse presto verificarsi un periodo di ripresa, non ritrassero subito dalla coltivazione i loro capitali, né del resto lo potevano, avvinti come erano alla terra per la natura lenta e pigra della agricoltura.
La perduranza del ribasso dei prezzi finì in seguito per rovinarli del tutto, privandoli del loro capitale e riducendoli in una condizione quasi disperata. Per rifarsi un po’ non rimase loro altro mezzo che la coltivazione di rapina. Le pagine dell’inchiesta rigurgitano di affermazioni tutte cospiranti a provare l’immenso regresso verificatosi negli ultimi anni nelle pratiche agricole; al tipo classico e famoso della high farming che avea costituito fin qui la gloria e l’ambizione maggiore dei fittaiuoli inglesi sostituì la coltivazione estensiva, esauriente, non di altro pensosa che di sfruttare nel minor tempo possibile il terreno.
È naturale quindi che le norme instaurate dall’Agricultural Holdings Act del 1883 ad assicurare al tenant il frutto delle fatiche sue e dei capitali immessi del suolo, contraddicono ad una condizione economica tale che esige da parte del tenant stesso, la forma più perniciosa di coltivazione della terra, quella che i Tedeschi chiamano Raubbau.
Se le norme novellamente escogitate a riformare le relazioni esistenti fra padroni ed affittavoli concedendo a questi una maggiore sicurezza ai frutti della propria industria paiono rivestire un carattere di inutilità in causa della crisi agricola imperante, ben più vivaci critiche fa sorgere contro di sé un altro progetto che tenderebbe a rinnovare affatto ricomponendola su nuove basi, l’organismo della economia rurale brittannica.
È noto che nell’Inghilterra gli affitti in generale durano per un anno solo, e potendosi risolvere at will riposano unicamente sulla reciproca fiducia del proprietario e del fittaiuolo. Il sistema dura da più di un secolo; le lunghe affittanze (Lease) erano comuni anche in Inghilterra fino alla fine del secolo passato; quando il rapido aumento dei prezzi e la trasformazione profonda avvenuta allora nella agricoltura inglese, dimostrò fallaci tutti i calcoli fatti prima sul reddito della terra.
Era il tempo in cui sorgeva la teoria ricardiana della rendita, ed i proprietari fondiari adescati dal miraggio di un indefinito aumento dei loro redditi, mal volontieri si adattavano ad un sistema che li escludeva dalla partecipazione ai lauti ed improvvisi guadagni onde era allora feconda la campagna. Finita la guerra ed inaugurato il sistema della protezione doganale colle leggi dei cereali, si rese impossibile il ritorno al sistema dei lunghi fitti per la incertezza continua che era propria di quei periodi di crisi acute alternantisi ad annate di alta prosperità.
«Così gli affitti annui divennero, per più di mezzo secolo, l’alternativa quasi inevitabile di un periodo in cui i prezzi agricoli ed i timori politici non permettevano si concludessero dei contratti duraturi e non provvisori; e proprietari ed affittavoli bramavano di essere liberi da obblighi permanenti, non sapendo che cosa potesse avvenire nell’anno nuovo».
La questione delle leggi pei cereali è finita; ma il «good understanding» sopravvisse alle cause che gli dettero origine[5]. Se nell’Inghilterra ragioni storiche ed economiche sostituirono all’antico regime patriarcale un sistema di conduzione delle terre essenzialmente mobile e pieghevole, l’antico sistema permane ancora nella Scozia per varie cause fra cui predominano la mancanza dello incitamento alla speculazione sui grani, lo interessamento maggiore e più diretto preso dai proprietari nella coltivazione delle loro terre, l’essere gli stessi proprietari meno soggetti ai vincoli giuridici che in Inghilterra ne inceppano la libertà di contrattare, la maggiore educazione agricola, la quale persuase della convenienza dei lunghi fitti perché il coltivatore apportasse nella cultura della terra tutta la sua operosità ed i suoi capitali.
Non mancarono tentativi di trapiantare anche in Inghilterra questo sistema dei lunghi fitti allo scopo di offrire una maggiore indipendenza al fittaiuolo dotando così l’agricoltura brittannica di una classe di uomini attivi ed intelligenti che dalla sicurezza di rimanere per lunghi anni nello stesso podere traesse stimolo a compiere grandi e costose migliorie. Il Caird ricorda nel suo libro The Landed interest a titolo di onore l’iniziativa assunta dal conte di Leicester nei suoi aviti domini. L’affitto dura 21 anni, ed è risolvibile dopo sedici anni. Durante questo termine il fittaiuolo è pienamente libero nella coltivazione del podere e nella vendita dei suoi prodotti. Dopo sedici anni un nuovo affitto della stessa durata del primo può essere conchiuso pagando per i primi quattro anni il corrispettivo antico ed un nuovo per i seguenti. Se l’affitto non è rinnovato il fittaiuolo è obbligato negli ultimi quattro anni ad adottare il sistema di coltivazione conosciuto sotto il nome di Norfolk system, acquistando diritto ad un compenso per i concimi non esauriti. Si ottiene così lo scopo di lasciare il tenant perfettamente libero nella direzione dell’azienda agraria, pur non pregiudicando le ragioni del proprietario; il ritorno negli ultimi quattro anni ai sistemi soliti di coltivazione può evitarsi nel caso che l’affitto venga nuovamente prolungato per ventun anni, continuando allora il fittavolo ad avere la stessa libertà di azione.
