Opera Omnia Luigi Einaudi

Dei criteri informatori della storia dei prezzi questi devono essere espressi in peso d’argento o d’oro o negli idoli usati dagli uomini?

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/03/1940

Dei criteri informatori della storia dei prezzi questi devono essere espressi in peso d’argento o d’oro o negli idoli usati dagli uomini?

«Rivista di storia economica», V, n. 1, marzo 1940, pp. 43-51

 

 

 

Sir William Beveridge, with the collaboration of L. Liepmann, F. J. Nicholas, M. E. Rayner, M. Wretts – Smith and others; “Prices and Wages in England from the twelfth of the nineteenth century”. First vol. Price Tables: Mercantile Era. With illustrations. Longmans, Green and Co., London, 1939, ottavo gr. LX – 756 pp. Prezzo 31 s. 6d. net.

 

 

1. – L’opera che qui si annuncia è il frutto di quindici anni di ricerche e di elaborazioni e consterà di quattro volumi, dei quali sinora è stato pubblicato il primo. Concepita nel 1923 dal Beveridge, allora direttore della London School of Economics come impresa la quale doveva perfezionare nel metodo ed ampliare nel tempo la celebre “History of agricolture and Prices” di Thorold Rogers, divenne nel 1928, sotto gli auspicii della fondazione Rockefeller, parte di impresa più vasta la quale avrebbe dovuto estendersi alla storia dei prezzi in Francia, Austria, Germania, Olanda, Spagna, Polonia e Stati Uniti.

 

 

Un “comitato internazionale per la storia dei prezzi” ebbe a membri A. F. Pribram per l’Austria, Henri Hauser per la Francia, Moritz Elsass per la Germania, N. F. Posthumus per l’Olanda ed E. F. Gay per gli Stati Uniti ed a presidente il Beveridge. Credo che, esaurito il fondo assegnato dalla Rockefeller, la attività del comitato sia oramai chiusa. Nel frattempo i risultati ottenuti sono stati illustrati in volumi dell’Hauser per la Francia (recensito qui, nel quaderno del settembre 1938 a carte 247 e segg.), del Pribram per l’Austria, dell’Elsass per la Germania, dell’Hamilton per la Spagna (qui recensiti nel quaderno del settembre 1938, a carte 254 e seg.), di varii per gli Stati Uniti, e del Bujak per l’Olanda.

 

 

2. – Nell’introduzione il Beveridge dà conto del piano dell’opera sua e dei suoi collaboratori inglesi e dei criteri metodologici adottati. I quattro volumi saranno dedicati: il primo alle tavole dei prezzi per l’età mercantile, dal 1550 circa al 1830; il secondo alle stesse tavole per l’età detta in inglese “manorial” e che io, per difetto di miglior vocabolo, tradurrei “curtense”, dal 1150 circa al 1550; il terzo ai salari, ai prezzi del frumento ed a materiale storico complementare; il quarto ad una ricapitolazione generale, a tabelle riassuntive, a trattazioni speciali sui pesi e misure, sulle imposte, sulle monete ed all’indice.

 

 

La collocazione nel primo volume del materiale relativo al tempo dal 1550 al 1830, invece che di quello relativo al periodo curtense (1150-1550), fu dovuta all’opportunità di iniziare la elaborazione e la stampa per quello stesso tempo a cui massimamente si riferivano le ricerche contemporaneamente condotte nel continente europeo, che era quello dell’era mercantile; ma nel terzo e quarto volume l’ordine dell’esposizione sarà quello cronologico, dal 1150 al 1830.

 

 

3. – Esigenze di spazio mi vietano di render conto adeguatamente sia dei risultati ottenuti nelle tavole dei prezzi, sia di tutti i problemi metodologici discussi e risoluti durante la loro compilazione. Ampie informazioni sono date dal Beveridge nella “introduzione generale”, in una “guida al lettore” apposta ad ogni volume, nelle “introduzioni speciali” e nelle “note” messe innanzi ad ogni serie di tabelle. Le informazioni sono particolareggiate, sì da fornire agli studiosi modo di rendersi esatto conto del significato dei dati contenuti nelle tabelle. Dirò solo di taluni problemi principalissimi.

