Opera Omnia Luigi Einaudi

Recensione – Economic Problems of Peace after War

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/09/1918

Recensione – Economic Problems of Peace after War

«La Riforma Sociale», settembre-ottobre 1918, pp. 497-498

 

 

 

W.R. Scott, Economic Problems of Peace after War (Second Series), Cambridge, At the University Press, 1918. Un volume di pag. XII-139. Prezzo 6 s. net.

 

 

Mare Liberum Aer Clausus? – La lega delle nazioni e la politica commerciale – L’onere finanziario di oggi e di domani – Coscrizione o poscrizione del capitale – Il periodo di transizione finanziaria – Dieci anni dopo: ecco l’argomento delle sei lettere intitolate a W.S. Jevons che il professore Scott tenne nel 1918 nel collegio dell’Università di Londra, facendo seguito ad un altro corso, di cui su queste colonne già fu fatto parola.

 

 

Dall’autore della classica storia delle società per azioni nella Gran Bretagna era naturale attendersi la prima caratteristica del suo modo di trattare i problemi del dopo guerra: la signorile conoscenza di fatti passati, non comunemente noti, e di dottrine ricavate da antichi scrittori non correnti per le mani del pubblico, che giovano ad illuminare di viva luce le controversie presenti. Sotto questo rispetto lo Scott si può, meglio che ad ogni altro, assomigliare al nostro Giuseppe Prato: ché amendue amano ricordare, talvolta con ironica compostezza, agli amanti di novità, che quasi tutte le esperienze nuovamente invocate sono imitazioni dall’antico e quasi sempre le “nuovissime” scoperte teoriche sono, consapevoli o no, ripetizioni di dottrine vecchie di decenni e di secoli. Ma son ricordi che fanno testimonianza di famigliarità con libri rari, con opuscoli introvabili, e dicono al lettore che qui l’economista è anche storico ed erudito. Vuole l’A. far rilevare i pericoli di deprezzamento dei beni immobili e mobili che seguirebbe alle vendite affrettate dei contribuenti colpiti da un’imposta patrimoniale prelevata una volta tanto per estinguere in tutto od in parte il debito pubblico creato dalla guerra?

 

 

E cita le vendite dei beni della corona e dei beni confiscati ai Cavalieri effettuate dal Lungo Parlamento. I prezzi realizzati in media giunsero solo al 25% dei valori correnti prima del 1640 ed in alcuni casi a mala pena al 10 per cento. Vuole additare l’importanza dei problemi suscitati dai progressi meravigliosi dell’aeronavigazione? E ricorda Gronovius, il commentatore di Grotius (De Jure Belli, ed. 1689, p. 186) il quale riteneva che il diritto delle genti avrebbe sancito il libero passaggio attraverso all’aria sulla terra: Si homines possent volare aut versare in aere, sine tactu terrae vel molis quae a terra sustinetur.

 

 

Nello sviluppo delle due tesi, lo Scott non è una ricardiano; non ama ricavare da una premessa tutte le conseguenze di cui essa è capace; non abbonda in ragionamenti eleganti e diritti. Egli piuttosto procede, per cenni, a dimostrare la complessità dei problemi, a farne vedere tutti gli aspetti ed i pericoli di attenersi ad una soluzione logicamente impeccabile ma tropo semplice. La sua mente è più quella del giudice, che tien conto di tutti gli elementi, anche secondari, anche politici e psicologici, del problema. Insieme all’istruttoria in diritto, c’è l’istruttoria in fatto. I due primi saggi, a cagion d’esempio, sono tutta una trama di “qualificazione” intorno ai principii ideali della libertà dei mari e della lega della nazioni. Il professore von Scultze Gavernitz definisce la libertà dei mari come l’inviolabilità della proprietà privata in mare sia in tempo di guerra come in tempo di pace. In che situazione, osserva lo Scott, si troverebbe la futura società delle nazioni qualora volesse – imperando quella definizione – attuare il boicottaggio marittimo contro una nazione recalcitrante ai deliberati delle altre nazioni legalmente manifestati nel consesso comune? Non sarebbe suo obbligo di violare il principio della libertà del mare, inteso così come vuole lo Schultze Gavernitz? Sottilmente lo Scott si indugia intorno alle premesse necessarie affinché lo schema di società delle nazioni diventi una realtà ed alle conseguenze che dalla sua attuazione deriverebbero. Fra le altre conseguenze una, non menzionata ancora, è la seguente: il pericolo, in cui ogni Stato si troverà di vedersi negato, ove ad esso paia necessario di contravvenire a qualcuna delle regole poste dalla società delle nazioni, il diritto ad importare dall’estero taluni prodotti alimentari o materie prime indispensabili, non potrà forse indurre gli Stati ad accentuare una politica di autonomia economica, in guisa da potere, ognuno, bastare a se stesso? Analogamente, già ora accade, nei sindacati industriali, che i soci non si specializzano in un dato ramo di produzione, ma tendono piuttosto a conservare alla loro impresa una efficienza “generica”, perché dubitano: e se il sindacato si sciogliesse, come mi troverei io con la mia impresa specializzata ed obbligato perciò a vendere il mio semi prodotto ai miei concorrenti? Perché questo sentimento di timore e di sfiducia scompaia, occorre tempo, fa d’uopo che il sindacato si affermi e il suo scioglimento appaia improbabile. Così per la società delle nazioni. Essa potrà vivere tanto più sicura quanto più avanzerà negli anni, e scemerà negli associati il timore che essa possa sciogliersi. Gli anni pericolosi saranno i primi: la prova del fuoco si avrà nel primo o nei primi decenni.

 

 

In conclusione, lo schema delle società è una “incertezza favorevole” contro di cui sta il pericolo di una “certezza sfavorevole”. Epperciò, dice lo Scott, accettiamo la massima del poeta: “Mettetevi sempre dalla parte soleggiata del dubbio” (Tunnyson). Così, illuminato dai pensieri e dai detti di poeti, di storici, di grandi scrittori, il libro dello Scott si presenta, come sogliono non di rado di scritti di questi colti e fini economisti britannici, attraente al lettore e lo forza, senza fatica a meditare con rispetto alle opinioni altrui ed a concludere con la modestia dubbiosa che è il segno della dottrina vera.

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