Più in là ancora va un progetto di legge presentato dal signor William Smith al Parlamento per incarico della Federation of Tenant Farmers’ Association, progetto che risente molto l’influenza degli Irish Land Acts intesi ad allievare le sofferenze gravi dell’economia rurale irlandese, e mira a sostituirsi all’Agricultural Holdings Act del 1883. Esso riposa sul concetto di concedere anche all’affittaiuolo inglese il tenant right. Così allo scopo di trapiantare sul suolo inglese la fixity of tenure il fittavolo non potrà essere obbligato a lasciare il suo podere se non quando egli trascuri di pagare il fitto alle epoche stabilite, od apporti guasti gravi al fondo od alle costruzioni, o violi alcuni dei patti stabiliti nel contratto d’affitto, o subaffitti senza il compenso del padrone tutto o parte del fondo. Il proprietario potrà entrare nei suoi possessi solo per fare ricerche di miniere, per sfruttare cave o boschi ivi esistenti, aprire strade, costruire canali irrigatori, e fare opere di drenaggio, sorvegliare le condizioni del fondo.
Il proprietario poi avrà solamente diritto di licenziare l’affittaiuolo e riprendere il podere quando il terreno sia destinato a costruzioni, all’erezione di chiese, scuole, o voglia concederlo in piccoli lotti ai lavoranti dei dintorni, o suddividerlo in piccole cascine. Egli potrà pure assumere la conduzione diretta dei suoi fondi od affittarli a parenti suoi; ma in tal caso egli deve indennizzare il tenant pel danno recatogli coll’interrompere la sua locazione, oltre al dovergli dare un compenso per le migliorie introdotte nel fondo. Ed ancora, se il proprietario od i suoi parenti non conservano la amministrazione del podere per sette anni, il fittaiolo precedente avrà diritto a riprenderlo o vendere il suo diritto di affittanza.
Per ottenere poi che il fittavolo non sia oppresso dal dover pagare un fitto sproporzionato alla terra che egli coltiva, egli può richiedere la Land Court[6] di fissare le condizioni eque di affitto; e quella dopo aver sentite le parti e tenuto cento di tutte le circostanze locali ed in ispecie di tutte le migliorie permanenti eseguite dal tenant e da questo rimborsate al suo predecessore, fisserà il fitto da pagarsi per cinque anni regolando anche tutte le altre clausole del contratto[7]. Il tenant potrà scegliere un successore nell’affitto da lui tenuto, dandone avviso sei mesi prima al proprietario, e questi potrà rientrare in possesso dei suoi fondi solo pagando all’affittavolo uscente l’ammontare della somma che sarebbe stata pagata dal nuovo. Quando però egli creda che sieno eccessive le pretese del tenant o giudichi meno adatto il nuovo affittavolo potrà appellarsene alla Land Court. Il tenant ha poi diritto di disporre per testamento del suo diritto di affitto, ed in caso di morte ab intestato, questo si devolverà ai suoi eredi secondo le norme di legge comuni riguardanti la successione della proprietà personale.
Come si vede dall’esame che abbiamo fatto del progetto patrocinato dalla Federation of Tenant Farmers’ Associations, si avrebbe una vera trasformazione nella economia rurale brittannica se esso fosse approvato. All’antico sistema di grande proprietà fondiaria concentrata in poche mani si sostituirebbe una forma di possesso da parte degli attuali tenant. I proprietari attuali conserverebbero solo la parvenza della loro qualità; e collo sparire della loro potenza territoriale si verificherebbe anche una decapitazione nella influenza politica da essi esercitata. Ad essi non rimarrebbe più secondo la frase energica e scultoria dello Smith, se non the pleasure of receiving the rents. Il carattere radicale della proposta impedirà la sua attuazione nella conservatrice Inghilterra, tanto più se si riflette che si tratterebbe di sconvolgere addirittura tutto il sistema su cui riposa la proprietà fondiaria in quel paese. Inoltre è d’uopo notare che i tempi non volgono propizi a disegni di questa sorte coi quali si tratterebbe di fissare per più o meno lungo tempo la condizione degli affitti.
La crisi economica perdurante da più di un ventennio ha reso impossibile la rimutazione del sistema inglese dei fitti annui e ha minata la esistenza nella Scozia dalle lunghe affittanze. Si può anzi dire che solo la consuetudine inglese dei fitti annui ha salvato dalla rovina i tenant, ponendoli in grado di ottenere una diminuzione di fitto a mano a mano che più si rinviliva il prezzo delle derrate da loro prodotte.
È questa la ragione intima per cui la grande maggioranza dei coltivatori ignara di quello che potranno essere le vicende economiche del futuro, rifugge dal legarsi a patti che potrebbero facilmente essere la causa della sua rovina. Nei tempi di crisi tutte le contrattazioni rivestono un carattere di precarietà, al quale non può sfuggire l’agricoltura per quanto questa meglio di ogni altra si adatti per la natura sua alla lunghezza dei fitti. Per ora adunque le riforme nei patti agrari non possono rivestire un carattere troppo spinto e violento; solo col correggere ed emendare lo Agricultural Holdings Act si potrà porre in parte un riparo alle rapine ed alle culture depauperanti a cui gli affittavoli sono troppo propensi ad appigliarsi.
D’altro canto la riduzione dei fitti non ha ancora avuto termine e si inarcerbirà riversando sui forti omeri dei grandi proprietari il peso maggiore della depressione agricola; ed è forse una fortuna che nell’Inghilterra esista una classe così potente di proprietari fondiari, da poter sopportare riduzioni di rendita che in altri luoghi sembrerebbero troppo acerbe.
Conclusione
Abbiamo così esaminato brevemente a quale delle varie cause a cui gli agricoltori inglesi fanno risalire le loro sofferenze attuali, queste si debbano veramente attribuire; vi concorsero certamente la concorrenza dei paesi nuovi, protetti da una circolazione monetaria deprezzata, e la permanenza in molti luoghi di fitti troppo alti e sproporzionati alle condizioni odierne dei prezzi. Ma sovra d’ogni altra la causa se ne deve rintracciare nel mutamento gigantesco che ha subito la economia agraria, trasformandosi da nazionale, ristrettamente provveditrice del mercato locale, in mondiale.
