Tema per gli storici dell’economia: Negli investimenti di capitali è preferibile il fumo o l’arrosto?
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/06/1939
Tema per gli storici dell’economia: Negli investimenti di capitali è preferibile il fumo o l’arrosto?
«Rivista di storia economica», IV, n. 2, giugno 1939, pp. 231-33
Lawrence N. Bloomberg: “The investment value of goodwill” (N. 3 della cinquantaseiesima serie dei “The Johns Hopkins University Studies in Historical and Political Sciences”). The Johns Hopkins Press, Baltimore, 1938, pp. 70. Prezzo dollari 0,75.
1. – Il saggio del Bloomberg, condotto a termine nel seminario economico diretto dall’Hollander nella università Johns Hopkins di Baltimora, merita qui ricordo, come esempio ed incitamento del modo col quale sarebbe augurabile fossero condotte ricerche somiglianti nel nostro paese. Il quesito può essere riassunto così: hanno maggiori probabilità di successo economico le imprese a costituire il cui capitale azionario ha parte notevole la valutazione del fattore materiale “avviamento” ovvero quelle nelle quali l’intiero o quasi l’intiero capitale è dato da fattori materiali, come terreni, fabbricati, impianti, macchinari, scorte e simili? L’avviamento del quale si discute non è quello che potrebbe dirsi “industriale” nascente dai buoni rapporti fra dirigenti e personale, né quello “finanziario” che riposa sui buoni rapporti col mercato finanziario e con le banche per la fornitura dei capitali stabili e circolanti; bensì è l’avviamento “commerciale” derivato dal favore della clientela.
2. – Dopo varii e vani tentativi di classificazione sulla base di indizi oggettivi prestabiliti, l’autore si decise a classificare le società anonime assunte a oggetto dei suoi studi nelle due categorie delle società “ad avviamento” (the “goodwill” group) e delle società ad “attività reali” (the “physical” group) sulla base dello studio individuale, ad una ad una delle società medesime. Ad includere una società nel primo gruppo giovò poter rispondere affermativamente ai seguenti quesiti: fornisce servizi piuttostoché merci materiali? vende prodotti speciali o tutelati da marchio? fa notevole affidamento sulla pubblicità? All’altro gruppo furono ascritte le imprese le quali avevano investito notabile parte del loro capitale in fattori naturali della produzione (acque, miniere, terre ecc.) o producevano macchinari od impianti o prodotti di serie aventi valore di mercato o di costo su preventivi. Ad esempio la “United States Steel Corporation” forse gode di un qualche avviamento, ma la sua clientela compra su preventivi, al prezzo più basso corrente (perciò essa fu collocata nel gruppo “ad attività reali”); laddove l’”American Tobacco Company” ha clientela affezionata a certi tipi di sigarette, da essa accreditate con intensa pubblicità (perciò gruppo “ad avviamento”). Dallo studio furono escluse le società esercenti servizi pubblici (tranvie, gas, luce, ferrovie ecc.) perché per esse scarsa è la facoltà di scelta dei clienti. Nel gruppo delle società “ad avviamento” predominano le imprese produttrici di beni diretti di consumo; laddove nell’altro sono numerose le società produttrici di beni strumentali; ma le due classificazioni non coincidono in tutto.
3. – Il Bloomberg nell’accingersi all’indagine si trovò dinnanzi alla grossa difficoltà del numero grande delle società le cui azioni erano quotate nei momenti scelti nella Borsa di New York; troppo grande per le possibilità di lavoro di un privato studioso. Il problema fu risolto ricorrendo alla sorte o, dove necessario, ad espedienti automatici come lo sceglier, a dettame della sorte, la terza, la sesta, la nona ecc., ovvero la quinta, la decima, la quindicesima ecc. società nella lista ufficiale delle società le cui azioni erano quotate alla Borsa, non tenendo conto, nel conteggio, delle società esercenti servizi pubblici.
