Per il trattato commerciale con la Germania
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/09/1924
Per il trattato commerciale con la Germania
«La Riforma Sociale», settembre-ottobre 1924, pp. 432-437
Il «Gruppo Libero-Scambista Italiano» rimane al suo posto di vigile scolta per denunciare, appena ne ha la prova, tutte le cospirazioni che si possono tramare a danno degli interessi generali del Paese, a beneficio degli interessi particolari potenti ed organizzati.
Con recenti articoli nel “Corriere della Sera” e nel “Giornale degli Agricoltori Toscani”, Edoardo Giretti ha richiamato la pubblica attenzione sulla necessità urgente di provvedere a conservare il mercato tedesco alle nostre esportazioni agrarie e manifatturiere dopo il 10 gennaio 1925, data in cui, cessando le imposizioni del Trattato di pace, la Germania riacquisterà la sua autonomia doganale, e quindi potrà aumentare i suoi dazi, ed eventualmente esercitare rappresaglie sulle esportazioni dei Paesi che non si saranno affrettati a concludere con essa una Convenzione di commercio.
È ovvio che vi è per noi Italiani un solo mezzo di resistere efficacemente alle pressioni che la classe degli agrari tedeschi esercita in questo momento sul Governo del Reich, allo scopo di ottenere un regime doganale ultra-produttivo; e tale mezzo consiste nell’offrire, e nell’essere noi disposti ad accordare alle nostre importazioni di manufatti tedeschi, soprattutto le macchine ed i prodotti metallurgici e chimici, notevoli riduzioni dei dazi ora in vigore, che sono quelli inscritti nella nostra Tariffa generale del 9 giugno 1921. Soltanto così potremo renderci operosi ed utili alleati naturali gli industriali tedeschi, per i quali è condizione di vita e di prosperità il poter produrre a costo non troppo alto ed esportare la eccedenza dei loro prodotti.
Ma è precisamente questa ragionevole attitudine da parte del Governo italiano, a tutela dell’interesse generale del Paese, che spiace ai gruppi italiani delle industrie protette e privilegiate.
E quindi si capisce come gli esponenti politici di tali gruppi prevalenti nella direzione della “Confederazione Generale dell’Industria” si agitano e si danno da fare per evitare un pericolo da essi giustamente temuto nelle negoziazioni commerciali che stanno per cominciare tra il Governo italiano ed il Governo tedesco.
Nessuno si deve lasciare illudere dalle affermazioni vaghe e generiche, che gli esponenti politici delle industrie chimiche e metallurgiche italiane fanno, intorno all’opportunità di un equo accordo commerciale colla Germania, che rispetti e tuteli la generale armonia di interessi fra l’agricoltura e l’industria, accordo da ottenersi formando il “fronte unico nazionale” di fronte allo straniero, e lasciando al Governo, supremo tutore degli interessi di tutti, il solo ufficio di conciliare gli interessi divergenti nei pochi casi in cui non bastassero la spontanea iniziativa e la buona volontà degli interessati stessi.
Queste sono frasi, e niente altro. Occorre che nessun abbaglio od equivoco abbia da sussistere su questo punto.
La tesi dell’armonia degli interessi fra l’agricoltura e l’industria, considerate come due blocchi uniti e compatti, è completamente assurda.
Non vi è niente di simile, né in Italia, né in alcun altro paese del mondo.
Vi sono invece in Italia, come dappertutto, industrie agrarie e manifatturiere diverse, talvolta con interessi convergenti, tal altra con interessi divergenti, od addirittura contrastanti in modo da rendere impossibile qualunque tentativo di compromesso.
Nel quale ultimo caso resta unica funzione del Governo, come rappresentante e tutore dell’interesse di tutti, di vedere se vi siano veramente ragioni di carattere non economico, ma politico, per sorreggere e mantenere artificialmente alcune determinate industrie che non potrebbero vivere e prosperare lasciate alle loro forze naturali.
Questa è l’unica cosa che il Governo deve decidere ogni volta che è questione di stabilire o mantenere un regime di speciale protezione per qualche industria, a danno e col sacrifizio delle altre industrie; ma quello che non si può ammettere e tollerare è che in tali casi siano gli stessi industriali beneficati che debbano essi determinare la forma e la misura della protezione che ricevono dallo Stato.
Tale questione si ripresenta oggi a proposito delle trattative commerciali colla Germania sotto un aspetto per nulla teorico, ma pratico.