 

 

4. – In primo luogo, il volume è fondato esclusivamente sullo studio distinto di serie ben definite di prezzi relative ciascuna ad un determinato istituto. Il Beveridge osserva di avere, egli ed i suoi collaboratori, avuto maggior fortuna di parecchi tra gli studiosi continentali, perché disposero di conti redatti nell’interesse di determinati istituti scientifici, ecclesiastici, ospitalieri o pubblici per tratti lunghissimi di tempo. In questo primo volume furono utilizzati i conti di tre istituti di educazione: il Winchester College dal 1393 al 1817, l’Eton College dal 1444 al 1831 e la Westminster School and Abbey dal 1564 al 1830; di quattro istituzioni ospitaliere: la Charterhouse dal 1644 al 1830, il St. Bartholomew’s Hospital di Sandwich dal 1543 al 1766, il Greenwich Hospital dal 1695 al 1828 ed il Chelsea Hospital dal 1695 al 1828; e di cinque amministrazioni pubbliche: il Lord Steward’s Department dal 1659 al 1830, il Lord Chamberlain’s Department dal 1556 al 1829, l’Office of Works dal 1552 al 1814, l’ufficio del Navy Victualling dal 1683 al 1826 ed i Naval Stores dal 1566 al 1813.

 

 

Non si fa nel volume alcun tentativo di mescolare le singole serie e di istituire medie fra i dati rispettivi. Sobrii accenni alle diversità delle circostanze di fatto nelle quali i diversi istituti e corpi svolsero la loro azione consentono al lettore di non stupirsi osservando le divergenze, talvolta spiccatissime, fra i prezzi assoluti pagati nel tempo medesimo per merci e derrate designate con la medesima parola del vocabolario. Per lo più trattasi di qualità, di quantità e di luoghi diversi. Epperciò ad ogni istituto ed alle relative tabelle di prezzi è consacrata una sezione autonoma del volume.

 

 

Per lunghi anni non sarà possibile seguire altro metodo. Quel che rimane della monumentale “History” del Rogers è ugualmente tratto da fonti ben chiuse e ben definite. Gravi i dubbi intorno all’”Histoire” del D’Avenel sovratutto a causa del tentativo prematuro di paragonare prezzi in luoghi diversi per merci non omogenee. Raveau e poi Hauser in Francia non tentarono conclusioni generali, epperciò sono preziosi strumenti di studio. In Italia si può ricorrere fondatamente ai due volumi del Pugliese perché basati quasi esclusivamente sui dati dell’Ospedale di Vercelli. Se invece ci troviamo faccia a faccia di prezzi acchiappati qua e là, da fonti diverse, per luoghi diversi, in anni non identici, chiudiamo il libro, inchinandoci alla fede che altri ha in questa specie di inconoscibili.

 

 

5. – In secondo luogo il grosso delle serie dei prezzi è presentato col nome di “tabelle primarie”. Si distinguono da alcune “tabelle secondarie” stampate in fine del volume, perché esse riproducono prezzi assoluti di date merci singole, in scellini e frazioni di scellini per certe unità di misura definite: quarter, gallons, stone, dozzina, pezza, biga, ecc. ecc.; laddove le tabelle “secondarie” riproducono gli stessi prezzi, distintamente per ogni istituto e per ogni merce e per singoli anni, ridotti a percentuali del periodo base. Che fu per tutta l’Europa, quello degli anni agrari 1720-1744, ritenuto tempo di discreta stabilità o normalità economica. Il Beveridge ha preferito chiamare la serie dei prezzi ridotti a percentuali colla parola price-relatives, allo scopo di mettere bene in chiaro che egli ha voluto astenersi dalla presentazione di numeri-indici relativi ad un insieme di due o più merci o derrate. Problemi troppo grossi avrebbero dovuto essere posti e risoluti, che egli reputò prematuro affrontare.