4. – Ad evitare che la sorte fosse troppo cieca o la data d’inizio del calcolo esercitasse un’influenza eccessiva, le serie costrutte furono cinque, che io, allo scopo di abbreviare la esposizione, enuncierò in un ordine alquanto diverso da quello accolto dal Bloomberg: Prima Serie: periodo lungo dal 1912 al 1937. Punto d’origine nei primi quattro giorni del 1912, momento “normale” per attività e livello di prezzi rispetto al periodo 1907-914. La serie è suddivisa, per quanto riguarda le società “ad attività reali”, in due sottoserie a e b, l’autore avendo ritenuto opportuno di ripetere, ad evitare arbitrii, due volte l’estrazione a sorte delle 15 società componenti il gruppo.
Seconda serie: periodo breve, dal 1927 al 1937. Allo scopo di accertare se i risultati ottenuti per la prima serie fossero dovuti alla scelta del punto di origine, si assunsero fra le società (e per il gruppo “ad attività reali” quelle prima a) appartenenti alla prima serie, tutte quelle le quali erano ancora vive e le cui azioni erano sopravissute nei primi cinque giorni del 1927; e se ne studiò la storia sino alla fine del 1937.
Terza serie: periodo breve, pure dal 1927 al 1937. Qui, di nuovo, come per la prima serie, la scelta fu fatta col metodo della sorte. Punto di partenza le società le cui azioni erano quotate nei primi cinque giorni di borsa del 1927; momento di stabilità, con numeri indici degli affari leggermente superiori al normale.
Quarta serie: intesa a studiare un ciclo intiero economico dal 1919 al 1923 nelle due fasi discendente (dall’1 novembre 1919 al 25 agosto 1921; punto di partenza la prima settimana di borsa del novembre 1919) ed ascendente (dal 20 agosto 1921 al 19 marzo 1923; punto di partenza la settimana di borsa dal 20 al 26 agosto 1921).
Quinta serie: parimenti intesa a studiare le variazioni dei risultati ottenuti nei due tipi di investimento lungo un intiero ciclo economico, quello corso dal 1929 al 1933, nelle due fasi di declino (dall’1 luglio 1929 al 30 giugno 1932; punto iniziale: i primi quattro giorni di borsa del luglio 1929) e di ripresa (dall’1 luglio 1932 al 31 dicembre 1933; punto di partenza: i giorni di borsa dal 5 all’8 luglio 1932).
5. – Nel compiere i calcoli si partì dall’ipotesi che il risparmiatore avesse acquistato inizialmente tante azioni di ogni società scelta quante occorrevano per compiere un investimento della grandezza approssimativa di 1.000 dollari; e poiché le società scelte oscillarono per ogni gruppo di ogni serie da 14 a 15, risultarono investimenti di ugual peso approssimativo da 14 a 15 mila dollari ciascuno.
I valori di borsa segnati per ogni anno sono quelli medi (media del prezzo fatto più alto e di quello più basso, ovvero media della lettera e del denaro) dell’ultimo giorno dell’anno o dell’altro giorno indicato. Il saggio di frutto percentuale fu ottenuto dividendo il reddito totale di ogni anno per il capitale investito all’inizio del periodo. In caso di aumento di capitale, i diritti furono venduti al prezzo medio corso durante il tempo prefisso per la opzione e il loro ricavo fu accumulato in un ipotetico conto corrente a risparmio al frutto del 5 per cento. L’ammontare del conto fu aggiunto ogni anno al valore di borsa dell’investimento alla fine dell’anno stesso; ed il reddito relativo aggiunto all’importo dei dividendi dell’anno.
Se furono distribuiti dividendi in titoli, il valore dei titoli gratuiti fu aggiunto al valore dell’investimento; salvo che si trattasse di frazioni di unità, nel qual caso le frazioni furono vendute ed il ricavo versato nel conto corrente a risparmio.