Non si tratta menomamente di passare da oggi a domani da un regime di protezione ad uno di libero-scambio. Si tratta soltanto di decidere quali interessi abbiano maggiore diritto alle cure ed alle premure del Governo italiano, tra quelli delle numerose industrie esportatrici che non godono di privilegi doganali, o possono oramai rinunciare a tali privilegi, e quelli delle industrie che invece si preoccupano soltanto di conservare il monopolio del mercato nazionale, dichiarandosi incapaci di resistere alla concorrenza estera, se non sotto la difesa di una enorme barriera daziaria aggravata da ogni sorta di privilegi nelle forniture dello Stato e degli Enti che dallo Stato dipendono.
Nessuno pretende ancora che debba cessare all’istante una ragionevole e moderata protezione doganale per le nostre industrie chimiche e metallurgiche.
Si domanda solo che gli esercenti tali industrie non debbano considerare come un diritto acquisito ed intangibile gli smodati aumenti di protezione che essi sono riusciti ad ottenere, senza il necessario controllo del pubblico che paga, col decreto reale che istituì la nuova Tariffa doganale in vigore dall’1 luglio 1921.
La vecchia Tariffa del 1887, pure colle diminuzioni di dazi risultanti dalle singole convenzioni legate insieme dalla clausola della Nazione più favorita, non fu mai considerata da nessuno come una Tariffa liberale. Essa aveva, massime a favore delle industrie metallurgiche, delle misure di protezione che sono anche oggi da ritenersi molto alte, dato anche il notevole aggravio che è stato l’obbligo imposto di pagare i dazi doganali al cambio del dollaro americano.
Il ritorno puro e semplice ai dazi dell’anteguerra, tanto da parte della Germania come da parte dell’Italia, può formare la base pratica e feconda delle nuove negoziazioni commerciali. Questo è appunto quello che non si vuole dagli agrari tedeschi e dagli industriali italiani ultraprotetti, ma si deve volere, così in Italia come in Germania, da tutti coloro – produttori, esportatori e consumatori – che non hanno privilegi da domandare né da difendere.
Non deve più ripetersi nelle prossime trattative commerciali colla Germania lo scandalo che avvenne, per es., nelle ultime negoziazioni per il Trattato di commercio colla Svizzera, in cui il Governo italiano del tempo credette opportuno di chiamare fin dal principio un industriale metallurgico a far parte della Commissione dei delegati ufficiali, per rappresentarvi gli interessi dei suoi colleghi protettissimi, mentre nessun bisogno si sentiva di fare ugualmente rappresentare gli interessi delle industrie non protette, e la rappresentanza degli interessi agricoli era solo molto più tardi affidata ad un parlamentare al certo assai competente, ma pregiudicato per la sua attitudine politica ed i suoi voti in favore del protezionismo industriale.
Di cotesta necessità sembra che si vadano convincendo meglio che per il passato le Organizzazioni agricole italiane, come dimostra il seguente ordine del giorno votato dalla Giunta Esecutiva della “Federazione Italiana Sindacati Agricoltori” in una adunanza tenuta teste` a Bologna, sotto la presidenza dell’on. prof. Arrigo Serpieri, ex-sottosegretario di Stato per l’Economia nazionale ed una delle prime e più autorevoli competenze italiane in fatto di interessi agricoli:
«Rilevata l’enorme portata che, per i prodotti agricoli, avrà il prossimo Trattato con la Germania, e rilevato che la nostra esportazione di derrate ha avuto una notevole ripresa in questi ultimi anni; constatato come nel campo industriale siano già state manifestate tendenze di volere una volta ancora sacrificare nel Trattato commerciale colla Germania le ragioni dell’agricoltura a tutto favore della protezione di alcune industrie; constatato come tali tendenze, se attuate, avrebbero per effetto di deprimere la produzione agricola e rincarare, con la protezione industriale, il costo della vita a danno dei consumatori; ritenuto come prova delle intenzioni oltranzisticamente protettive degli industriali, specialmente siderurgici, sia la richiesta della tariffa autonoma in opposizione di quella generale, che ora regge tutti i nostri trattati di commercio, e che fu adottata dopo lunga e matura discussione delle Commissioni parlamentari e dello stesso Parlamento; esprime la certezza che il Governo, riconoscendo la preminenza degli interessi della produzione agraria, darà ad essi, nelle prossime trattative commerciali con la Germania, adeguata rappresentanza».