 

 

Vorrei augurare che l’esempio sia imitato; ma non oso. Chi di noi non soggiacque alla tentazione di fabbricare alla meglio od alla peggio, un numero indice e di ragionarvi sopra! Auguriamoci però che Dio misericordioso tenga le mani sul nostro capo e ci salvi dal pronunciare, in cose non contemporanee, – in queste talvolta il fiuto ci assiste – spropositi storici troppo manifesti. Di solito, per ogni anno, per ogni merce e per ogni istituto è indicato un solo prezzo “assoluto” nelle tabelle primarie. Il che non vuol dire che quel prezzo, per esempio di 5 scellini e 32 centesimi di scellino per ogni dozzina di libbre di cera nel 1444 per Eton College, sia stato ricavato tale e quale dai libri di spesa dell’economo del famoso collegio dove fin d’allora erano educati i giovani dei ceti alti inglesi. No; esso è già il frutto di una elaborazione, che il Beveridge dichiara propria dello “storico dei prezzi”, e che consiste nel trasformare i parecchi prezzi annotati ad es. nel 1444 per la cera dall’economo di Eton College in un solo prezzo, espresso in scellini di peso noto, in unità di misura anch’essa dichiarata e franco di quelle inutili peculiarità che potrebbero renderlo dissimile dagli altri dati annotati prima o dopo o nel tempo stesso per la stessa merce.

 

 

Questo lavoro, il più ingrato e faticoso di tutti, consiste nel tener conto e nel chiarire i fattori “interni” di variazione dei prezzi: unità monetaria, unità di peso o volume o simili, inclusione delle imposte e delle spese di trasporto ecc.; ed è il lavoro compiuto nel presente volume.

 

 

I dati così raccolti sono offerti dal Beveridge “storico dei prezzi” allo “storico dell’economia”. Il quale è chiamato a risolvere problemi in tutto diversi: quelli dipendenti dalle variazioni dei “fattori esterni”. Il Beveridge fa un esempio calzante: “Ad Hinderclay nel Suffolk, prima della peste nera, il frumento si vendeva a prezzi, variabili secondo il raccolto, attorno a 5 scellini il quarter; e l’acciaio veniva acquistato per fabbricare aratri ed altri strumenti, a prezzi i quali variavano altresì di anno in anno ed oscillavano intorno ai 6 danari per libbra, vale a dire a 50 lire sterline e più per tonnellata.

 

 

Oggi il prezzo normale del frumento è di circa 50 scellini il quarter e quello dell’acciaio di circa 10 lire sterline la tonnellata. Laddove il prezzo del frumento è stato moltiplicato per 10, quello dell’acciaio è caduto ad un quinto; un quarter di frumento compra oggi cinquanta volte la quantità di acciaio che acquistava un giorno. Difficilmente si potrebbe illustrare meglio la differenza fra l’età del frumento e quella dell’acciaio”.

 

 