In caso di fusioni, la società risultante dalla fusione, prese il posto di quelle venute meno. Se una società fu trasformata e la trasformazione richiese un nuovo versamento agli azionisti, si preferì vendere il vecchio titolo depositando il ricavo della ipotetica vendita nel conto corrente a risparmio al 3 per cento. Alcune società dovettero essere cancellate, perché fallite senza che rimanesse alcun saldo a favore degli azionisti ordinari. Furono prese in considerazione soltanto azioni ordinarie; escludendosi così non solo le obbligazioni, ma tutte le specie di azioni preferenziali. Problemi minori, particolari a singole società e non classificabili, furono risoluti caso per caso, a seconda delle esigenze di ogni caso.
6. – Ecco i risultati ottenuti per la prima Serie che per i valori capitali ho ridotto a numeri indici, fatto uguale a 100 il prezzo iniziale d’acquisto:
La serie seconda e terza si riferiscono, come fu detto sopra, amendue al periodo breve dal 1927 al 1937. Ma laddove la terza serie parte, come tutte le altre, da dati scelti a sorte, la seconda assume quelli scelti delle società, appartenenti alla prima serie, le quali sopravvivevano all’inizio del 1927. Il calcolo è, per le serie dalla prima alla quinta, riprodotto per brevità solo per i valori capitali. I numeri indici furono, anche qui da me calcolati sulle cifre assolute date dal Bloomberg.
Anche nelle due serie brevi la prevalenza dei titoli delle società ad avviamento sulle società ad attività reali è netta. Nella serie terza la superiorità viene meno a partire dal 1933; ma poiché ciò è dovuto esclusivamente alla inclusione della società Dome Mines produttrice di oro, il cui prezzo, in fino, crebbe da 20,67 a 35 dollari l’oncia troy a causa della svalutazione monetaria del 41 per cento avvenuta nel 1932 negli Stati Uniti, parve che la circostanza mutasse artificiosamente le basi del paragone. Se noi paragoniamo perciò i valori capitali escludendo le Dome Mines, la conclusione della prevalenza dei valori ad avviamento è di nuovo decisa.
8. – Le due ultime serie quarta e quinta intendono chiarire l’influenza eventuale del succedersi e del diverso comportamento delle due fasi discendente ed ascendente del ciclo economico sulla fortuna dei due tipi di azioni.
Tanto nel periodo 1919-23 quanto in quello 1929-33 le azioni ad avviamento fanno subire nella fase discendente perdite meno accentuate e procacciano nella fase ascendente plusvalenze maggiori di quelle ad attività reali. Perdite e guadagni sono più sensibili nel ciclo ultimo 1929-33 che in quello precedente, a causa della maggior violenza della crisi ultima e della successiva ripresa.
9. – Ho riassunto un brano di storia economica recente, che mi sembra davvero notabile. La storia, maneggiata così, da chi sa che cosa e come cercare, acquista significato. Il costruire curve coi dati esistenti, così come sono offerti dalle statistiche ufficiali e private, e come di solito sono elaborate da punti di vista meramente quantitativi ed esterni, nove volte su dieci non ci fa cavare un ragno dal buco. Si scorrono pagine e pagine di tabelle, di diagrammi, di elaborazioni raffinatissime e quando si è giunti alla fine ci si trova dinnanzi ad uno sparuto indice, il quale, a farlo cantare, narra verità piccola piccola, che era già ovvia e risaputa fin da prima o poteva essere tratta dall’osservazione ordinaria o dal ragionamento senza uopo di tanto lussuoso apparato metodologico.
