Le vere ragioni del rinvio
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 15/10/1919
Le vere ragioni del rinvio
«Corriere della Sera», 15 ottobre 1919
Sulle ragioni che hanno determinato il rinvio dell’imposta sul patrimonio il Secolo ha interrogato una personalità (quale?) del mondo bancario milanese. È interessante riferire ciò che questa personalità ha detto:
«Le preoccupazioni degli istituti finanziari non furono ispirate al concetto di difendere gli interessi della plutocrazia, ma piuttosto quelli dei minori possessori di titoli e libretti al portatore che la nuova legge voleva colpire con espedienti che avrebbero recato gravi perturbamenti.
La ricchezza mobiliare in Italia è molto frazionata. Gli stessi titoli industriali sono, distribuiti in gran parte nell’Italia settentrionale ed in minore misura nella media e nella meridionale; e gli stessi titoli di Stato nonostante gli ultimi prestiti hanno una distribuzione non molto difforme. Il che significa non soltanto la minore ricchezza di alcune regioni rispetto alle altre ma altresì la loro impreparazione a investimenti di carattere mobiliare.
Non si può prescindere da queste circostanze di fatto, come non si può non tenere conto delle condizioni reali e effettive degli organismi bancari, delle casse di risparmio, delle casse rurali e di tutti quanti gii istituti che raccolgano depositi anche di modesta misura. Né si deve dimenticare la facile impressionabilità dei depositanti, i quali, seguendo un ragionamento sia pure empirico, avevano già cominciato a ritirarsi i loro depositi argomentando che il biglietto di banca avrebbe potuto essere più facilmente occultato e che le misure dal fisco escogitate per raggiungere i depositanti sarebbero giunte in ritardo ed avrebbero difficilmente colpito il pavido risparmiatore.
I razionamenti anche più fondati e sensati sul realizzo di titoli in perdita, poco valgono per coloro che, come capita in tutte le crisi di borsa, sono assaliti dal panico, così come purtroppo gli effetti del panico generano nei grandi disastri maggiori vittime di quello che una prudente e più ponderata deliberazione avrebbe arrecato. Ma questi sono fenomeni di psicologia umana dai quali non si può prescindere e che non dovevano essere dimenticati se si volevano evitare conseguenze dannose per l’economia pubblica e per lo Stato assai gravose.
La nominatività dei titoli potrà essere giustificata specialmente nei riguardi delle società anonime sotto l’aspetto giuridico; ma certo essa rappresenta per un paese ancora così arretrato negli investimenti mobiliari una difficoltà alla diffusione di talli impieghi, difficoltà che potrà essere vinta soltanto con una lunga educazione e preparazione. D’altronde negli stessi paesi deve vi è largo mercato di titoli nominativi, la nominatività è largamente frustrata perché i titoli passano attraverso molteplici mani con la girata in bianco senza che m sia identificato il proprietario se non all’atto del pagamento della cedola.»
Attraverso tutte queste frasi è facile capire che esiste negli ambienti finanziari una spiccata avversione contro metodi di accertamento diretti a colpire la ricchezza mobiliare nella giusta misura e ad impedire le frodi. L’interlocutore si stupisce che i depositi vengano inventariati fra le attività del depositante. Ma questo è enorme. Il depositante farà valere anche le sue passività; ma i depositi sono attività che il fisco deve conoscere. Egli aggiunge che nei paesi nei quali la nominatività esiste essa è largamente frustrata perché «i titoli passano attraverso molteplici mani con la girata in bianco senza che ne sia identificato il proprietarie, se non all’atto del pagamento della cedola». E par niente a questo finanziere che il fisco possa identificare il proprietario in quel momento? Vuol dire che lo colpisce allora e che il coupon non sfugge all’imposta sul reddito.
Infine l’interlocutore del Secolo affaccia le solite preoccupazioni per l’applicazione di provvedimenti seri in paesi nei quali la ricchezza mobiliare è arretrata. Storie! Gli abbienti piccoli e grossi cercano la ricchezza immobiliare sebbene sia nominativa e non sfugga al fisco. La nominatività non fa paura ai capitalisti onesti e modesti, ma ai plutocrati e agli speculatori.
Ci pare ora pertanto di finirla con queste agitazioni e pressioni dirette a salvare la ricchezza mobiliare dall’adempimento dei suoi doveri. La nominatività dei titoli al portatore deve diventare uno dei capisaldi del programma democratico, una delle pietre di paragone per distinguere la democrazia spuria dalla vera. Senza tale riforma le imposte sul patrimonio, sulle successioni e sul reddito si risolveranno in un inganno.