Nella fase di transizione che ora attraversiamo, accompagnata da un ribasso continuo dei prezzi, dobbiamo noi vedere uno stato di cose temporaneo, e che dovrà trovare in se stesso la causa che ricondurrà ad una ripresa dei prezzi e ad una rinnovellata epoca prospera per gli agricoltori? Dobbiamo noi in altre parole ravvisarvi nient’altro se non la riproduzione nel campo della produzione territoriale di una di quelle crisi violente che interrompono ogni dieci anni il corso degli affari, e costringendo ad una liquidazione generale delle operazioni non riposanti su basi solide, formano quasi il punto di partenza di un altro periodo di alti prezzi, di speculazioni fortunate, e di prosperità generale?
Dopo un periodo di liquidazione generale, le casse delle Banche rigurgitano di numerario, che i capitalisti timorosi di nuove perdite vi hanno deposto; il portafoglio è quasi vuoto; il saggio dell’interesse è basso; nulla di più favorevole al sorgere di imprese speculative che profittando della atonia generale del mercato del denaro vogliano dare il segnale della riscossa.
Dato l’impulso, lo sviluppo degli affari in breve si accelera; la scomparsa delle case di dubbia solidità agevola la concessione di un largo credito agli audaci imprenditori che vogliono trovare un campo d’impiego ai capitali inoperosi; il sorgere di industrie nuove, ed il rifiorire delle antiche concedono alla classe operaia una maggiore capacità di consumo onde i prezzi salgono continuamente; niun limite parendo possibile alla tendenza dei prezzi al rialzo, tutti si affrettano a divenire compratori nella speranza di potere conseguire una parte del beneficio di questa ripresa generale dei prezzi; pullulano le speculazioni avventate, ed i titoli di imprese pazze e strane ed i prestiti di stati a finanze avariate trovano collocamento a condizioni buone.
Lo sviluppo delle operazioni a termine rendendo inutili le transazioni conchiuse effettivamente in contanti dà adito agli speculatori poco solidi di esagerare le tendenze del mercato. Ma il rialzo eccessivo dei prezzi produce alla fine un restringersi del consumo; la produzione spinta all’eccesso per la speranza di trovare sempre nuovi e facili sbocchi, accumula nei magazzini masse enormi di merci che giacciono invendute; prima alcuni timidamente, ed in seguito molti vogliono, per far fronte agli impegni, realizzare; la mancanza di compratori agli alti prezzi fino allora praticati è il segnale di una crisi.
Tutti si precipitano sulle Banche per avere del denaro; queste che hanno già visto gonfiare smisuratamente il loro portafoglio ed assottigliarsi la riserva, rialzano lo sconto per difenderla; ci troviamo di fronte ad un momento di panico terribile, in cui restano compiutamente interrotti gli affari: la Black Friday del 1886, il crack austriaco del 1873, e il fallimento della casa Baring nel 1891 ci rappresentano il punto in cui comincia la liquidazione; i fallimenti delle case poco solide sbarazzano lentamente il terreno; i prezzi ribassati agevolano la conclusione di nuovi contratti su altre basi meglio prossime alla verità delle cose, e dal periodo più o meno lungo di liquidazione si passa nuovamente ad un periodo ascendente. Così si svolgono le crisi commerciali, con una legge di periodicità costante suffragata dalla esperienza di oltre un secolo; le cause principali ne risiedono nella speculazione spinta all’eccesso, e nella sovra produzione la quale assume ogni volta degli aspetti distinti, come la railway mania nell’Inghilterra prima e negli Stati Uniti poi, la creazione di innumere società per azioni nella Germania dopo il 1870, la speculazione edilizia in Italia.[8]
La crisi agraria attuale riveste forse un aspetto tale che si possa paragonare alle altre crisi commerciali ed industriali; dipende essa da un arresto momentaneo degli affari, e da una prolungata liquidazione, prelude de plus belles destinees, come dice il Juglar? Tutto quello che abbiamo esposto più su sul carattere duraturo della crisi e sui fenomeni che l’accompagnano ci vietano di rispondere affermativamente; noi non ci troviamo di fronte ad una crisi, ma ad una Agricultural Depression, secondo la espressione inglese.
La concorrenza dei paesi nuovi non pare destinata a cessare; e non sono ancora venute sul mercato mondiale a premere con tutta la forza dei loro milioni di lavoranti poveri e miserabili, le grandi nazioni orientali, che pare si sveglino adesso dal loro torpore secolare. Sotto la pressione del basso prezzo dei prodotti agrari, che salvo brevi e poco rilevanti rialzi, dura da più che un ventennio, si è verificata nell’Inghilterra una regressione spaventosa delle culture; mentre nelle industrie la crisi è accompagnata sempre da una enorme sovra produzione, qui si allea e sussegne ad una diminuzione non solo nella superficie coltivata a cereali, ma anche ad un minor profitto nell’allevamento del bestiame sulle pingui ed umide praterie che parevano meno soggette a soffrire il contraccolpo degli invii di carne conservata attraverso i mari; e la terra inglese si va convertendo a poco a poco in una immensa deer forest, la quale riesce meglio di ogni altra forma di sfruttamento ad assicurare un reddito al proprietario del suolo, ed un terreno propizio alle molteplici esazioni del governo, degli enti locali e della chiesa.