Beveridge, storico dei prezzi, si contenta di raccomandare allo storico della economia prudenza nel paragonar fatti appartenenti ad epoche tra loro molto distanti; e nello spiegare le variazioni dei prezzi e le interdipendenze fra esse e le variazioni contemporanee dei fatti tecnici economici e politici. Storico dei prezzi, si astiene da elaborazioni troppo raffinate dei dati raccolti. In questo primo volume egli si limita ad accertare, come si disse, prezzi individuali annui assoluti, merce per merce, ed o calcolare le corrispondenti percentuali (Prices – relatives) base 1720-44. Il secondo ed il terzo volume saranno costrutti nel medesimo modo. Solo nel quarto egli ci fornirà medie decennali, ventennali e cinquantennali per la maggior parte dei prezzi assoluti e per i principali prezzi percentuali. La costruzione di numeri indici per gruppi di merci rimane affidata agli economisti, agli statistici ed agli storici dell’economia, i quali vorranno utilizzare i dati forniti da lui storico dei prezzi. Egli, giova forse ripetere, si limita a comunicarci che il prezzo della cera acquistata da Eton College nel 1444 fu di 5 scellini e 32 centesimi per ogni dozzina di libbre; e pare a lui – e pare anche a me riflettendo alle cautele osservate per appurare un così semplice dato, che pure è esso stesso una media ottenuta grazie all’intuito del buon senso variabilmente usato caso per caso – che il risultato ottenuto sia per sé grandissimo ed essenziale.

 

 

6. – Forse la sola elaborazione ulteriore che egli ci offrirà nel quarto volume sembra dover essere quella delle equivalenze dei prezzi nel peso corrispondente di argento fino secondo le leggi monetarie del tempo. Poiché questo è tra i problemi più grossi che lo storico dei prezzi è chiamato a risolvere, giova soffermarvisi.

 

 

Quando si sa che il prezzo della cera pagata da Eton College nel 1444 era di 5 scellini, 3 denari e 10 dodicesimi di denaro (= 5,32), si è appena al principio del sapere qualcosa. Quelle parole: lire, scellini e denari erano adoperate per tenere i conti, per contrattare merci, derrate, salari, stipendi ecc.; si riferivano cioe` alla moneta di conto od immaginaria.

 

 

Quando si pagava, bisognava ricorrere alla moneta effettiva in carne ed ossa, e cioè in oro, argento o rame, la quale poteva avere gli stessi nomi, ma per lo più sul continente d’Europa aveva nomi diversissimi[1].

 

 

Quindi occorrerebbe volta per volta, accanto ad ogni prezzo convenuto in lire, soldi e denari od altra moneta di conto, indicare il corrispondente peso d’argento fino (l’argento era la materia monetaria più comune usata nel medio evo) contenuto nella moneta effettiva usata nei pagamenti. Sapere che la cera valeva, arrotondando, 5 scellini nel 1444 e 6 scellini nel 1500 è nozione certo rilevante; ma se ogni scellino nel 1500 equivaleva agli otto decimi del peso d’argento fino che era l’equivalente dello scellino nel 1444, ecco che l’apparente aumento di prezzo da 5 a 6 scellini si volge in una effettiva diminuzione da 5 a 4,8 pesi d’argento fino. Perciò D’Avenel e Wiebe pubblicarono solo prezzi espressi in peso d’argento o d’oro fino. Se, in aggiunta, i 5 pesi d’argento fino del 1444 avevano una potenza d’acquisto unitaria in merci in genere di 1; ed i 4,8 del 1500 avevano una potenza d’acquisto unitaria calcolabile proporzionalmente in 0,8, ecco che quella tale dozzina di libbre di cera acquistava nel 1444 ben 5 unità generiche di merci, ma nel 1500 solo 3,84, ossia era grandemente scaduta nell’opinione universale. Il Beveridge non solo evita di cacciar le mani nel nido di vespe della potenza d’acquisto; ma, pur ripromettendosi di offrire tutti gli elementi all’uomo opportuni, si astiene persino dall’elaborare equivalenze in peso d’argento fino per tutti i suoi prezzi. Lo farà nel quarto volume solo per alcune principali merci e solo per medie decennali o ultra decennali, quasi a titolo di saggio. Facciano gli altri, si ingegnino statistici e storici dell’economia. In fondo egli è scettico, e preferisce i prezzi correnti in lire soldi e denari.