Spesso, la dura fatica è fruttuosa; ed è certamente meritorio il lavoro di chi dimostra che i corsi dei titoli vanno su e giù lungo le creste e le valli del ciclo economico; ed anche più meritoria la fatica di chi, distinguendo fra principali specie di titoli, dimostra che i titoli a reddito variabile danno luogo per lo più a disinganni meno spiacevoli di quelli a reddito fisso, salvo eccezioni di tempi appartenenti alle poche e brevissime età dell’oro in materia monetaria. Siamo però su terreno noto o ragionabile. L’indagine diventa significativa quando si pongono domande impertinenti: esiste davvero un frutto degli investimenti di capitale e, se esiste, quale fu in casi tipici?; che era la mia domanda nel tema proposto agli storici dell’economia a carte 70 del quaderno del marzo 1937 di questa rivista ed al quale rispose, per due titoli significativi, le azioni delle “Meridionali” e la vecchia rendita italiana 5 poi 3,50 per cento, con accertamento di frutto solo in parte positivo, il Capodaglio nello studio recensito a carte 339 e segg. del quaderno del dicembre 1938.
O come quella, ancor più impertinente, la quale è il succo della indagine del Bloomberg: val di più in fatto di investimenti, l’aria o la materia, il fumo o l’arrosto? Si intende che la domanda è impertinente, quando, seguendo l’impressione prima o volgare si assumano per materia od arrosto le cose che si vedono e si toccano: terre, forze d’acqua, miniere, stabilimenti industriali in cemento armato, calce e mattoni, forniti di ogni sorta di macchine; e per aria o fumo le cose che non si vedono: il buon nome, l’abilità commerciale, l’attitudine organizzatrice, la conoscenza dei gusti degli uomini. Coloro che invidiano i popoli ricchi e immaginano che essi siano diventati tali, perché si sono impadroniti di territori fecondi di cosidette materie prime, di miniere, di acque, perché han fatto man bassa su colonie e sui loro popoli, meditino sulla piccola pagina di storia economica sopra riassunta. L’aria val proprio di più della materia, il fumo dell’arrosto. Nessun popolo è mai diventato ricco e potente a causa del possesso di cose materiali.
10.- Non v’ha tra noi nessun giovane economista voglioso di procacciarsi – come già fecero per il fattore “dimensione” dell’impresa il Lenti e per saggio di frutto di due investimenti tipici il Capodaglio – con lunga fatica un bel nome? Lo studio del Bloomberg potrebbe offrire lo spunto ad una imitazione. La quale potrebbe essere migliore dell’originale se, accanto all’accertamento del valor capitale e del reddito netto per ogni anno del periodo considerato – ed è indagine utile a studiare i risultati annuali dell’investimento e le varie spinte a conservare od a vendere i titoli acquistati – si studiasse il risultato finale complessivo, capitale ed interessi, alla fine del periodo. Il metodo tenuto dal Bloomberg suppone che esistano due entità distinte, l’una detta capitale e l’altra reddito e che esse abbiano vita separata. L’ipotesi è conforme all’opinione comune della buona gente la quale, compiuto un investimento qualsiasi, reputa di comportarsi decentemente, da buon padre di famiglia, se consuma il “reddito” e tiene intatto il “capitale”. La buona gente, così operando, può accidentalmente arricchire, ma di solito va in malora. Cento lire investite sono cento lire date altrui – debitore terra casa piroscafo ferrovia macchinario – e che codesto “altrui” si e no restituirà. Se costui restituisce a frazioni, codeste fette sono da noi definite reddito; se in blocco, questo è definito capitale. Trattasi di definizioni, le quali non mutano la sostanza del fatto, che è la stessissima: ripresa di qualcosa che s’era dato via. Perciò il risultato di un qualunque investimento non si può conoscere se non al suo termine; e per calcolarlo, occorre, da un lato, accertare il costo dell’investimento al momento iniziale e dall’altro lato, riportare, ad un dato saggio di interesse, tutti i ricavi ottenuti nel frattempo per interessi, dividendi, frutti, premi, opzioni, ecc. già ad ogni momento depurati delle spese di acquisizione al momento unico od ai momenti successivi ipotetici di liquidazione dell’investimento e, resili così omogenei nel tempo, sommarne l’importo complessivo a quello del ricavo o dei ricavi della liquidazione.