Nel 1817 Davide Ricardo nei suoi principi di Economia Politica esponeva forse per la prima volta in forma così perspicua e chiara la teoria della rendita: It is only …. because land is not unlimited in quantity and uniform in quality, and because in the progress of population, land of an inferior quality, or less advantageously situated, is called into cultivation, that rent is ever paid for the use of it … With every step in the progress of population, which shall oblige a country to have recourse to land of a worse quality, to enable it to raise its supply of food, rent on all the more fertile land will rise.[9]
Quantunque nelle sue lettere a Malthus egli dica che il suo scopo era quello di dilucidare i principi dell’economia, and to do this I imagined strong cases, that I might show the operation of those principles, ed affermi in altra occasione che egli cerca di fissare la sua attenzione sulla condizione permanente di cose che deve risultare dal cozzo degli avvenimenti particolari e quotidiani, tuttavia la sua teoria fondamentale, la sua credenza nell’aumento progressivo della rendita come carattere distintivo di una civiltà progrediente è il risultato della osservazione geniale ed accurata dei fatti che si svolgevano intorno a lui.[10]
L’agricoltura inglese attraversava in quel tempo un periodo di inaudita prosperità; si era ancora agli inizi della rivoluzione industriale che dovea porre l’Inghilterra a capo di tutte le nazioni civili; la popolazione seguendo con irrefrenato slancio l’impulso datole dalla domanda di operai da parte dei fabbricanti, aumentava enormemente in poco spazio di tempo; e con essa cresceva la domanda di derrate alimentari. Già più sopra si è detto dell’alto prezzo a cui arrivò il grano negli anni che inaugurano il secolo nuovo; i primi quindici anni segnano l’età dell’oro della grande proprietà la quale avea saputo colla distruzione della proprietà coltivatrice e dei yeomen, crearsi attorno una turba di salariati a cui non giovava l’inacerbirsi dei prezzi ad ottenere un aumento nei salari dai padroni per modo che doveano ricorrere alla tassa pei poveri per ottenere un supplemento ai loro insufficienti guadagni.
L’allettamento degli alti prezzi fu la causa prima dell’aumentarsi delle terre coltivate; intiere regioni che prima servivano come pascolo vagante delle pecore furono per la prima volta rotte dall’aratro in quel torno di tempo; le chiusure aumentarono in modo straordinario. Ecco lo cifre che mostrano il parallelo cammino percorso dal numero delle chiusure e dal prezzo del grano.
Leggasi quello che dice il Loria (La storia nella scienza economica, in «Giornale degli economisti», 1889, Vol. IV, pag. 171) del carattere storico delle teorie ricardiane. «Ricardo, egli dice, era profondo conoscitore della sua patria ed avea fatto uno studio accuratissimo delle statistiche brittanniche, per quanto imperfette, che pubblicavansi a’ suoi tempi e delle opere più notevoli sullo sviluppo economico del Regno Unito».
Periodo | Prezzo medio del grano | Numero delle chiusure per quarter |
1780-89 | 246 | 45.9 |
1790-99 | 469 | 55.11 |
1800-09 | 847 | 82.2 |
1810-19 | 853 | 88.8 |
1820-29 | 205 | 58.5 |
1830-35 | 77 | 54.71 |
A. Loria, Analisi della proprietà capitalista, Vol. II, pag. 214. Vedi anche: Die Englische Landarbeiter in den letzten hundert Jahren und die Einhegungen von Dr W. Hasbach, Leipzig, Duncker und Humblot 1894. |
Il rialzo nel prezzo del grano e delle altre derrate alimentari non trovava allora nessun contrappeso nella concorrenza estera la quale non avea cominciato ad esercitare una qualche influenza sull’Inghilterra. Non è meraviglia perciò se in un paese chiuso, colla popolazione ognora crescente, ed insofferente della limitazione forzata nella produzione dei viveri, si sfasciasse la vecchia economia patriarcale e sulle rovine dell’antico sistema di proprietari indipendenti si ergesse una nuova forma di proprietà latifondista, la quale appropriandosi i nuovi metodi agricoli perfezionati, si mise in grado di raddoppiare la produzione. Dappertutto l’incitamento degli alti prezzi condusse al dissodamento dei terreni incolti; e dei grossi guadagni che nell’agricoltura si facevano, la parte maggiore andava ai proprietari fondiari.
Da 5200 lire nel 1807 il fitto dei fondi appartenenti al Guy’s Hospital nella contea di Lincolshire saliva a 6.400 nel 1813. Diminuiva la popolazione rurale accalcantasi in folla nelle grandi città manifatturiere in cerca di lavoro, e sui campi deserti signoreggiava il grande proprietario fondiario che pareva destinato ad appropriarsi la parte maggiore e più bella del reddito sociale.
Ora invece questa superiorità dei possessori privilegiati della terra su tutti gli altri umani, questa facoltà a loro inerente di vedere accrescere i loro godimenti mentre più aspro diventa il lavoro per gli altri, e la lotta contro la natura si fa più difficile e faticosa, è compiutamente svanita; tutto quello che è stato detto più su ci dimostra come oggi i proprietari fondiari godano di un privilegio solo, quello di vedere costantemente diminuite le loro entrate mentre i redditi degli industriali si accrescono e le grandi fortune si formano non col lavoro assiduo e coll’audace e paziente trasformazione del suolo ma colle losche e bieche speculazioni borsaiuole. Il ribasso della rendita, benché fosse stato da lui considerato di sfuggita e come un fenomeno contraddicente alle leggi generali della evoluzione economica, era stato dal Ricardo spiegato, riconnettendolo alle migliorie agricole, al ribassato costo di produzione, alla scomparsa degli impacci alla libera importazione dei grani. Ora quelli che a lui parevano fenomeni secondari ed incapaci ad infirmare la teoria della rendita, hanno acquistato una forza tale, che questa perfetta e verissima in astratto, meraviglioso prodotto di una mente ragionatrice e profonda, non trova più riscontro nella realtà delle cose.[11]
Già prima che scoppiasse la crisi agraria attuale si era osservato che il reddito fondiario non era in Inghilterra che la rimunerazione delle migliorie dai proprietari introdotti nei fondi; si andava già operando quella che bene fu detta la capitalizzazione del suolo[12] la quale assimilando la terra alle altre forme di capitali, ne accoppiava le vicende, conciliando gli interessi opposti dei proprietari fondiari e degli industriali.