 

 

7. – Perché? Uno dei perché è proprio dello storico dei prezzi in Inghilterra. Qui dalla conquista normanna (1066) in poi, la moneta è sempre stata composta di lire (pounds), soldi (shillings) e denari (pence), e sempre occorsero venti soldi a far la lira e dodici denari a fare il soldo. Durante quasi settecento anni nessuna variazione nelle unità viene a turbare la continuità del sistema monetario. Il vantaggio è grandissimo per lo storico inglese in confronto ai colleghi continentali, posti di fronte a variazioni non infrequenti nei metodi di conteggio monetario da tempo a tempo e da luogo a luogo. Si aggiunga – differenza questa ancor più spiccata col continente – che in Inghilterra moneta di conto e moneta effettiva sempre si identificarono. Le monete effettivamente coniate furono sempre multipli e sottomultipli dello scellino. Laddove in Francia si contrattava in lire soldi e denari e si pagava in scudi d’oro, in testoni d’argento, in grossi di rame, monete le cui relazioni con le lire di conto erano variabili sia legalmente, sia ed ancor più di fatto, in Inghilterra si contrattava e si pagava in lire, soldi e denari. Finalmente, ad accentuare il contrasto fra Inghilterra e continente, il contenuto in argento fino dello scellino mutò sì, cadendo, ad es. dal 1300 al 1461 quasi alla metà; ma le variazioni – s’intende in meno – per quanto rilevanti, furono trascurabili se messe a paragone con le variazioni, ossia con i deprezzamenti contemporanei continentali.

 

 

8. – Buone ragioni, si dirà, per non eliminare tutt’affatto dalle tabelle dei prezzi quelli espressi nella moneta di conto, come sono tentati di far gli storici continentali dei prezzi, ridotti alla disperazione dal mutevole corrispondente metallico delle monete di conto, in cui sono redatti i conti pervenuti sino a noi; non sufficienti però a negare la necessità di compilare tabelle a doppia colonna, nell’una delle quali siano scritti i prezzi in lire soldi e denari e nell’altra gli equivalenti in peso d’argento fino. Solo questa seconda colonna pare ad un continentale atta a raffigurare quale sacrificio sopportassero i consumatori di tale o tal altra merce, sacrificio espresso non nel nome apparente di una moneta a contenuto incerto, ma nella sostanza del peso d’argento effettivamente pagato.

 

 

9. – Sir William Beveridge sembra avere altra opinione. Per lui, la nozione degli equivalenti dei prezzi in pesi d’argento fino è “secondaria” e giova “allo scopo particolare di correlare i prezzi alla offerta dei metalli preziosi od alla politica monetaria”. Ciò che lo storico dei prezzi deve cercar di conoscere sono i prezzi espressi per ogni anno in quella unità monetaria (scellino), “che gli uomini di quell’anno avrebbero considerato essere lo scellino….

 

 

….Lo scopo principale della storia dei prezzi, ossia il paragone del pregio attribuito a differenti beni o servizi in tempi differenti come guida a comprendere il mutamento della struttura o delle condizioni economiche, può essere raggiunto senza la conversione dei prezzi espressi in lire soldi e denari negli equivalenti pesi in argento fino”.

 

 

Ed alla spontanea obbiezione che gli studiosi chieggono allo storico dei prezzi lo strumento immediato per comprendere le variazioni nel valore della moneta egli risponde: “Se per siffatta esigenza noi intendiamo la nozione delle variazioni nel valore della moneta in relazione alle merci, rispondo che le variazioni dei prezzi, esposte nella unità monetaria contemporanea, sono esse stesse la testimonianza e la misura di siffatte variazioni. Se si desidera appurare come il prezzo di una qualunque merce si sia mosso in relazione al prezzo di un’altra qualunque o di tutte le altre merci, basta offrire i prezzi in termini di moneta contemporanea (prezzi assoluti) e in termini di percentuale (riferita ad una base unica di tempo) (p. XLVII)”.

