Le crisi delle borse europee. Caratteristiche e confronti
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 15/10/1912
Le crisi delle borse europee. Caratteristiche e confronti
«Corriere della sera», 15 ottobre 1912
A leggere i listini e le cronache di borsa sembra di essere ritornati ai giorni peggiori del 1907 e del 1911, quando, suppergiù, alla stessa epoca autunnale, di giorno in giorno, erano segnalati tracolli di punti intieri, di decina o centinaia di punti, a seconda dei titoli, ed il pubblico era tratto a chiedersi se non si era vicini al finimondo, s’intende, finanziario. Da Parigi – per non parlare dei titoli speculativi – telegrafano che la rendita francese, la quale era ancora a 90,82 il 30 settembre, ha chiuso la settimana ora decorsa al di sotto del corso di 88; la turca da 90 è precipitata a meno di 80; la russa da 77,90 a circa 72, la spagnuola da 94 ad 88; la serba da 82 a 68; le obbligazioni bulgare da 462 a 416; rimanendo invece relativamente ferma l’italiana, ridotta appena da 96,80 a 95,50.
Notizie consimili ci vengono da Vienna, dove la rendita austriaca carta 4 % da 86 cadde – sempre dalla fine di settembre alla fine della settimana scorsa – a poco più di 83; ed il ribasso non fu maggiore solo perché il prezzo appare già fin troppo vile; mentre il Credito austriaco discendeva da 640 a 600 circa; e ribassi ancor più spettacolosi segnavano i valori industriali prediletti dalla speculazione viennese e triestina, come le Skoda , le quali fanno salti di centinaia di punti al giorno. Relativamente più tranquille le borse di Berlino, dove, per citare solo il valore principe a reddito fisso, il consolidato prussiano 3,50 % manteneva le sue oscillazioni tra i corsi di 89 e di 88; e di Londra, dove il consolidato oscilla fra 74 e 73; New York ha un contegno fermo, e non sembra volersi lasciar impressionare dai torbidi europei; le Steel Common, valore di acciaierie largamente trattato dalla speculazione, sta fra 78 e 79 ; le Union Pacific, azioni di ferrovie, tra 175 e 172; le Canadian Pacific, primo fra i titoli ferroviari canadesi, tra 278 e 273; oscillazioni per nulla fuori del normale.
Le nozioni di fatto che brevemente credetti opportuno di premettere, sebbene di giorno in giorno, anzi di ora in ora, mentre queste note aspettano di venire alla luce, la attuazione possa essere mutata, giovano a mettere in luce talune circostanze caratteristiche di questa crisi di borsa in confronto a quelle precedenti che sopra ricordammo. Simile in ciò alla crisi dell’autunno del 1911 e dissimile invece da quella del 1907, la perturbazione borsistica odierna è dovuta a cause politiche e non a cause economiche. Sebbene questa sia una verità risaputa e notissima, non è inopportuno fermarcisi un momento, per meglio rilevarne l’importanza. La crisi di borsa del 1907 fu il riflesso della profonda crisi economica che scoppiò in quell’anno negli Stati Uniti ed ebbe aspetti proprii gravissimi anche in Europa.
Si era esagerato negli impianti, nelle immobilizzazioni di capitali; si imponeva una svalutazione di molte aziende; si presagiva una riduzione di consumi da parte di grandi masse operaie rimaste prive di lavoro. La liquidazione della crisi industriale non poteva non durare per anni parecchi ed imporre gravi falcidie e molte quotazioni di valori industriali esagerati. Così fu in verità. Le crisi di borsa invece le quali hanno cause esclusivamente politiche possono avere un decorso assai più rapido.
Sparita la causa politica che vi dette origine, è tolto ogni motivo di depressione. Conchiuso l’accordo marocchino tra Germania e Francia, il ribasso formidabile che aveva imperversato a Berlino nell’autunno scorso, cessò per incanto; e si ebbe una rigogliosa ripresa. Alla ripresa dopo una crisi di borsa destinata a cause economiche fa ostacolo la necessità di liquidare gli errori commessi, rimarginare le perdite, ricostituire le aziende malferme. Opera di anni. Alla ripresa dopo le crisi dovute a cause politiche non s’oppone alcun ostacolo, dopo che la causa è tolta. Tutte le notizie che si hanno dalla condizione delle industrie e dei commerci nel mondo concordano nel descrivere questa condizione la generale come eccellente. Raccolte ottime di cereali del Nord America e in Russia, industria siderurgica attivissima negli Stati Uniti, in Germania, in Inghilterra, commercio internazionale crescente dappertutto, cantieri navali che rivedono i loro più bei giorni di grande fervore di costruzioni. La spinta a lavorare, la prospettiva dei guadagni esiste in quasi tutte le industrie, salvo eccezioni sporadiche, come l’edilizia a Berlino, arrestata per spropositi commessi a troppo costruire, l’industria cotoniera in Italia, sofferente per antichi mali che lentamente si avviano a guarigione. Su questo eccellente sostrato economico sono cadute le notizie di torbidi balcanici e di minacce di guerra; e le borse se ne sono impressionate, come è loro costume ed ufficio di impressionarsi di ogni avvenimento futuro incerto e rischioso. Non io azzarderò la minima profezia intorno al contegno futuro delle borse; poiché è certo che gli studiosi per lo più fallano quando vogliono profetizzare. Con certezza si può dire soltanto che, se la situazione politica si rischiarasse, le borse sarebbero piuttosto spinte all’ottimismo dalla situazione economica, la quale per sé medesima è buona. Ma il compito di far rischiarare la situazione è degli uomini di Stato, non dei finanzieri.