Ora anche questo fenomeno si è, sotto la pressione della concorrenza estera a dei bassi prezzi, arrestato; l’amara esperienza delle cose ha impedito che si continuasse ad immagazzinare nel terreno dei capitali, ed ha operato un ricorso delle antiche ed oramai dimenticate consuetudini sfruttatrici del suolo, che parevano diventate un monopolio, non invidiato, della nazioni povere di capitali, come l’Italia.[13]
La rendita del suolo che, colla speranza di continuo rialzo, agiva quasi come un appello ai capitali dei ricchi mercanti ed industriali inglesi, ora non ricompensa più nemmeno i capitali sotto forma di migliorie agricole, di drenaggi, o costruzioni rurali introdotti nella terra. In che modo si è operato questo profondo divorzio fra le industrie agricole, ed i capitali ansiosi di trovare un impiego e giacenti infruttiferi nelle casse delle banche? La pressione della rendita fondiaria spiega in parte questa riluttanza sempre più spiccata dei fittaioli ad intraprendere una cultura ammegliatrice e ristoratrice; il saggio degli affitti tende però, e lo abbiamo visto, a conformarsi sempre più alle condizioni imposte dal rinvilirsi dei prezzi delle derrate; ed il ribasso che ogni anno si va accentuando, e che è favorito dalla consuetudine inglese dei fitti annui, della rendita[14], giova a riversare sulle forti spalle dei proprietari fondiari la parte più grave e pesante della esacerbata depressione agraria.
Conchiudendo riguardo alla scomparsa del monopolio fondiario riferirò le parole a cui fu condotto dopo un lungo ed accurato studio della proprietà terriera in Francia il visconte d’Avenel, parole che possono applicarsi anche all’Inghilterra, dove è cominciato da vent’anni un periodo in cui la preminenza, altre volte così aspramente denunciata, dei proprietari va scomparendo: «La catégorie des détenteurs du sol à, pendant des long siècles, plus largement profité qu’aucune autre classe de l’accroissement de la population et de l’ensemble des découvertes qui constituent ce qu’on appelle le progrès. Qu’elle ait joui longtemps d’un monopole, rien de plus naturel, rien de plus inévitable dans une Europe, dans une France comme celle d’autrefois, ou une surface immobile devait nourrir, vêtir, loger un nombre toujours plus grand d’individus. Qu’elle soit aujourd’hui atteinte par la concurrence des terres
rivales, rien de plus naturel encore, et j’ajouterai rien de moins attristant. Un premier degré de civilisation avait fait hausser la terre, un degré de civilisation plus avance la fera baisser, ou la figera dans sou prix actuel; ce sont là les faits divers de l’histoire économique du
monde».[15]
Si inaugura un periodo in cui la rendita fondiaria si comporrà ad un limite che renda possibile nuovamente ai fittaioli di intraprendere la coltivazione intensiva e razionale del suolo. L’industria agraria, completamente separata, come è in Inghilterra, dalla proprietà del suolo, può bene reggersi e dare splendidi frutti, anche se i padroni terrieri si trovino più che dimezzati i loro fitti; forse quello che ha rovinato tanti affittavoli è stata appunto la elevatezza della rendita commisurata ad anni di alta prosperità; la diminuzione progressiva mettendola in relazione coi prezzi delle derrate, permetterà ad essi nuovamente di inaugurare un nuovo periodo di cultura intensiva. I capitali che ora sono sfiduciati e si arretrano spaventati al pensiero di nuove e più acerbe falcidiazioni nel già vile prezzo dei prodotti agrari, ritorneranno alla terra; perché non è presumibile che continui per lungo tempo ancora l’orgia di imprese pazze e sventurate in cui si inabissano ricchezze immense senza alcun frutto, mentre nella terra potrebbero, quando si fosse arrestata la corsa precipitosa dei prezzi al ribasso, ricavare un saggio di profitto costante, benché non cospicuo.
Converrà certamente che i fittaioli impieghino una maggior somma di capitali per ricavare un guadagno non eguale forse a quello che prima ottenevano; ma questo è un fatto ineluttabile, a cui non può ribellarsi nessuna forma di industria, che riposi sul lavoro e non sulla speculazione e sul gioco. è necessario però che la operosità dei coltivatori non si adagi nelle antiche pratiche agricole, e cambiando intenti rivolga i suoi sforzi alla produzione di quelle derrate per cui essa gode un monopolio notevole.
La fertilità della terra inglese non è ancora scomparsa malgrado le culture di rabbiosa e depauperante rapina esercitate negli ultimi anni dai fittaioli; nel 1894 il raccolto medio per acre del grano fu di 1.44 bushels superiore alla media; e così pure quello dell’orzo e dell’avena; mentre gli allevatori di bestiame, ed i produttori di latticini, si trovarono ancor meglio.[16]
L’agricoltura deve subire una trasformazione profonda per adattarsi alle condizioni nuove di esistenza che le sono imposte dalla concorrenza internazionale e dal ribasso dei prezzi; e deve sopratutto attuarsi una divisione del lavoro fra le varie parti del mondo per modo che le terre vergini, nuove e lontane dai centri di consumo si pongano in grado di approvigionare da sole ed al minor costo possibile le vecchie nazioni rigurgitanti di popolazione, il cui suolo ristretto non può più produrre i cereali nella quantità occorrente al consumo locale. Il paese dove questo rimutamento agrario trova prima la sua attuazione è l’Inghilterra; là la mancanza della intrusione governativa accelera la evoluzione della economia rurale; e là noi possiamo assistere a quella che fra breve sarà anche la sorte delle altre nazioni europee.