 

 

10. – Forse la argomentazione di Sir William Beveridge così esposta, non è abbastanza chiaramente adeguata al concetto implicito che in essa contiene. Sviluppandolo, direi che i prezzi espressi nella moneta corrente, quella in cui si fanno le contrattazioni, hanno un significato proprio, distinto da quello dei loro equivalenti in peso d’argento fino.

 

 

Lo storico dell’economia che cosa chiede in vero allo storico dei prezzi? Egli non s’interessa molto di conoscere per sé le variazioni nel tempo del rapporto fra un quintale di frumento e il grammo d’argento fino. Sapere che un quintale di frumento si scambiò ad una certa data con 20 grammi d’argento fino e poi con 40 e poi ancora con cinquanta, settanta, centoventi e duecento grammi è nozione utile a chi voglia fare la particolare storia del potere d’acquisto dell’argento, o voglia indagare intorno ai sistemi monetari usati in successivi tempi: se d’oro, d’argento, di rame, o misti o cartacei ecc. ecc. Storia importante, ma particolare. Quel che importa sopratutto allo storico dell’economia è sapere se, mentre il prezzo del frumento variava da 20 a 40, a 50, a 70, a 120 ed a 200, il prezzo dell’acciaio variava da 100 a 80, a 70, a 30, a 10; e come variavano i prezzi delle scarpe dei vestiti e degli altri beni e servizi acquistati dall’uomo. Lo storico dell’economia a ciò si interessa, perché la nozione gli offre modo di conoscere come siano variati i gusti degli uomini, come siano stati diversamente superati gli ostacoli che la natura oppone all’acquisto delle diverse specie di beni, come lo spirito intentivo e gli avanzamenti tecnici abbiano favorito, diminuendo i costi relativi, la produzione del frumento, ovvero quella dell’acciaio o delle scarpe o della carta. Tutto ciò dice molto allo storico intorno alla situazione sociale, ai rapporti fra le diverse classi produttrici e lavoratrici; laddove la nozione delle relazioni fra i singoli beni e l’argento ha valore particolarissimo solo per talune specie di storici. Quel che, insomma, cerca lo storico non è la nozione del variabile rapporto fra l’unità di misura di tutti gli altri beni e servigi e l’unità di misura del bene argento; ma è la nozione del variabile rapporto, nell’apprezzamento dei contemporanei, di tutti i beni e servigi tra di loro. L’argento e l’oro è uno solo di questi beni e non è neppure il più significativo per la conoscenza dello stato delle società umane. Or, se ciò che si cerca è la variazione relativa dei prezzi dei diversi beni e servigi, a ciò servono benissimo i prezzi espressi nelle lire soldi e denari correnti in ogni tempo. Per conoscere il rapporto fra un quintale di frumento e un paio di scarpe in due tempi diversi, tanto vale dire che essi si scambiavano nel primo tempo rispettivamente con 20 e 30 grammi e nel secondo con 30 e 20 grammi d’argento, quanto dire che essi si scambiavano nel primo tempo rispettivamente con 4 e 6 soldi e nel secondo con 15 e 10 soldi. Amendue le espressioni ci dicono che gli uomini nel primo tempo davano 3 quintali di frumento per avere 2 paia di scarpe, laddove nel secondo, invertiti i rapporti, davano 2 soli quintali di frumento per avere 3 paia di scarpe.

 

 

Allo storico dell’economia interessa la variazione del rapporto fra frumento e paia di scarpe, prima 3 a 2 e poi 2 a 3, perché da essa apprende che nel tempo era diventato relativamente più facile calzarsi, ossia che, probabilmente, il tenor di vita si era innalzato, sicché gli uomini, oltreché al cibo potevano provvedere alle calzature.