Un’altra differenza tra la crisi odierna e le due più recenti, che l’hanno preceduta, è nei centri di massima intensità. Nel 1907 il centro di massima intensità fui New York, con ripercussioni gravi a Berlino; nel 1911 è stato Berlino; adesso paiono essere Parigi e Vienna le due borse più colpite dai ribassi. Data questa localizzazione, la crisi del 1907 sembra essere stata la più grave e pericolosa delle susseguenti. Ambedue i mercati finanziari di New York e di Berlino vivono infatti sul credito altrui. Gli Stati Uniti sono indebitati in Europa; e, per il loro sistema pessimo di circolazione, in tempi di panico sono avidissimi cercatori d’oro in tutti i paesi europei. Un panico nord-americano diventa facilmente un panico mondiale. Anche Berlino, sebbene sia oggi assai più forte ed indipendente di quanto non si creda comunemente, poggia su un sistema delicatissimo di credito; onde il ritiro di capitali francesi od un inizio di sfiducia possono portare a conseguenze gravi.
Quest’anno la piazza più commossa è Parigi; il che si comprende perché la Francia è quella che ha, tra i paesi continentali d’Europa, la maggior somma di capitali investiti nei Balcani e nella Turchia. Ma Parigi è forte; ed è fortissima Londra, la quale ha poco fatto parlar di sé tanto nel 1907 che nel 1911, essendo stata capace di resistere all’urto di quelle gravi scosse. Vienna è invece il punto debole della situazione. Ma, a spiegarne le ragioni, converrà aggiungere qualcosa al già detto.
Perché invero certe notizie politiche, anche gravi come quelle relative ai Balcani, possono produrre in borsa commovimenti così forti come quelli che si videro di questi giorni a Parigi ed a Vienna, occorre che le borse siano tecnicamente preparate alla commozione. Io non dico che la notizia di una guerra o della minaccia di una guerra – e nel caso nostro abbiamo amendue le specie di notizie – non debbano produrre nessun effetto sulle borse. Gli uomini sono atti a commuoversi, a veder scuro, e gli uomini di borsa sono eccitabilissimi per loro indole, così come i letterati e gli accademici sono per definizione irritabili. Ma il grado della eccitazione è diverso a seconda della condizione tecnica del mercato, secondo quelle che si chiamano le posizioni degli speculatori. Berlino e Londra erano relativamente poco cariche: mentre Parigi e Vienna erano sovraccariche; onde la stessa notizia produsse effetto diverso sui due gruppi di borse. Tutte quattro le grandi borse europee si commossero; ma Parigi e Vienna si commossero di più, perché in esse esistevano forti posizioni al rialzo. È da mesi a Parigi, da più tempo a Vienna che era cominciata una campagna al rialzo su ogni genere di valori, specialmente industriali speculativi. Durante una campagna al rialzo, vi sono sempre molti speculatori che acquistano titoli, dandoli poi a riporto, perché non hanno i mezzi di ritirarli, nella speranza che essi abbiano a rialzare ancora, per poter vendere con profitto. Tutto va bene, finché la fiducia ed il rialzo continuano. Ma se, per qualunque motivo, anche estraneo, nasce un panico o si diffonde l’inquietudine, i rialzisti , che hanno molta roba comperata, sono presi dall’affanno e cercano di vendere per realizzare il guadagno ottenuto; e le offerte cadendo nel vuoto, perché in tempo di incertezze nessuno compra, fanno tracollare i corsi dei titoli buoni e tranquilli insieme coi corsi dei titoli speculativi. Pare che qualcosa di simile sia accaduto a Parigi ed a Vienna, dove si speculò troppo al rialzo in passato e dove per logica conseguenza si ebbero oggi le reazioni più violente.
Al qual proposito voglio finire ricordando un fatto che torna ad onore degli economisti che hanno il coraggio di avvertire in tempo l’opinione pubblica. Dall’agosto Paolo Leroy-Beaulieu ha scritto e riscritto articoli ammonitori sul suo Economiste francais per mettere sull’avviso il pubblico francese e la borsa parigina che a parer suo si correva troppo nel rialzo, e che si trattava di un castello di carte destinato a crollare. La sua profezia si è avverata; ed è probabile che non siano pochi i risparmiatori i quali non hanno comperato ai prezzi eccessivi di ieri, grazie ai suoi saggi consigli. Senza i quali, che in Francia sono ascoltatissimi, forse il rialzo sarebbe stato maggiore ed i danni del ribasso oggi più gravi.
Rallegriamoci, ad ogni modo, che gli eccessi speculativi siano stati commessi in Austria, paese con cui l’Italia ha scarsi rapporti finanziari, e con la Francia, dove la situazione economica e monetaria è così forte da permettere al paese di sopportare colpi anche più vigorosi dell’attuale; come è dimostrato dallo scarso danno risentito dai rovesci russi all’epoca della guerra col Giappone e della rivoluzione interna. Perciò è possibile sperare così che la ripercussione all’estero e anche in Italia della speciale situazione delle grandi borse, ora ricordate, sia soltanto momentanea.