L’intensità della crisi agricola che l’Inghilterra attraversa non ci deve però fare attribuire una importanza troppo grande ed esclusiva alle grida dei coltivatori; nel 1882 malgrado avesse già cominciata la depressione, il Galanti trovava ancora nel massimo fiore la high farming; e l’abbandono attuale delle culture, la sostituzione dei terreni a pascolo brado alla coltivazione intensiva sono forse più i segni di un’epoca di transizione che non i presagi di un regresso spaventoso e permanente dalla campagna allo stato selvaggio. Se è lecito azzardare una modesta affermazione, a me pare che gli anni venturi segneranno il passaggio della economia rurale ad un tipo più industriale ancora di quello che non sia l’attuale già tanto perfezionato. Fino da quindici anni fa il Caird[17] notava che la terra inglese perdeva sempre più il carattere di podere coltivato per diventare un giardino, un terreno di divertimenti. Le deer forest non sono meno remuneratrici dal lato pecuniario di quello che non sieno le più splendide cascine coltivate secondo i metodi moderni.
Da quel tempo la terra a grano è diminuita ancora mentre aumentavano i pascoli ed i produttori inglesi cercavano un riparo contro la invadente crisi nella produzione del burro, del latte, del formaggio, di cui nell’Inghilterra si fa un consumo enorme. I benefici ottenuti da tali cambiamenti iniziati da poco tempo fanno sperare che in essi si troverà un’ancora di salvezza; ed in verità nell’Essex, una delle contee più bersagliate dalle crisi agricola che vi sieno state nell’Inghilterra, i soli che abbiano potuto far fronte alle avversità economiche furono i fittaioli scozzesi che ivi trapiantarono il loro sistema di fattorie intese alla produzione del latte, del formaggio, derrate tutte le quali trovano un facile sbocco nei grandi centri di consumo di cui abbonda l’Inghilterra. Ad attuare questo rimutamento occorrono tre cose: capitali abbondanti ed a basso prezzo, intelligenza nei coltivatori nell’adottare le pratiche agricole più proficue e costose, nello scegliere i rami di produzione meno soggetti a fluttuazioni grandi nel valore di mercato, nell’acquistare prima e conservare poi i proprii clienti. Cose queste che non fanno difetto di sicuro in quel paese, rigurgitante di capitali, che nelle lontane speculazioni e negli imprestiti giganteschi a Stati vicini al fallimento cercano di ottenere quei guadagni che in patria non possono ottenere.
Ma le perdite enormi che l’Inghilterra ha subito nell’Argentina e Australia hanno cominciato ad aprire gli occhi ai capitalisti inglesi, e questi dovranno per non perderli malamente o lasciarli infruttiferi, impiegare i loro capitali ad un saggio anche minimo. L’afflusso di capitali sarà una vera manna benefica per l’industria agricola; ed essa potrà con fiducia e con ardore accingersi al suo compito, sottraendosi al predominio degli intermediari e cercando di porre un riparo, come ho detto più su, alla tirannia degli speculatori interessati al ribasso coll’organizzare su larghe e solide basi la vendita dei prodotti agrari.
Certamente un accordo internazionale dei produttori è un rimedio di effettuazione lontana e problematica; ma molto bene intanto può essere fatto dalle società di compera e di spaccio operanti dapprincipio su un mercato ristretto, ed estendenti a poco a poco le loro operazioni, e la loro influenza a più largo giro di affari. Se però la industria delle affittanze in Inghilterra potrà rimarginare le ferite recatele dalla crisi agraria, a ciò una terza condizione è necessaria: la permanenza, o, per dir meglio, l’esacerbazione del decremento nella rendita fondiaria. Questa, la quale insieme colle imposte d’ogni genere ha agito negli ultimi anni di crisi come una immane pompa assorbitrice dei capitali dei fittaioli, dovrà adagiarsi ad un livello basso abbastanza da permettere a quelli di porre un termine alle pratiche depauperanti ed alla coltivazione di rapina. Con ciò la classe dei proprietari è sbalzata definitivamente dalla condizione di preminenza economica che godeva un tempo, perdendo insieme anche gran parte della sua influenza politica.
È interessante a questo riguardo confrontare le previsioni, che circa un mezzo secolo fa avea fatte un illustre economista tedesco sull’avvenire della proprietà fondiaria, con gli avvenimenti che si vanno svolgendo sotto i nostri occhi. Bruno Hildebrand, uno dei duci della scuola storica, scriveva nel 1848 che[18] il secolo decimonono avrebbe assistito ad un ritorno della popolazione agricola inglese ai campi abbandonati per le officine e le fabbriche. La piccola proprietà coltivatrice sostituendosi ai grandi signori della terra, trasformerebbe le foreste da caccia ed i parchi in campi coltivati dai proprietari stessi.
Non più la Gran Brettagna sarebbe stata dipendente dal mercato straniero; e le migliaia di operai disoccupati avrebbero nella terra trovata una occupazione, e provvedendo alla produzione delle derrate di consumo necessarie alla popolazione operaia ne avrebbero ricevuto in ricambio a basso prezzo le merci prodotte nelle fabbriche del paese. Il quadro che l’economista tedesco tratteggiava con mano maestra ci appare ora fantastico e contraddicente alla condizione reale delle cose; non già si è ritornati ad una specie di democrazia rurale come esisteva in Inghilterra prima della scomparsa della classe dei yeomen, ma di questi sono scomparse anche le ultime tracce.