 

 

Poiché la nozione si può avere ugualmente bene sia dal confronto degli equivalenti in peso d’argento fino sia da quello dei prezzi in lire, sembra preferibile partire da quest’ultimo. Per due ragioni: perché la nozione dei prezzi in lire è una nozione prima, da cui l’altra deriva con un calcolo, e pare vano istituire calcoli superflui; e perché, inoltre, lo storico vuole conoscere i variabili immediati apprezzamenti degli uomini che compravano e vendevano in quel tempo e non i ragionamenti derivati che gli economisti odierni conducono a quegli apprezzamenti.

 

 

11. – Qui, ma il Beveridge non vi fa cenno, è forse il perno della discussione. In ogni tempo e in ogni luogo, gli uomini contrattano nella moneta corrente del tempo. Oggi, ad un tedesco o ad un francese può balenare, a tratti, l’idea che il marco o il franco in cui contratta abbia a fare una buona o una mala fine o viceversa; egli può per qualche istante, riflettere al peso d’oro che con quei marchi o franchi potrebbe, in circostanze diverse da quelle legalmente esistenti, acquistare ed ai beni e servigi che con quel peso d’oro potrebbe procurarsi, pur in circostanze diverse da quelle di fatto esistenti. Sta però che, quando contratta, e compra o vende, egli non si fa imbarazzare da cosifatti calcoli; ma contratta con la moneta corrente, con i marchi o franchi di carta da lui posseduti o desiderati. Quelli desidera o da quelli fugge. Li desidera, se e` ottimista rispetto al loro avvenire; ne fugge, se pessimista. Ma ottimismo e pessimismo sono determinati da tanti fattori, di cui la convertibilità in un dato peso d’oro è uno solo, forse quello dominante alla lunga; ma spesso non quello che immediatamente determina l’azione dei contraenti sul mercato dei beni e servigi.

 

 

Questa è forse la vera ragione che spinge lo storico dei prezzi ad offrire le serie dei prezzi espresse nella moneta di conto corrente in ogni successivo tempo. Se è vero che si vuole fare storia degli uomini, delle loro scelte, delle preferenze dimostrate o per questo o quel bene, degli ostacoli superati per ottenere il bene preferito, giuocoforza è conoscere le scelte che gli uomini fecero con lo strumento monetario da essi posseduto (lire soldi e denari od altra moneta di conto) e non con uno strumento (peso di argento fino) ricostrutto oggi da studiosi raffinati allo scopo di risolvere determinati problemi monetari.

 

 

Se i beni materiali ed i servigi personali sono lo strumento necessario per raggiungere i fini ultimi della vita degli uomini, se per vivere come bestie o come angeli occorrono cibi vestiti casa libri chiese e musei, fra lo strumento e l’uomo si frappone però un velo, quello monetario. Anche il velo è composto di materia e di illusione. Sono materia i metalli preziosi, nel medio evo sovratutto l’argento ed ora sovratutto l’oro, di cui si compongono o si dice siano composte le unità monetarie. Quando vi pensano, ma il pensiero corre alla materia solo in circostanze straordinarie e spesso quando non si è più in tempo, gli uomini considerano sola moneta vera quella composta d’oro e d’argento[2]. Per lo più non vi pensano e non importa o non è possibile pensarvi; ed allora essi reputano ed usano come moneta taluni idoli, detti moneta di conto o moneta cartacea o numeri nei giro conti dei libri delle banche o delle stanze di compensazione. A spingere gli uomini a far scelte fra cibi vestiti case libri chiese e musei, a faticar per ottenere più gli uni o gli altri, a stabilire rapporti tra i diversi beni e servigi valgono maggiormente i dischi d’oro o d’argento ovvero gli idoli numerici? Forse allo storico dei prezzi non tocca risolvere il problema. Importa che egli lo veda chiaramente, affinché sia persuaso a fornire allo storico dell’economia, anzi allo storico in generale il materiale di dati meglio atto ad illuminare i varii aspetti della realtà.