Così avevo proposto si facesse nel tema sopra ricordato, e così fece il Capodaglio. Ed appurò, ad esempio, che chi all’1 gennaio 1865 avesse investito 500 lire in una azione delle “Meridionali ” e per 73 anni ci avesse dormito sopra. reinvestendo dividendi su dividendi nelle stesse azioni ai prezzi correnti, si sarebbe trovato al 31 dicembre 1937 possessore di 9.760,19 in lire della stessa specie di quelle del 1865 ossia avrebbe compiuto un investimento al 4% annuo; laddove chi avesse investito alla stessa data iniziale 71,97 lire in rendita italiana 5% si sarebbe trovato alla stessa data terminale possessore nella stessa moneta, di 441,04 lire, ottenendo un saggio di frutto annuo del 2,50%.
Si può, quando si ritenga artificiosa l’ipotesi del reinvestimento dei frutti sino al momento della liquidazione finale, supporre quei frutti consumati di volta in volta; ma occorre usare qualche espediente per rendere i frutti stessi omogenei e calcolare il saggio medio di frutto, in moneta costante, per tutto il periodo dell’investimento, tenendo conto altresì della differenza, fra costo iniziale e ricavo finale. Qualunque sia il metodo seguito, il risultato si conosce solo al momento finale del disinvestimento. Non prima.
11. – Chi, provvisto di una macchina calcolatrice, dei volumi di “Notizie – statistiche sulle società italiane per azioni”, di raccolte di bollettini delle borse di Milano, Torino, Genova e Roma, volesse accingersi a rifare per l’Italia lo studio del Bloomberg, potrebbe, oltreché seguire contemporaneamente i due metodi, annuo e terminale od una combinazione di amendue, investigare diverse specie di fumo e di arrosto:
- il fumo dell’avviamento, che è quello di cui si disse sopra a proposito del saggio americano;
- il fumo alquanto più appiccicoso della clientela creata dalla legge, con protezioni doganali, proibizioni e vincoli alla concorrenza, limiti posti alla creazione di imprese nuove, ecc. ecc.;
- il fumo ancor più spesso dei monopoli di fatto o di diritto di servizi pubblici;
- l’arrosto delle cose materiali, alle quali non si può far concorrenza con l’importazione di beni o servizi analoghi dall’estero o da altre regioni del paese, ma solo con nuovi investimenti: ad es. case;
- l’arrosto delle cose materiali, il cui reddito consiste in merci o derrate trasferibili da un mercato all’altro: ad es. terreni o stabilimenti industriali;
- l’arrosto dei servizi pubblici, il capitale investito nei quali ha forma sovratutto materiale: ferrovie, tramvie, gasometri, acqua potabile, energia elettrica, ecc.
L’indagatore si troverà certamente dinnanzi a dubbi senza fine; ché le categorie non hanno contorni netti e si sovrappongono l’una all’altra. ed i dubbi si moltiplicheranno a causa di opzioni, liquidazioni, fallimenti, fusioni, mutazione del fine, aumenti di capitale, inizio o cessazione di quotazione in borsa. Sicché, per non uscire matto, egli avrà bisogno di aggiungere ipotesi ad ipotesi; selezionare ed eliminare; chiedere consiglio ad uomini periti in cose di borsa e di banca. La introduzione metodologica che egli dovrà premettere al suo scritto, sarà la parte più vistosa per mole di esso e finirà per essere una storia finanziaria individuale delle varietà a cui fatalmente egli si sarà dovuto ridurre. Quale il frutto per lui della lunga fatica? In primo luogo e sovratutto, come accade sempre per codesti studi seri di storia economica, il proprio compiacimento per l’opera bella compiuta. Che se poi la fatica non fosse degnamente riconosciuta nel cimento dei concorsi accademici, al quale di solito siffatti lavori sono offerti, la colpa sarebbe tutta e solo dei giudici. E sarebbe colpa non lieve, cagione per essi di vergogna non piccola.