Coll’elevarsi del valore della terra i proprietari piccoli e medi hanno visto che era meglio disfarsi delle loro terre, per investirne il ricavo in fondi pubblici, nella speculazione commerciale, e nella industria delle affittanze, la quale concedeva ai capitali dell’affittaiolo una remunerazione normale non minore dell’8-10 per cento. D’altra parte le leggi e le consuetudini imperanti nell’Inghilterra hanno contribuito ad accrescere ed a mantenere la grande proprietà fondiaria, la quale per le qualità sue intrinseche è più adatta in un paese abbondante di capitali a sollevare l’agricoltura ad una perfezione non prima vista. Si confronti la coltivazione esauriente esercitata dal tenant irlandese, godente di una specie di comproprietà nel suolo,colla sapiente cultura intensiva che si ammira nelle fattorie inglesi condotte secondo il regime della high farming.
Ed anche sotto l’imperversare della crisi la grande proprietà ha saputo resistere con fortuna e coraggio, e colla diminuzione temporanea o permanente dei fitti contribuito a sollevare le condizioni dei fittaioli, dai quali essa non può sperare un aiuto per chiedere ed imporre allo Stato una tariffa doganale protettiva simile a quella che in Francia, in Italia ed in Germania i proprietari sono riusciti ad imporre sostenuti dalla grande massa dei piccoli proprietari rurali e dei contadini interessati per svariati modi al reddito della terra.
Perché, ed è bene notarlo, se la grande proprietà capitalistica, meglio che ogni altra forma di appropriazione della terra riesce a coltivare intensivamente il suolo, se essa colla elasticità insita nel sistema dei fitti, conduce alla elevazione od all’abbassamento della rendita a seconda delle condizioni del mercato, se obbligando il grande proprietario ad investire successivamente nel suolo delle enormi masse di capitale converte la rendita del suolo in una remunerazione, spesse volte scarsa, delle migliorie in esso introdotte, eliminando così dalla rendita ogni elemento gratuito, essa d’altra parte rende impossibile di levare un tributo sui consumatori colla elevazione di dazi doganali protettori. Già abbiamo visto quanto sia improbabile che si attui una riforma doganale in senso protezionista, diretta a compensare i proprietari dell’enorme pondo di imposte che grava su di essi, per la preponderanza degli interessi degli industriali e degli operai nel Parlamento.
E questa preponderanza dei rappresentati degli interessi opposti a quelli dei proprietari fondiari è esacerbata dalla stessa grande proprietà fondiaria la quale elevando una barriera insuperabile fra le varie classi di lavoratori e di affittavoli ed i proprietari impedisce a quelli di nutrire la speranza di potersi colla operosità e col lavoro elevarsi dalla condizione in cui si trovano in un’altra superiore.
È naturale quindi, come osserva il Shaw Lefevre[19] che gli operai rurali più attivi ed industriosi abbandonino la campagna e vadano nella città dove possono raggiungere una elevata meta con maggiore facilità; e diminuisce così qualitativamente e quantitativamente la popolazione rurale.
Quella che resta non è più, come prima, affezionata ai grandi proprietari; agli antichi rapporti di patronato da parte del signore terriero si va sostituendo un sistema di contratti rigidi, definiti e precisi; e si spiega così il favore ottenuto dalla propaganda dell’Arch, e della Lega per la nazionalizzazione della terra. Dopo l’allargamento del suffragio, intieri distretti rurali prima considerati come un feudo elettorale del grande proprietario locale, sfuggirono intieramente alla sua influenza, e mandarono al Parlamento dei deputati radicali. Questi indizi di uno stato di cose anormale richiedono una riforma che ci porti ad una ripartizione della proprietà fondiaria simile a quella preconizzata mezzo secolo fa dall’Hildebrand?
Il Parlamento ha tentato di iniziarla con esito non felice fin qui; troppo profonde radici ha la grande proprietà terriera, perché possa essere sostituita da un altro sistema, i cui benefici effetti non sono del resto così generali ed indiscussi perché si debba promuovere a cuor leggero una trasformazione della economia rurale di tutto un paese. Quello che è necessario si è, ed in parte è già stato fatto, che si fissi la popolazione agricola al suolo mercé un’adatta distribuzione di piccoli lotti di terre, e che si crei, specialmente in vicinanza delle città una classe di proprietari medi e piccoli che formi l’anello di congiunzione fra la gran massa di operai agricoli privi di terra ed i grandi proprietari, dominanti anche in futuro sulla parte maggiore del territorio inglese, per modo che quelli abbiano un incentivo all’operosità nella speranza di potere migliorare la propria condizione economica. La crisi economica attuale, e la rimutazione che essa renderà necessaria nella economia rurale facilita questa creazione, sebbene in misura molto ristretta, di piccoli proprietari.
Il Shaw Lefevre parlando delle isole del canale attribuisce la prosperità di cui godono alla ripartizione larga della proprietà mantenutasi in grazia del sistema successorio simile al francese ed alla vicinanza delle grandi città, che offrono uno sbocco sicuro e largo ai prodotti vegetali, alle frutta, prodotte da quei piccoli coltivatori. La Inchiesta agraria attuale ravvalorando le conclusioni del Shaw Lefevre ci mostra negli affittavoli scozzesi, lavoranti essi stessi, i soli che abbiano resistito nelle contee del mezzogiorno dall’Inghilterra alla crisi agraria col rimutare le basi in cui riposava la coltivazione abbandonando la cerealicoltura ed introducendo la produzione dei latticinii.