 

 

12. – Per lo scrupolo sommo nell’uso delle fonti, per la fatica accurata e lunga nella presentazione dei dati raccolti, per le dotte introduzioni e note apposte ad illustrare le tabelle noi dobbiamo vivamente essere grati a Sir William Beveridge ed ai suoi collaboratori. La storia dei prezzi inglesi che essi stanno scrivendo è destinata ad acquistare un valore permanente ed a servire di sprone e di esempio agli altri paesi. Un augurio è lecito fare: nel quarto volume lo storico dei prezzi faccia un passo innanzi e si muti per un po’ anche in storico dell’economia. Il Beveridge economista persuada il Beveridge statistico ad elaborare i dati che egli sta così sapientemente raccogliendo, sì da farne risaltare alcuni tra i significati sostanziali più rilevanti. Nessuno meglio di chi li ha tratti dagli archivi, li ha fatti per ogni anno da molti diventare uno solo, di chi conosce il valore delle transazioni che ai dati dettero origine, può infondere a quei dati vita e calore. Giunge il momento in che lo storico dei prezzi più prudente e restio deve farsi coraggio e compiere egli stesso quei tentativi di elaborazione, che altri sarà tentato di compiere sul materiale da lui offerto, privo però della preparazione che egli possiede.

 

 

Non basta dire che le ulteriori elaborazioni, che i calcoli degli equivalenti in peso di argento fino, che quelli dei rapporti fra le variazioni dei prezzi del frumento e dell’acciaio, delle scarpe e degli abiti, della corda e della pece, del legname e dei mattoni possono essere agevolmente compiuti da chicchessia, trattandosi di meri calcoli. No. Il “chicchessia” sarà lo storico, l’economista, lo statistico professionale, il quale si getterà sui dati di Beveridge e li raggrupperà e li elaborerà secondo i metodi più perfetti in voga nel momento, per verificare questa o quella teoria, per saggiare l’applicabilità e la fecondità di questo o di quello strumento di cui si capita a discutere nel mondo scientifico in quel momento. Oggi, che tanto si parla di cicli e di dinamica, non vi sarà chi si vorrà gittare su quelle magnifiche serie di prezzi dilungantisi per centinaia d’anni allo scopo di verificare qualche legge vecchia o estrarne qualche nuova atta a spiegare cicli e crisi? Invano, Sir William Beveridge si affannerà ad ammonire di non far confronti a troppa distanza di tempo, ed a mettere sull’avviso di trabocchetti e di equivoci. Imperterrito il lavoratore su schemi o su procedimenti famosi, passerà oltre e ci presenterà le sue elaborazioni teoriche di fronte alle quali le pagine del presente volume faranno la figura di mere raccolte pazienti di dati grezzi archivistici. Facciansi i dovuti scongiuri contro l’inondazione; ma il Beveridge costruisca frattanto contro di essa il primo e più valido argine, assoggettandosi alla fatica di compiere quelle elaborazioni che a lui, padrone della materia, paiono lecite e significative. Ogni elaborazione vale, quanto vale l’idea che l’ha originata. Può darsi che un’idea venuta su dai libri sia feconda. Per lo più, anche se i libri sono stupendi e le teorie magnifiche, quell’idea non giova a spiegare quei tali fatti. La sapienza teorica ha bisogno, nel far storia, della illuminazione che viene dall’intuito immediato diretto dei fatti che si studiano. Perciò dico che Sir William Beveridge non si può sottrarre al compito di offrirci lui la sua interpretazione della stupenda massa di dati che egli sta con tanta sapienza presentando al pubblico degli studiosi. Attendiamo con ansia le pagine nelle quali egli farà vivere e parlare i dati.

 



[1] Cfr. la mia “Teoria della moneta immaginaria da Carlo Magno alla rivoluzione francese”, nel quaderno del marzo 1936 di questa rivista.

[2] Cfr. il mio studio “Della moneta serbatoio di valori e di altri problemi monetari”, nel quaderno del giugno 1939 di questa rivista, principalmente dal par. 12 in poi.

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