Obiezione
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/06/1939
Obiezione
«Rivista di storia economica», IV, n. 2, giugno 1939, pp. 181-83
È maniera di discutere che si usa nelle scuole e, ad occasione delle tesi e tesine nelle prove di laurea, dà modo al candidato di dimostrare la sua valentia colla prontezza nel comprendere le obiezioni degli esaminatori e nel confutarle.
Può darsi che l’attitudine a scoprire il vizio della argomentazione altrui debba essere particolarmente coltivata nei giovani che si apparecchiano alla carriera forense od a quelle del pubblicista quotidiano, dell’oratore pubblico e del membro di consessi professionali politici od internazionali.
Là dove fa d’uopo vincere un partito, l’attitudine a porre tesi, ad opporre obiezioni ed a vincere dubbi è certamente vantaggiosa. È assai dubbio se l’attitudine ad “obiettare” e “replicare” sia altrettanto vantaggiosa nelle discussioni scientifiche. Per restringere il discorso all’economica ed alla sua storia, l’esigenza fondamentale non è “confutare”, sibbene “comprendere” e “continuare”. Ha senso muovere “obiezioni” alla teoria della rendita che va sotto il nome di Ricardo od a quelle, pure dette di Ricardo, della distribuzione dei metalli preziosi e dei costi comparati od alla teoria della popolazione di Malthus? Il problema scientifico non sta nel dimostrare erronee siffatte teorie perché contrastanti a taluni e molti fatti o perché logicamente fallaci. La vittoria sarebbe troppo agevole e poco feconda. In quale scienza il teorema esposto uno o due secoli or sono non ha dovuto essere poscia corretto integrato o semplificato? Eppure quel teorema seguita a correre col nome del primo che l’enunciò e ad essere ritenuto sostanzialmente vero.
Chi voglia, ad esempio, discutere il cosidetto principio della popolazione di Malthus – ed assumo quest’esempio perché fra tutti il più facilmente comprensibile, sebbene a parlar propriamente esso non abbia neppure indole tecnico – economica – può, se la sua forma mentis è quella del disputare, muovere obiezioni morali ai consigli che si suppone aver Malthus dato agli uomini a frenare la prole. Che è, ove si astragga dal quesito di assai dubbia risoluzione se Malthus abbia mai dato alcun consiglio, disputa di verun interesse per l’economista. Ovvero può accusare Malthus di animo servile verso le classi dominanti, le quali nella sua cosidetta legge subito avrebbero visto argomento irrefutabile per rigettare sugli operai imprevidenti la colpa del loro numero eccessivo e dei loro salari di fame.
Che è tesi giudiziale, e non storico – teorica, e dovrebbe essere discussa nei tribunali, dinnanzi ai quali probabilmente gli accusatori non riuscirebbero a recare alcuna prova specifica, mentre i difensori potrebbero addurre i fatti della vita specchiatamente cristiana e caritatevole del presunto colpevole.
Altro è il problema a quale bisogna por mente. Quale è il contenuto delle due famose progressioni, aritmetica per le sussistenze e geometrica per la popolazione? Ha inteso cioè Malthus offrire una spiegazione storica dei fatti accaduti sino ai tempi suoi? Ha affermato che effettivamente le due progressioni rappresentavano le tendenze di fatto dei tempi suoi? Ha aggiunto che le stesse tendenze di fatto avrebbero seguitato a verificarsi in avvenire? Se le due progressioni debbono essere interpretate come leggi storiche esse debbono essere criticamente studiate con gli strumenti della critica storica; ed accadrà probabilmente di esse come di tanti altri schemi nei quali si volle a forza costringere la così ricca e mutabile realtà storica. Oggi ha gran voga la curva logistica della popolazione secondo la quale di fatto la popolazione partendo da un qualunque livello si andrebbe avvicinando con velocità sempre meno accelerata ad un livello superiore, destinato però a non essere mai toccato. Entro che limiti la curva logistica interpreta meglio della tesi storica malthusiana i fatti accaduti in passato e interpreterà quelli avvenire? Qualunque risposta lo storico dia al quesito, questo ha ad ogni modo indole storica e non economica.
La tesi malthusiana è, forse, invece meramente teorica – ipotetica? Al critico, il quale non si fermi alle apparenze verbali ed indaghi la parte realmente viva del pensiero malthusiano, può sembrare di doverlo intendere nel senso che le due proposizioni siano mere premesse di un ragionamento.
Se accadesse che la popolazione e le sussistenze aumentassero in un certo modo, quali le conseguenze? Se le due proposizioni potessero essere così interpretate, esse diventerebbero nel tempo stesso vuote di contenuto concreto e scientificamente feconde. Vuote, perché esse non affermerebbero nulla rispetto alla realtà storica passata e futura; e feconde perché dichiarerebbero efficacemente il compito del teorico desideroso di scovrire leggi astratte sempre meglio atte a raffigurare la realtà. Le premesse malthusiane se ipotetiche, non possono essere negate, sì corrette od integrate. Non si nega la premessa: se la popolazione aumentasse secondo la legge a, quando si supponga invece: se la popolazione aumentasse secondo la legge b; ché lo studioso ben fa a studiare le conseguenze diverse che si traggono da premesse diverse. Parimenti, la premessa: se le sussistenze crescono secondo la legge a, non si nega quando si aggiunga la riserva: a metodi produttivi costanti, perché l’aggiunta mira solo, meglio specificandola, ad arricchire la premessa. Ed un passo innanzi sarà fatto, quando si suppongano variabili i metodi produttivi ossia agente lo spirito di invenzione; ed un altro ancora quando si ammetta che popolazione, sussistenze, invenzioni non siano fattori indipendenti l’uno dall’altro, ma interdipendenti e mutuamente determinantisi. Non v’ha ragione perché si cessi di arricchire il quadro con l’aggiunta di sempre nuove premesse. Se lo studio storico – empirico dimostri che l’incremento della popolazione a volta a volta ha agito nel senso di stimolare ovvero deprimere l’incremento delle invenzioni e quindi delle sussistenze, il teorico è tratto a supporre che il medesimo fatto “aumento della popolazione” possa avere, in tempi e luoghi diversi, contenuto diverso; e dall’ipotesi può essere stimolato a studiare se forse non si diano fattori atti gli uni a stimolare e gli altri a deprimere lo spirito inventivo mentre la popolazione aumenta, e quali siano.
Così, col meditare sulle premesse poste dai primi pensatori, coll’arricchirne il contenuto e coll’integrarle, non certo collo scolastico “obiettare”, progredisce la scienza. Solo così essa fornisce al politico conclusioni atte ad agevolarne lo sforzo inteso alla grandezza e prosperità della patria.