Le previsioni del futuro sono sempre difficili; e più ardue diventano in questa occasione trovandoci noi di fronte ad una crisi intensa e durante da lungo tempo, senza che appaiano ancora i segni forieri di una ripresa nel corso dei prezzi. Una cosa però ci hanno mostrato in modo indiscusso i fatti da noi raccolti, che la grande proprietà fondiaria deve adattarsi ad una decapitazione permanente dei suoi redditi; e che solo il concorso intelligente di larghi capitali può porre in grado la industria agricola di intraprendere quella trasformazione della cultura che si è resa necessaria per resistere, senza dover ricorrere alla imposizione di dazi doganali, alla concorrenza estera.
Nemmeno però devesi con troppa furia appigliarsi alla produzione inconsiderata di nuovi generi di consumo, perché per la pletora che presto si verificherebbe sul mercato rinascerebbero i guai antichi; ai quali solo la organizzazione internazionale della produzione e della vendita da parte dei coltivatori può sperare di porre un riparo duraturo e definitivo.
[1] Si ricordi il fatto accennato dal Galanti (Viaggio agronomico pag. 375) che gli inglesi, mentre attendono alla mercatura, impiegano in terreno i quattrini di sopravanzo; ma quando si ritirano dal commercio, per farsi veri agricoltori, vendono una parte e qualche volta tutti i loro fondi e diventano fittaiuoli, per poter investire la maggior somma possibile in capitale di speculazione, che è il sangue che vivifica l’agricoltura.
[2] The Landed interest, pag. 68.
[3] W.E. Bear, The Agricultural Problem, nel «The Economic Journal», 1893.
[4] Vedi il Memoriale presentato dal signor W. Sipscomb a nome della Central Chamber of Agriculture a pag. 623 del vol. II dei Minutes of Evidence taken before the Royal Commission on Agriculture.
[5] Systems of Land Tenure in various countries. The Land Laws of England. By C. Wren Hoskyns, pag. 109-110.
[6] La Land Court, sarà composta da un giudice della contea presidente e da due assessori scelti dal registratore fra una lista di affittavoli, di agenti o di persone pratiche di cose agricole redatta dal Consiglio di Contea. La Land Court potrà compilare delle tariffe per le spese da farsi nella determinazione dei contratti d’affitto, fare delle ispezioni sul luogo, ed ha giurisdizione esclusiva per risolvere tutte le controversie sorgenti dall’applicazione della legge. Delle sue decisioni dovrà tenersi nota dal cancelliere del giudice di pace della contea in un Tenant Holdings Book. Potranno però il proprietario e l’affittavolo sottrarsi alla giurisdizione della Land Court affidando la risoluzione della loro controversia ad un arbitro scelto di comune accordo; e il lodo da questo pronunciato avrà dopo la sua trascrizione nel Tenant Holdings Book, forza obbligatoria davanti alla Land Court.
[7] Il fitto potrà essere accresciuto quando il proprietario d’accordo col fittavolo abbia arrecato al suo podere delle migliorie, purché l’aumento sia consentito dalla suddetta Commissione.
[8] Cfr. per una magnifica analisi e ricostruzione storica delle crisi commerciali la seconda edizione del Juglar, Des crises commerciales et de leur retour periodique. Vedi pure Max Wirth, Geschichte der Handelkrisen, quarta ediz. Frankfurt 1890, e S. Cognetti de Martiis, Forme e leggi delle perturbazioni economiche, in «Giornale degli Economisti», marzo, 1878, pagg. 431-52.
[9] D. Ricardo, Principles of political economy and taxation, edited by E.C.K. Gonner, London, 1891, pag. 47.
[10] «The economic Journal». L. Price, Some aspects of the theory of rent, 1891, pag 122. E. Cannan, The origin of the law of diminishing returns, 1813-15, 1892, pag 53.
[11] S. Cognetti de Martiis, Il socialismo negli Stati Uniti d’America, in Biblioteca dell’Economista. Seria terza, Vol. IX, Parte III, pag. 295.
[12] E. Masè Dari, Saggio sulla influenza della coltivazione intensiva sulla rendita fondiaria. Vol. XII, Serie seconda.
[13] Cfr. una descrizione dei processi con cui il capitale tenta di reagire nella agricoltura contro lo annullamento dei profitti e la perdita dei capitali immessi nel suolo, nel Loria, Analisi della proprietà capitalista, Vol. II, pag. 363-68.
[14] Il Paasche nel cit. studio (Die Entwickelung der britischen Landwirtschaft) nota che: Der erste Ansturm trifft den zeitweiligen Besitzer, also in britischen Inselreiche den Pachter, der auf kurze oder längere kontrakte seine farm bebaut. Pachtreduktionen sind dann unausbleiblich; aber wenn sie stattgefunden haben, kann ohne Nachteil für die Volkswirtschaft ein den veränderten Verhältnissen angemessener Betrieb auch den zu rationeller Kultur notwendigen Wohlstand der farmer wieder begründen. In England ist der Kampf zwischen Grundeigentumer und Betriebsunternehmer verhaltnismassig leicht gewesen, da eine reiche Grundaristokratie die schweren Opfer bringen konnte und nicht selten noch die Mittel dazu bot, die Umgestaltung des Betriebes schneller durchzuführen. Iahrbucher fur Nationalökonomie und Statistik. 3 F. 3 B. 54 S.
[15] G. D’Avenel, Historie economique de la proprietè, des salaires, des denrees et de tous le prix en general depuis l’an 1200 jusqu’en l’an 1800. Paris, 1894. Vol I, pag. 369-70.
[16] Vedi la Commercial History and Review of 1894 dell’Economist. pag. 3.
[17] The Landed interest. Chapter XI, The future pag. 143.
[18] Bruno Hildebrand, Die Nationalokonomie der Gegenwart und Zukunft. Frankfurt. a. M. 1848, pag. 248.
[19] Shaw Lefevre, Agrarian Tenures in England. London, Cassel 1893, pag. 32.