A questo ordine del giorno il «Gruppo Libero-Scambista Italiano» si può associare cordialmente, colla sola riserva che quello che occorre per fare un buon Trattato di commercio colla Germania non è tanto di scegliere i negoziatori in numero più o meno ragguardevole a seconda dell’importanza degli interessi che essi rappresentano, quanto di stabilire i criteri, coi quali si dovranno impostare e condurre le negoziazioni, sotto la diretta responsabilità del Governo italiano, da delegati ufficiali che abbiano la sola preoccupazione degli interessi generali del Paese, e non debbano ad ogni momento stare a discutere ed a decidere tra di essi a maggioranza di voti quali dei nostri dazi si debbano o non si debbano ridurre, in contraccambio alle riduzioni che la Germania può essere disposta ad accordarci sui dazi della sua nuova Tariffa generale.
Le alte Tariffe come “arma per le negoziazioni commerciali” hanno fatto dovunque un fallimento clamoroso. Questa è una verità che ormai si deve riconoscere da tutti. Ed è anche tempo di rinunciare per sempre alle metafore militari e guerresche malamente trasportate nel campo delle trattative commerciali.
L’unico principio saggio e ragionevole nella discussione dei Trattati di commercio è quello della reciprocità, a base di mutue concessioni, di “do ut des”; ed è indubbiamente a questo principio di realtà e di buon senso che dovranno essere informate le prossime nostre trattative commerciali colla Germania, per arrivare ad un accordo vantaggioso ugualmente per i due grandi Paesi, che in tal modo potranno ritornare ad essere rapidamente, come erano nel periodo antebellico, ottimi clienti e fornitori l’uno dell’altro.
Allo scopo di richiamare l’attenzione del Governo e del Paese sulla importanza somma che presenta in questo momento la conclusione di un liberale Trattato di commercio tra l’Italia e la Germania, il “Gruppo Libero-Scambista Italiano” ha riassunto e precisato le sue idee nel seguente ordine del giorno, che è stato largamente riprodotto dalla stampa quotidiana: «Il “Gruppo Libero Scambista Italiano”, considerando:
- 1) che la conclusione di un nuovo Trattato di commercio colla Germania è resa urgente dalla prossima scadenza del regime transitorio di favore assicurato dal Trattato di pace alle esportazioni dei paesi ex-alleati nel mercato tedesco;
- 2) che, con una liberale politica di commercio, la Germania può ritornare ad essere, come già fu prima della guerra, il più vasto e sicuro mercato per le esportazioni dell’agricoltura e delle sane e naturali industrie italiane che attendono a trasformare i prodotti dell’agricoltura;
- 3) che, cessate le imposizioni del Trattato di pace, per ottenere dalla Germania un regime doganale favorevole alle sue esportazioni, che, alla stregua dei risultati del primo semestre 1924, già rappresentano un valore totale di un miliardo e mezzo di lire all’anno, pari a circa il 12 per cento delle esportazioni totali, poco meno della proporzione del 1913, l’Italia deve essere pronta a sua volta a concedere un regime corrispondente alle esportazioni dei prodotti tedeschi manifatturati, ed in specie a quelli delle industrie chimiche e metallurgiche;
- 4) che a questa ragionevole intesa a base di buona fede e di utilità reciproca in Italia ostano soltanto le pretese e le inframmettenze illecite di un piccolo numero di industrie eccessivamente favorite e privilegiate colla Tariffa generale attuata col Decreto reale del 9 giugno 1921;
esprime il voto che il Governo italiano, ricordandosi di essere il tutore non dei privilegi dei pochi, ma degli interessi e dei diritti della Nazione intera danneggiata, come produttrice, esportatrice e consumatrice, dagli eccessivi e non giustificati aumenti di protezionismo stabiliti colla Tariffa doganale del 1921, specialmente a favore delle industrie chimiche e metallurgiche, voglia e sappia impostare e condurre le nuove trattative colla Germania all’infuori di qualsiasi sollecitazione e partecipazione dei gruppi privilegiati con rinnovato spirito di liberalismo economico, sul principio di una coraggiosa reciproca riduzione dei dazi protezionisti e della clausola generale della Nazione più favorita da osservarsi da una parte e dall’altra, senza riserve e sottintesi, con lealtà assoluta».
Il gruppo libero-scambista italiano